48. Nel cuore di una notte rossa
Un attimo prima Shadee stava sfilando con Hondo fuori dallo studio di suo padre, un attimo dopo è il caos. Un fragore assordante, la terra trema sotto i piedi, le vetrate esplodono in una cascata di frantumi. Una vampata di fuoco gli arrossa il volto e ruba l'aria. Deve la vita a Hondo che lo sbatte sul pavimento e impedisce a una statua di Zeme di crollargli addosso assieme a una fetta di soffitto. È un vortice confuso che lo cattura e lui si sente annebbiato, incapace di capire. Una cacofonia di grida ed esplosioni si sussegue a intermittenza, un coro di morte che cava il sangue dalle vene.
Hondo lo tira in piedi per un braccio. «Stai bene?»
La mano dorata ha parato un cilindretto di esplosivo simile a una pigna grigia prima che lo centrasse in pieno. È un artificio che Shadee non conosce, nulla di simile alla magia degli Spilli. Hondo lo lancia fuori dalla finestra e lo fa esplodere a mezz'aria in una nuvola di fiamme e fumo che copre la notte e le stelle.
«Che sta succedendo?» chiede Shadee. Lo sa, in cuor suo conosce benissimo la risposta ma non può accettarlo. Un pensiero lo fa sbiancare. «Mio padre.»
Hondo sputa a terra un grumo di sangue. Ha un grosso taglio sulla fronte, causato dalla statua di Zeme il cui braccio è andato in mille schegge. «Tuo padre è il più grande guerriero che abbia mai conosciuto. Preoccupati di te piuttosto.»
Sul piedistallo delle priorità Shadee mette sé stesso in ultima posizione. In ordine casuale prima di lui ci sono i bambini della casata e le donne e Chanti e... La testa scricchiola, quando realizza. Dèi, qualcuno sta attaccando Reggia Blu, un assalto in piena regola.
«Ribelli» mormora Hondo. «Guarda.» Lo costringe ad appiattirsi sulle ginocchia per tenerlo al sicuro da un eventuale colpo da fuoco. A gesti gli ordina di gattonare tra le schegge di pietra e i frantumi di vetri colorati. Oltre un'inferriata mezza spezzata dall'esplosione, c'è una fiumana che risale sui tetti smaltati di Spinarupe: un ruscello fatto di uomini travolge ogni cosa con spade e armi da lancio, sui loro petti lo stemma di Soumano.
«Jaja.» Shadee non vuole crederci. Lo ha lasciato scappare dal tempio di Dagan e adesso la casata ne paga il prezzo. È lì per distruggere la sua famiglia, per prendere il posto del re. Scatta in piedi: deve fermarlo prima che sia troppo tardi.
«Non fare stronzate» lo prega Hondo, mentre cerca di rimetterlo a riparo. «Dobbiamo organizzarci, trovare soldati.»
«Pensaci tu. Pensa a mio padre.» Prima che Hondo possa fermarlo scatta via, tra i cocci e le spaccature del pavimento, in bilico su alcuni gradini di pietra che l'esplosione ha tranciato in due metà. In quel marasma di ribelli che trucidano innocenti, sente i generali degli Spilli chiamare gli uomini alle armi.
«Resistere! Andare sulla difesa! Armarsi!»
E ancora: «Alla porta principale! Alzare le barriere di rovi!»
Nemmeno Zeme può nulla contro i cilindri di metallo che esplodono a contatto con la terra. Shadee salta di lato per evitare un colpo, il fumo nei polmoni, il rischio di inciampare nei crateri che costellano la pavimentazione. Gli serve qualche minuto per arrivare alle mura.
«Damen!» Suo cugino è accerchiato. Shadee ruba la sciabola da uno Spillo defunto e infilza l'uomo che cerca di strangolarlo.
I ribelli arretrano. Shadee e Damen combattono schiena contro schiena, girano sui tacchi in cerchio per scacciare i ribelli, tutte mosse inutili perché è come sfidare il mare e la sua grandezza. Si può infrangere un'onda, ma lei tornerà sempre indietro caricando alla massima potenza.
«Sono ovunque» boccheggia Damen. «Non ne ho mai visti così tanti.»
Shadee affoga lo spettro di Isedu che continua a fissarlo con occhi vitrei. «Uccidiamoli» ringhia e con la sciabola colpisce la testa di un ribelle. «Se li uccideremo, saranno di meno.»
Shadee scivola sotto la spada di un aggressore e non si arresta quando una freccia gli sfregia il braccio, un dardo si conficca nella spalla. Ha bisogno di Zeme, di Dagan, darà tutto per salvare la casata. Lacci di rovi si alzano dal suolo, frustano la terra con schioppi violenti e sbalzano via un manipolo di nemici. Una prigione di spine si chiude a capsula su un nuovo drappello di aggressori e li uccide in un riccio di aghi verdi. L'acqua di Dagan fluisce dalle dita, finalmente libera spazza via come un vero fiume chiunque cerchi di raggiungerlo. È una commistione di potere letale per gli avversari, ma anche per il suo stesso corpo. Un attacco di nausea butta in bocca la bile, l'equilibrio precario lo costringe ad appoggiarsi al merletto delle mura per non cadere.
