47. Una pace ingiusta
Evianne sente un peso scivolarle dentro, una biglia di ferro che crolla dal cuore e si annida nello stomaco. Si oppone all'istinto di gridare, nonostante Snorre sia davanti a lei, ferito e sotto il tiro nemico. Cosa ci fa a Spinarupe proprio ora che non è più un ostaggio? Perché ha lasciato Fontebella per infiltrarsi in terra straniera? E come può la regina Valesca averlo permesso? Lo guarda, un bavaglio in bocca, il naso insanguinato, un tentativo di rialzarsi che Hondo punisce tirandogli un calcio in pieno viso.
Gli Spilli lo circondano, puntano dita in segno d'accusa.
«Stava origliando. Ha visto i nostri volti.»
«Quello è un Fontebelliano!»
«Sì, è il vecchio ostaggio di Rugiada.»
«Ha rotto la tregua. Fontebella vuole la guerra.»
Uno di loro sfila la sciabola dal cinturone. D'istinto Evianne recupera un coltello da pesce, l'unica arma a portata di mano, ma non è necessario passare all'attacco, perché Shadee la anticipa e con una falcata decisa si frappone tra lo Spillo armato e Snorre.
«Mio re, è sangue nobile. Lasciate che ci spieghi per quale motivo è qui.»
All'interno della sala, tra i profumi di un pasto non consumato, l'aria è satura di tensione. Evianne guarda la scena con le orecchie che fischiano di paura. In quel momento ama tutto di Shadee, il suo senso dell'onore, la sua correttezza, il coraggio che mantiene mentre tiene testa al padre. Sono valori che lei non merita, ma non è il momento di pensarci.
Re Tavare abbassa la mano per ordinare ai suoi uomini di deporre le armi. «Buttatelo in cella. Lo interrogheremo domani.»
Non vuole parlare davanti a lei, davanti a quella serva a prima vista ingenua che ha rubato un coltello e per lo spavento ne ha premuto la lama nel suo stesso palmo. Alcune gocce di sangue scivolano sulle scarpe di Nandi, scandiscono i secondi che gli Spilli utilizzano per condurre Snorre alle segrete. Evianne vorrebbe intervenire, sarebbe disposta perfino a seguirlo nelle carceri per assicurarsi che stia bene, ma Bulbun la ferma per il polso.
«Bulbun» lo chiama il re. Snorre ormai è lontano, il suo corpo ha rilasciato sottili trine di sangue e fanghiglia sui tappeti damascati. «Porta la ragazza nei quartieri delle ancelle. Jaja, Hondo, voi due venite con me.»
*
Suo padre li conduce nello studio delle riunioni. Si getta sullo scanno intagliato nel mogano. Dietro di lui le teste impagliate dei cervi assistono alla scena dall'alto, dèi zoomorfi in attesa di giudicarli. Shadee e Hondo sono in piedi sul tappeto rosso che suo padre odia, perché detesta quanto è legato allo sfarzo e all'eccesso tipico della regalità. Quella cena ha preso una piega strana, anzi, mille pieghe, un sentiero di deviazioni in cui c'è da perdersi. Shadee si sente così, perso, dimenticato nel vicolo di un labirinto del quale non troverà mai l'uscita. Vorrebbe solo andare a dormire e risvegliarsi in un mondo diverso, ma adesso è arrivato il momento di lottare. Snorre Passo Svelto. Perché è tornato a Spinarupe? Si sapeva fosse un idiota, uno di quelli che seguono l'istinto e attivano la miccia dei guai senza preoccuparsi dei danni causati dall'esplosione, ma nonostante ciò, nonostante non lo ritenga un amico, non vuole che il suo sangue venga versato.
Hondo sposa la decisione opposta, arrotola le labbra e scopre i denti. «Risparmiarlo vuol dire ammettere debolezza. Ci dimentichiamo dei nostri morti?»
Shadee sospira. «No. Ci ricordiamo che non ne vogliamo altri.» Credeva di averlo solo pensato, invece un suono ha plasmato le parole, e ora suo padre lo fissa con il sopracciglio curvato dallo stupore. Non è da lui intervenire senza permesso, eppure quella sera ha tirato fuori una voce che per anni si è ordinato di soffocare. Ha difeso Chanti, sta perorando la causa di Snorre.
Il re lo studia come se lo stesse vedendo sotto una luce inedita. «Che cosa ne pensi?»
Shadee strabuzza gli occhi, si chiede se il fantasma di un inganno non si sia annidato nelle orecchie. A suo padre non è mai importato nulla dell'opinione altrui, invece adesso gli lascia il compito di spezzare il silenzio che li avvolge. «Vorrei la pace con Fontebella.»
Hondo si irrigidisce, un corpo torto in aperta ostilità.
Il re solleva una mano per interrompere ogni protesta. «Anche se il prezzo è alto? È meglio una guerra giusta o una pace ingiusta?»
Qualcosa stona in quella domanda. «Può davvero esistere una pace ingiusta?»
Nella sua mente pace è uno stato associato alla famiglia, alla serenità di un risveglio senza paure, senza il timore di un'armata nemica che varchi il Lago Oceano e minacci la propria terra, ma ancora una volta ha dimostrato di non capire nulla di politica.
Il sovrano fissa il loggiato fuori dalla finestra e con lo sguardo sembra navigare verso una bolla di passato. «Una guerra giusta. Tuo fratello mi ha risposto così. Gli assomigli meno di quel che credi.»
«Mi dispiace.» Un pungolo si infila tra le pieghe del cuore. Shadee ha passato una vita a imitare Jaja e ha fallito, non è riuscito a raggiungere il suo livello di grandezza.
Eppure, all'improvviso qualcosa, come l'ombra di un sorriso, increspa le labbra di suo padre. «Considerato che lui è un traditore, dovrei sentirmi sollevato. Meglio un sostenitore della pace piuttosto che un idealista sfrenato.»
Shadee sgrana gli occhi. Come è possibile che il grande re Tavare preferisca un pezzo di ricambio all'originale quando nemmeno lui sceglierebbe sé stesso?
Lo guarda accarezzare i braccioli dello scanno, volute di legno intarsiato, curvate sulla punta come gusci di chiocciole, e aspetta una risposta che non tarda ad arrivare. «Una guerra con Fontebella minerebbe la stabilità della nostra Bolla, perciò la evitiamo, Jaja.» È un monito dal quale Shadee dovrebbe trarre insegnamento. «Noi facciamo quel che ci conviene. Lascia la morale ai deboli e ai vecchi.»
*
Evianne segue Bulbun per i corridoi di Reggia Blu. Vive in un mondo popolato da troppi incubi che si sovrappongono tra loro. Lo spettro della prigionia a Spinarupe si sta dissipando, mangiato dal terrore per il destino di Snorre. Con tutti quei pensieri che vorticano in testa è difficile sincronizzarsi alla falcata ampia di Bulbun.
«Fermati.» La voce esce con un sussurro strozzato, si perde contro le volte a crociera che reggono il soffitto della reggia. «Bulbun!»
Il canterino degli Erranti si immobilizza in quell'orrenda tunica fucsia che ricorda il costume di una marionetta, ma non osa voltarsi. «Non chiedermelo» la prega, le spalle ossute curvate in avanti. «Devo portarti fuori da qui. È un accordo che ho con Chenzira. Qualcosa si muove nell'aria.»
Evianne si mordicchia l'interno della guancia. Non ha tempo per le profezie e le sensazioni di un aspirante griot. C'è Snorre in quella cella, picchiato a sangue, ferito, con il cappio del boia che domani stringerà sul collo, o peggio, con mille spilli che lo traforeranno come un gioiello tempestato di diamanti. Il suo gioiello, il suo migliore amico, il fratello che non ha mai avuto.
Appoggia la fronte alla schiena di Bulbun e lo abbraccia da dietro. «Tu lo faresti per Chenzira e Nandi.»
«Certo, ma hai sentito cosa ha detto re Tavare? Ti terrà a Reggia Blu per sempre!»
"Sempre" è un concetto infinito, uno in cui Evianne non crede quando entra in collisione con la sua volontà, perché nessuno potrà mai costringerla ad accettare un destino che non ha scelto per sé stessa.
«Non posso lasciare Snorre qui. Dammi il tempo di liberarlo e vi raggiungiamo al Nido. So come fare...»
Bulbun è in bilico, sospeso sul filo di una decisione che non riesce a prendere. Si concede una manciata di minuti per rimuginarci, poi sventola il codino di riccioli crespi al ritmo di una risata. «Il mio Chenzira mi ucciderà questa volta!»
Non c'è bisogno di altre parole. Evianne sa dove si trovano le prigioni, le ha visitate durante le sue notti da spia e in qualche occasione ha anche aiutato un paio di carcerati a fuggire. Raggiunge l'imboccatura di una scalinata di pietra che si avvolge su sé stessa come le spire di un serpente e inizia la discesa.
Le segrete sono scavate sotto Reggia Blu, nel punto più umido dell'intera Cittadella. Un odore di muffa infastidisce le narici. Sfere di vetro, inserite in alcune nicchie della roccia grezza, stampano tutt'attorno fasci di luce bianca che compongono un graticolato senza materia. Evianne lo attraversa e scende volteggiando sul perno della tromba. Gradini, gradini e ancora gradini. I ciottoli lasciano lo stampo sui piedi, oltre le scarpette dalla suola troppo leggera. È una sensazione fastidiosa, ma mai quanto il panico che prova nel sapere Snorre in gattabuia.
Quando arriva alle fondamenta, le celle la costeggiano ai lati, le supera scivolando nella penombra come un raggio di luce dorata. C'è puzza di rancido e di urina, segno che le guardie non hanno ancora svuotato i pitali dei carcerati. Senza tapparsi il naso, supera le prime celle dove i detenuti russano accompagnati dal ronzare di alcune mosche. Si ferma solo quando tra le inferriate riconosce Snorre.
Lo vede, acciambellato in un angolino, con la testa riversata indietro per bloccare l'emorragia al naso, e il sollievo si riverbera in lei con una scossa così potente da farla tremare.
«Snorre!»
Lui sussulta, sgrana gli occhi, abbagliato dalla presenza di Evianne che ha recuperato una sfera di vetro dalle nicchie e ora sembra emanare raggi di luce pura. «Ev, che ci fai qui?»
«Che ci fai qui tu!» ribatte lei, attenta a non svegliare gli altri carcerati. «Stai bene?»
«A me lo chiedi?» Snorre tenta un sorriso strafottente, ma il labbro tagliato fa male e gli ruba un gemito. «Sei sparita, non hai più scritto a casa. Mildri dava di matto, il Vecchio Saggio non ci diceva cosa leggeva nelle anfore, e io dovevo...»
«È tutto sotto controllo» mente Evianne. Sapere che si trova in quella situazione perché non ha saputo contattare casa la riempie di colpa. «Se mi avessero scoperto, re Tavare avrebbe inviato a Fontebella la mia testa su una picca. Ne sareste venuti a conoscenza, no?»
«Che gesto raffinato! Tendo a dimenticare che gli Spilli sono persone di gran classe!»
Si tira in piedi a fatica, le vesti lacere, la treccia color platino sfatta per metà. Immerso nella penombra umidiccia della cella, sotto il baluginio della sfera di vetro, sembra bianco come uno spettro risalito dall'Aralla, eppure è lui, vivo anche se malconcio, con quel ghigno insolente che a Evianne è mancato da impazzire.
«Allora, ragazzina? Qualche nuovo guaio da aggiungere alla lista?»
Evianne trattiene una risata che ha il retrogusto di lacrime. «Ho quasi rubato il marito a Mildri.»
Snorre fa passare una mano fuori dalle grate e gioca a rubarle il naso con un pizzicotto di dita. «E come potresti? Gliel'ho già rubato io!»
Per quanto le sia mancato il contatto fisico con la sua idea di casa, Evianne non può lasciarsi distrarre. Le mura alte delle segrete, senza una finestrella o un foro per l'aerazione, le ricordano il presente. Stringe la mano di Snorre e la porta alla bocca. È gelida e spera che il tocco delle sue labbra sia sufficiente a scaldarla. «Come ti tiro fuori di qui?»
La sua libellula di rugiada, così abituata a far scattare serrature, cerca invano di sbloccare il lucchetto. Gli Spilli hanno inserito un rovo nella toppa, chiuso la grata con la magia di Zeme, per evitare che un prigioniero troppo importante scappi.
«Tranquilla, non devi liberarmi. Se sono qui, è perché voglio essere qui. Ti è chiaro?»
«No.» È come brancolare nel buio. La sfera di vetro, incastrata sotto l'ascella, emette uno sfrigolio. L'olio sta terminando. Evianne non ha mai temuto le tenebre, ma in quell'istante il pensiero di restare senza un punto di luce la devasta.
Snorre non sembra allarmarsi. «Ascolta. Devi prendere le tue cose e raggiungere la porta principale di Reggia Blu. Vedrai una guardia con un garofano rosso che sbuca dalla tasca. Ti farà una domanda...»
«Che stai dicendo?»
«La risposta è "la mia ombra". Poi devi correre in direzione del porto di Baiasecca fino a quando non raggiungerai un fiume dove è attraccata una zattera.»
Evianne strabuzza gli occhi, le ciglia offuscano la vista come le ali di una falena che cerca di agganciarsi all'ultima fiammella. Non crede di aver capito. Snorre le sta dicendo di scappare e di lasciarlo lì? «Devi venire con me e poi non posso, devo parlare con Shadee.» Di colpo si ricorda che Shadee non esiste per chi non conosce la casata. «Shadee è...»
«Lo so chi è» taglia corto Snorre. «Lo farai dopo. Non torneremo mai a casa se non farai come ti dico.»
La quiete che prima decorava il suo sorriso si rimpicciolisce. Un tic dell'occhio che traballa, il dito tremolante tra le mani di Evianne, sono segnali d'allarme, le ricordano che il tempo passa e anche Snorre lo capisce.
«Evianne, se ci vuoi salvare...»
«Va bene.» Salverebbe Snorre a costo della sua vita. «Però...»
«Fidati.» Una sola parola, un imperativo pronunciato con rigore, occhi negli occhi, niente battito di ciglia. È come confrontarsi con il cuore in mano. «Ti ho mai delusa o tradita?»
No. Snorre c'è sempre stato. Era il guardiano che vegliava su di lei quando piangeva per la morte dei suoi genitori, era il fratello che si assicurava mangiasse nonostante lo stomaco chiuso, era il compagno che le suggeriva come attaccare con la spada cambiando di mano. Non potrebbe mai dubitare di lui, in nessuna circostanza, nemmeno nella più disperata.
Si concede un lunghissimo sospiro e annuisce. «Ci vediamo dopo.»
«Contaci.»
Se ne va senza aspettare una nuova parola per paura di pentirsi e segue i sentieri segreti di Niran. Il cuore tamburella contro la scatola toracica, tiene il tempo con le fitte che attraversano la schiena perché le ali continuano a premere per uscire. Supera le anfore di terracotta e le rogge dove scorre l'acqua. Gli Spilli non sono di vedetta, se non per una guardia isolata che nel taschino della casacca porta un garofano rosso.
Evianne getta un'ultima occhiata alla torretta centrale dove ha lasciato Shadee. Un pezzo di cuore è ancora lì, anche se quello non è un addio. Appena Snorre le avrà spiegato tutto, tornerà indietro, gli dirà il suo vero nome e gli chiederà di perdonarla.
«Dovunque tu vada, lei ti segue sempre.» La voce dello Spillo senza cappuccio la strappa dai pensieri.
Una domanda, proprio come aveva previsto Snorre. L'uomo ha la carnagione d'ebano della casata, il collo taurino inclinato come se la testa quella notte fosse un'incudine troppo pesante da sollevare. «Nessuna risposta?»
Evianne saltella sul posto. «La mia ombra.»
Le labbra dell'uomo mimano un "bene", ma il suono che scandiscono sparisce quando un boato rimbomba dal cuore di Reggia Blu, un tuono che risale dalle viscere della terra. È solo rumore prima che una corolla rossa rivesta la cittadella di fiamme.
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