Damen corre a sorreggerlo. «Ho sempre saputo che avevi il potere della regina, anche se da vero farabutto non me l'hai mai detto in faccia.»
Shadee si pente di non essere stato un buon amico. «Scusa, mi vergognavo.»
Damen alza la spada per tornare all'attacco. «Il solito muson–»
La freccia della balestra gli attraversa la testa da lato a lato, la cuspide esce dalla bocca, una lingua di ferro imbrattata di sangue. Damen si concede un lamento, come il risucchio di un liquido sul fondo di un bicchiere. Un attimo dopo gli occhi restano sbarrati, non si rivestono di vita nemmeno quando Shadee grida, lo prega di svegliarsi. Gli cade tra le braccia ed entrambi si accasciano a terra.
«Damen, svegliati! Tu sei più bravo di me con la spada. Damen!» È tardi ormai. Shadee può quasi vedere l'anima volare via e navigare fino al Lago Oceano, sfruttare le sue acque per raggiungere il fondale dell'Aralla. La pagheranno, quei ribelli, non avrà pace finché non li avrà massacrati con le sue stesse mani.
Luva splende in lui, i suoi raggi infuocati generano una furia indomabile che gli dà carica e lo rimette in piedi. Non può guardare Damen, il volto in cui è ancora stampata la sorpresa di essere stato ucciso. Un veleno ribollente monta alla testa, gli ordina di incenerire chiunque lo osteggi. Non importa se il ribelle che ha appena freddato è una ragazzina o un bambino che non sa perché tiene in mano una spada. Devono morire tutti, Secondi, ribelli, traditori, tutti fino all'ultimo.
Shadee combatte proteggendo il cadavere di Damen con una foga che non ha mai conosciuto. In guerra ogni cosa è un'arma, un pezzo di legno, il terriccio, un coccio di vaso, uno sputo. Usa ciò che gli capita sotto tiro e fronteggia i ribelli che sciamano come un fiume nero senza pietà. Grida di dolore quando vede i cadaveri di due bambini abbracciati ai piedi di una scalinata, le tasche piene di arance rubate per gioco. Pensa a Niran, Rudo, Alica, e prega siano al sicuro nei quartieri delle donne. Deve correre là e verificare, ma una spada nemica gli colpisce il polpaccio e Shadee cade sopra il cadavere di Damen.
L'aura magica ribolle. Shadee lascia che il dio dei rovi diventi un nume della guerra e usi il suo corpo come una macchina letale. Poi finalmente lo vede: Chenzira. Non è più solo, c'è qualcuno adesso, più grande di lui, più saggio, qualcuno che potrà dirgli cosa fare.
Chenzira avanza tra la folla con due delle sue spade in mano – Spillo Rosso, Costola – e il pugnale legato alla cinta. Shadee prova a chiamarlo ma riesce solo a tossire un grumo di sangue. E poi accade. Spillo Rosso si conficca nel petto di un uomo accanto a un bottone di madreperla, Costola decapita una testa. Sono volti bruni che profumano di olio di datteri, volti di fratelli, Spilli come lui. E quelli... quelli erano colpi diretti, tirati per uccidere. Il cuore si spezza e lui si inabissa in un oceano così freddo che gli sembra di soffocare. Fissa Chenzira a occhi sgranati, incapace di reagire.
Il suo maestro lo vede. Si prende solo un momento per mimare un "mi dispiace" con le labbra e poi torna nella mischia, affiancato da Bulbun e da Nandi. È un ribelle. Il suo maestro, l'uomo che è sempre stato il suo modello di vita, lo ha tradito. La rabbia torna furente in lui, lo costringe a ignorare le pulsazioni sofferenti del cuore. Non c'è tempo per piangere.
Un soldato si fa strada tra i ribelli per chiamarlo. «Jaja è tornato. Ha sfidato tuo padre. Studio del re.»
Shadee corre come se non ci fosse un domani, così in fretta che la pelle sembra colare all'indietro quasi fosse liquida. Percorre un sentiero noto e si arrampica su colonnati divelti e gradini sradicati, su cadaveri di fratelli e sorelle, e poi lo vede, assiste alla scena come in un incubo in cui non può agire. Suo padre è in ginocchio davanti allo scanno, circondato da cadaveri nemici; Jaja, in equilibrio sulla balaustra del loggiato, lo punta con l'arco, la freccia sulla scocca.
«Fermati!» Shadee strilla con tutta la voce che gli resta, ma per Jaja quello è un segnale. La corda è tesa, la freccia vola come un girino di metallo e si conficca nella coscia del re.
«Jaja, no!»
Un secondo colpo, un secondo centro, questa volta nello stomaco, sopra il cinturone di cuoio dove suo padre tiene sempre la sciabola della casata.
«Fermati!» Shadee supplica con le lacrime che scorrono sul viso e intanto corre, evoca matasse di rovi per allontanare Jaja da ciò che resta della sua famiglia.
Jaja schiva una frustata di spine, un tentennamento minimo che gli impedisce di colpire il re, e Shadee non ci pensa due volte. Si tuffa sopra di lui e senza lasciarlo andare si getta oltre la balaustra del loggiato, affonda nel vuoto, abbracciato a quell'uomo che per lui era il sole. Mentre cadono a precipizio in una notte sempre più rossa, il mondo si rovescia all'incontrario, l'aria li avvolge in una bolla. È una caduta breve e termina con un impatto sopra il tetto di mattonelle blu dell'edificio sottostante.
Shadee finisce steso prono, con uno scatto istintivo si tira sui gomiti per iniziare a combattere, ma Jaja lo precede e gli punta la sciabola sotto il mento, un gesto che li costringe a cercare i reciproci sguardi. Per un attimo, qualche secondo che scandisce un tempo infinito, restano immobili a fissarsi. Shadee non ha paura della morte, ha paura solo di non sapere chi sia l'uomo che lo fronteggia, non capisce dove sia finito suo fratello, se davvero per tutti quegli anni abbia amato un abbaglio.
«Uccidimi» esplode. Che lo faccia subito, ora che non ha la forza di rialzarsi.
Jaja esercita una piccola pressione sulla spada, gli apre la gola in un taglietto dal quale sboccia una rosa di sangue. «Shadee...»
«È questo il re che vuoi diventare?» Shadee sente il suo stesso volto contrarsi in una morsa di ferro, mentre le lacrime bruciano negli occhi. «Hanno ucciso i bambini, le donne, Damen! E tu stavi per uccidere nostro padre.»
Per un attimo Jaja sembra esitare. Poi una freccia affonda ai suoi piedi, abbastanza vicino per spaventarlo, troppo lontano per ferirlo. Entrambi alzano lo sguardo verso la balaustra del loggiato dal quale sono caduti.
Re Tavare impugna l'arco con la determinazione e il dolore incisi nei lineamenti. «Vattene, Jaja.» È il re di Spinarupe, il miglior guerriero della casata. «Ti avrei concesso di uccidere me, ma non tuo fratello.»
Shadee resta a corto d'aria, si sente protetto dall'aura del re che lo circonda in una bolla di affetto, ed è vero, lui non sa leggere le atmosfere magiche come gli abitanti di Fontebella e i discendenti di Rasa, ma in quel preciso istante, per la prima volta nella sua vita, è sicuro che suo padre lo ami davvero.
Anche Jaja lo sa. Anche Jaja a modo suo lo ama. Gli accarezza velocemente la tempia. «Sarai sempre la mia debolezza, Shadee.»
Un attimo dopo lo colpisce in testa con il pomello della sciabola. Shadee si affloscia sulle tegole blu, vede nero. Le orecchie fischiano, ma non è svenuto, c'è un filo, come un appiglio che lo tiene ancorato alla realtà. È l'amore per la casata, la consapevolezza di non poter crollare anche se si sente morire.
Quando riacquisisce la vista, suo padre lo sta stringendo forte. Shadee ha la testa nel suo grembo e lo guarda dal basso in alto, come in quelle notti in cui al fianco di Jaja ammirava il cielo stellato e con il dito disegnava il tracciato delle costellazioni.
«Padre.» La parola gli sfugge di bocca. Non gli è permesso chiamarlo così, solo e soltanto re.
Sono ancora sul tetto dell'edificio sotto il loggiato e tra i due è difficile capire chi sia messo peggio. Un liquido annerito cola dallo stomaco e dalla coscia del sovrano. Dai tagli slabbrati esce uno strano vapore che puzza di zolfo, sulla pelle bruna disegna delle serpentine simili a inchiostro nero.
«Padre, cos'è questo odore?»
Suo padre deglutisce la sofferenza, ma Shadee capisce. C'è qualcosa sulle cuspidi, come un acido che corrode la carne e il sangue. Il panico lo divora vivo, l'affanno lo butta in ginocchio in un guazzabuglio di membra disordinate. Gli serve un guaritore, gli serve Chanti, ovunque sia, al sicuro sì, almeno lei starà bene.
«Vado a cercare aiuto.»
Suo padre gli stringe il volto con entrambe le mani e preme la fronte contro la sua. «Sarai re, Shadee. Devi suonare la campana e chiamare i Primi in soccorso. Rendimi fiero di te.»
Shadee sente la gola andare a fuoco. È come avere un lapillo di lava incastrato accanto al pomo d'Adamo. Vorrebbe solo piangere e restare con suo padre, ma poi un'esplosione fa tremare il tettuccio dell'edificio, le fiamme intrappolano la torretta più alta di Reggia Blu. La campana è lì, in mezzo a quella strage di fuoco.
«Lo farò, padre. Vi renderò fiero di me.»
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro