45. Penso che io...
Shadee cavalca a briglia sciolta con Chanti tra le braccia. Il mese del Grano è famoso per i suoi rovesci nella regione di Rocciabuia. La pioggia si riversa sui loro corpi con violenza, grossi chicchi che si fondono al terriccio e rimbalzano in alto, riempiendoli di fanghiglia. Shadee non teme di ruzzolare giù da un dirupo, deve arrivare subito a Spinarupe e chiedere aiuto a Nandi. Più il tempo passa, più Chanti svanisce. Non ha mai ripreso coscienza e il battito al polso è così debole da far temere il peggio. Le parla, la scongiura, la supplica di rivolgergli un cenno, anche solo un arricciamento delle sopracciglia per tranquillizzarlo, invece nulla. La notte scivola via, oltre l'orizzonte frastagliato da rocce bagnate, un nuovo sole disegna uno spettro di tinte che variano dall'alba al tramonto. Un giorno abbondante di marcia ed è diventata quasi trasparente, al punto che Shadee può scorgere l'ossatura del volto e il tessuto d'oro assorbito dalla pelle. È come se l'anfora la stesse reclamando. Sottili trine di vapore escono dal suo corpo e la legano al tempio di Dagan, determinate a non lasciarla andare.
D'un tratto il battito al polso sparisce. Shadee impreca tra i denti e sferza le briglie di Astro per dirgli di sbrigarsi. Corrono così in fretta che il cuore si sincronizza agli zoccoli del cavallo battuti nella fanghiglia e i polmoni bruciano come se fossero i suoi a pompare aria.
«Resta» supplica. Il cappuccio di spilli picchietta sulla schiena, lo lascia a volto scoperto. «Non puoi andartene anche tu.» Non dopo sua madre e Jaja. «Resta.»
Shadee non si ferma nemmeno per una sosta, nonostante gli spergiuri di Hondo che arrivano da lontano. Al secondo giorno, ormai notte, si fionda con la violenza di una fiocina scagliata dalla balestra tra i Primi di guardia a Spinarupe; fa impennare Astro, lo blocca all'ultimo istante, solo quando raggiunge il Nido.
«Nandi! Chenzira!» strilla con il cuore in gola e cerca di scendere in qualche modo da cavallo.
Il tetto del Nido è stato riparato con ombrelloni di paglia. Alcuni fogli di carta oleata sigillano i buchi delle finestre. Shadee arranca con le gambe indolenzite verso la porta centrale, sbarrata da un'asse di legno massiccio. Si muove con poca grazia, ma per fortuna Chenzira arriva in suo aiuto. Gli sfila Chanti dalle braccia, le pupille ovali di drago contratte in due aghi verticali.
«Che è successo?»
«Fate qualcosa.» Shadee tenta un altro passo, ma le ginocchia incancrenite cedono e lo lasciano a terra, nella sabbia che puzza ancora di fumo e fuliggine. Alza lo sguardo giusto in tempo per vedere Chenzira fiondarsi all'interno del Nido. Il suo corpo è attraversato da una pulsazione di paura che lo rende scoordinato, identico a un burattino di latta con le giunture arrugginite. Il terrore batte in testa con l'insistenza di un picchio arrabbiato, colpisce, martella, perfora, lo accusa di non avere fatto in tempo, di avere sbagliato tutto ancora una volta. Non le ha nemmeno detto del fiore viola, non le ha nemmeno detto che si opporrà a suo padre e farà di tutto per non sposare quella donna.
Bulbun lo aiuta a rialzarsi. «Nandi è la migliore, lo sai, vero?»
Shadee annuisce e stringe lo zaffiro di sua madre come un amuleto per pregare gli dèi, supplica Dagan e Zeme di donare a Chanti la loro magia e di proteggerla.
«Forse è meglio se resti fuori» tenta Bulbun, il volto privo della solita espressione caricaturale. Perfino i canini dorati sembrano avere perso il loro luccichio oltraggioso. «Forse se mangi qualcosa...»
«No.» Shadee si libera di lui con una manata e si invita nella stanza di Nandi. La donna sta costringendo Chanti a ingerire una bevanda calda che puzza di fieno. La cala tra le labbra goccia dopo goccia e con le dita massaggia la base del collo per assicurarsi che deglutisca.
«Le hanno assorbito l'aura magica» spiega senza staccare l'attenzione dalla procedura. «È una cosa che non ho mai visto prima, è come se le avessero strappato la vita per buttarla in un altro posto.»
Nell'anfora di cui parlava Jaja. Shadee affonda le mani nei capelli corvini e preme sulle tempie per zittire i pensieri. La Sacerdotessa Rana parlava di forza di volontà, e Chanti ne ha sempre avuta più di lui. Che cosa può averla sconvolta al punto da rinunciare a vivere? È tutta colpa sua. Se solo si fosse sbrigato a trovare Jaja! Anzi no, non avrebbe proprio dovuto portarla al tempio, è stato un gesto incauto e adesso ne paga le conseguenze.
Prega Zeme e Dagan per non sa quante ore, finché un respiro dolorante non proviene dal letto. Alla luce della lanterna la vede, Chanti è viva, dotata di consistenza. Ha gli occhi aperti e confusi. Quando Nandi le stringe la spalla, la spinge via con una bracciata violenta.
«Va tutto bene» sussurra Nandi, con una gentilezza che Shadee non le ha mai visto addosso. «Sei al sicuro al Nido.»
Shadee fruga alla ricerca di una parola, ma si sente vuoto.
«Non adesso» gli dice Chenzira. Ha perfino l'ardire di sbatterlo fuori dalla porta come se non avesse il diritto di restare lì. Un po' lo odia per averlo cacciato, per averlo condannato al silenzio e all'ignoranza per un'ora che pare infinita.
Quando la porta si riapre, Shadee si catapulta oltre la soglia. Chanti è ancora nel letto di Nandi. Indossa il vestito di lino macchiato di sangue e trema, chiusa a guscio sulle ginocchia.
«Non vuole che la tocchiamo» gli spiega Chenzira. «Che cos'è successo?»
Shadee fissa inorridito il suo corpicino chiaro rivestito di lividi e morsi. Racconta tutto quello che sa, nulla di utile, perché quando l'ha vista era già ridotta a una statua che stava per sublimarsi in vapore.
«Posso parlarle?»
Chenzira gli strizza la spalla e gli sorride per rincuorarlo. «È scossa, piena di graffi e lividi, ma sta bene. Nandi dice che l'aura magica si sta rinvigorendo.»
Shadee dissente: non sta bene. Ha il volto rigato di lacrime che spazzano via la fanghiglia dalle guance. È dannatamente sbagliato che indossi quell'espressione distrutta e non il solito sorriso smagliante. Mai come in quel momento vorrebbe cancellare il presente e sostituirlo con la visione del tempio.
«Chanti?» Shadee la chiama piano. «Posso sedermi qui?»
Lei non risponde. È come se lo sguardo fosse rimasto intrappolato nell'anfora del tempio, come se Shadee fosse riuscito a portare via il corpo e avesse scordato l'anima. Vederla così lo spaventa, ma non scappa. Ha tutto il tempo del mondo da dedicarle, anche se Hondo a quest'ora avrà già raggiunto suo padre e lo starà accusando di tradimento.
Chanti affonda la testa tra le braccia. «Ho ucciso un ragazzo.» La voce è fatta da mille cocci di vetro. «Aveva forse tredici anni, ma si muoveva come un adulto e io non l'ho capito. Mi è saltato addosso e gli ho trafitto la carotide.»
Ancora in piedi a lato del letto, Shadee ricorda il cadavere che emergeva dalla nebbia nel tempio. Conosce quella sensazione, è la stessa che lo ha perseguitato dopo la morte di Isedu, che tuttora quando il buio cala gli fischia nell'orecchio con la sua voce da morto. Ma per lei è diverso, per lei non si è trattato di una scelta.
«Lui ti ha attaccata, tu ti sei difesa. Lo avrebbe fatto chiunque.»
Chanti scuote la testa in piccoli scatti. «Non sono chiunque. Nel mio nome c'è la vita.»
Chanti nella lingua di sua madre significa "spirito d'acqua", nulla a che fare con la vita. Shadee accarezza la coperta come se fosse una parte di lei. «Hai bisogno di riposare.»
«Era così giovane. Era solo un bambino.»
Alla fine, non si trattiene. La abbraccia, finché non la sente singhiozzare. Chanti lo trascina sul bordo del letto e lui si ritaglia uno spazietto sul materasso costellato di buche, la convince ad appoggiare la testa sulla sua spalla, come faceva sempre nelle serre di Fortezza Diaspro.
Lei sorride con amarezza. «È un bel problema.» Inghiotte un singhiozzo. «Ora che sei qui, nonostante tutto, penso che io...» Non lo dice. Non si può. Shadee sposerà la principessa di Fontebella, no, non lo farà. Troverà la forza di opporsi a suo padre come non ha mai avuto il coraggio di fare prima. «Puoi restare un po'?»
Shadee le bacia la fronte. «Penso che anche io...» Ma non lo dice. Potrebbe farlo, se stessero vivendo l'illusione del tempio, ma il presente è una bolla tempestata di doveri e rinunce. Prima di concludere quella frase deve chiarire con suo padre e rompere quel perenne senso di dovere che lo lega da sempre alla casata. Si sistema meglio sul letto. «Tutto il tempo che serve.»
*
Shadee se ne va solo dopo che Chanti si è addormentata. Vorrebbe restare fino al suo risveglio, ma ha paura di tirare troppo la corda e di indispettire il re. È l'alba e i colori del mattino pitturano i tetti con uno strascico che sfuma dall'albicocca all'azzurro, un affresco di toni che si riflette sui capelli bianchi dei Secondi più anziani mentre allestiscono il mercato.
Re Tavare lo aspetta nel suo studio. Da bambino, Shadee faceva sempre un gioco. Quando veniva chiamato a rapporto, studiava i boccioli di rose avviluppati ai pilastri del terrazzino, in cerca di un messaggio profetico: boccioli aperti significava nessuna ramanzina, boccioli chiusi una bacchettata sulle dita. Adesso che è grande, non ha più tempo per le superstizioni. Ha tradito la casata e non se ne pente.
Suo padre è seduto al tavolo delle missive, davanti a una tazza di ibisco in cui le ancelle hanno immerso un rotolino di cannella. Nessuna spira di fumo si arriccia sopra l'infuso, a riprova di come i pensieri gli abbiano impedito di bere.
«Non hai completato la missione che ti ho assegnato, Jaja. Hai sacrificato una magia potente per salvare una nullità anziché aiutare il tuo primo cugino.»
«Non è una nullità.» Shadee risponde d'impulso. In lui ribolle un rogo di rabbia che parte dagli occhi e si diffonde fino alla lingua, lo porta a compiere una leggerezza: non era previsto che il re sapesse di Chanti, non subito. Si schiarisce la voce con un colpetto di tosse e simula indifferenza. «È solo una serva. Aiuta Nandi al villaggio con le erbe. La conosco a stento.»
Suo padre preme le scapole contro l'imbottitura dello scanno e lo fissa come se stesse fronteggiando una minaccia. «È la stessa donna che hai ospitato a Fortezza Diaspro e che hai cercato di tenermi nascosta?»
La domanda arriva a bruciapelo, così inattesa da generare l'effetto di una vergata sul cuore. Shadee boccheggia, senza saper emettere un suono sensato.
Suo padre si alza in piedi. In genere lascia sempre che a dividerli ci sia un ostacolo per tenere le distanze e ricordargli l'importanza dei ruoli, adesso invece aggira il tavolo e lo fissa da pari. «Lei ti ha visto.» Non aspetta una risposta. La confessione è lì, incollata sul volto bruno di Shadee che non è mai stato bravo a mentire. «Sa chi sei.»
«Non lo dirà a nessuno.» È un giuramento al cospetto degli dèi che venerano e al tempo stesso è uno scongiuro. Shadee sa che Chanti non gli farebbe mai del male, ma come può dimostrarlo a suo padre senza rivelare che per lui è importante? Potrebbe ucciderla o menomarla come ha fatto con Maissa.
«Sei ancora troppo ingenuo» sospira il re. Appoggia una mano sulla sua spalla. Non la strizza come fa sempre Chenzira. Il suo è un gesto discreto, il tocco di una piuma che si posa per sbaglio su un ramo, eppure Shadee vi legge qualcosa di strano, qualcosa che non è affetto, ma gli assomiglia dannatamente. «Il tradimento inizia dalla fiducia. È così che è morta tua madre.»
Il cuore si cimenta in un'acrobazia scoppiettante che gli provoca una fitta al petto. Suo padre non parla mai della regina. È una ferita aperta ed è più facile nasconderla sotto la devozione verso la casata, anziché esibirla in pubblico.
«Perché me lo dite?» indaga senza abbassare lo sguardo.
Il re regge il contatto visivo, le iridi severe. «Perché non mi sono fatto problemi a toglierti un nome, non pensare che indietreggerei per una donna. Hondo!»
La porta si apre e suo cugino li raggiunge con il passo ciondolante di chi è pronto a dichiarare guerra all'intera Bolla. Dopo essere tornato a Reggia Blu, si è dato una ripulita. Il tirabaci dondola sulla fronte in un ricciolo impomatato.
«Sì, mio re?» canticchia assaporando ogni vocale e consonante.
Re Tavare volta le spalle a entrambi, scosta una tenda dalla finestra attraversata da un laborioso gioco di inferriate. Fuori i boccioli sui pilastri sono chiusi, attenderanno un nuovo giorno di sole per conoscere la luce.
«Manda dei fedeli a Dolce Acqua» ordina. «Voglio sapere tutto di quella ragazza.»
«Non è necessario.» Shadee interviene. È un passo falso, perché suo padre lo legge per intero, ogni debolezza, ogni pensiero, capisce che quella ragazza non gli è indifferente come ha provato a fargli credere.
Il re congeda Hondo e scarica un pesante sospiro a terra. «Sei così diverso da Jaja. Tuo fratello vive per un'idea per la quale è pronto a lottare.» Dopo aver vagato in cerchio davanti, recupera la tazza di ibisco freddo. Gli serve un sorso per affogare una risata amara. «Il popolo è ignorante, Shadee.»
Sentirlo pronunciare il suo nome genera un pizzicotto sottopelle, all'altezza del cuore. Lo chiama così solo nei momenti importanti, quando qualcosa lo turba e la psiche scivola in una piccola dimenticanza.
Suo padre non vi dà peso. «Nessuno di quei Secondi sa leggere. Nessuno conosce la politica. Sarebbe come mettere un ciuco alla guida di una carrozza regale. Ci farebbe cadere tutti giù da un precipizio. Tu hai il cuore di tua madre e se penso a come è morta...»
Lascia in sospeso la frase e lo studia alla ricerca di chissà cosa, forse dei lineamenti dolci che Shadee ha ereditato dalla regina, una donna che il re di Spinarupe ha sposato per matrimonio combinato ma che ha sempre amato.
«Questa cosa mi spaventa» confessa. Smette di guardarlo, perché nei suoi occhi deve esserci lo specchio di quella parola che le labbra hanno appena sfiorato: spavento. Shadee non vuole illudersi. Suo padre sta parlando di paura per lui in quanto erede al trono, non in quanto figlio. Se verrà assassinato, la casata non avrà un successore in linea diretta e a Spinarupe si rischierà un periodo di interregno. È per questo che le spalle di suo padre tremano, vero? Per questo che si appoggia ingobbito sul tavolo, cercando di schermarsi dietro la veste di cotone grezzo?
«Non fidarti di quella ragazza.» La voce ha perso ogni traccia di debolezza. «Non sai chi sia.»
*
Uccidere quel ragazzo l'ha distrutta. Evianne è al Nido, ma galleggia in un dormiveglia strano, come colpita da un attacco di febbre troppo intenso. Da moltissimo tempo non provava un dolore così straziante, è come avere un mostro di colpa annidato nelle viscere, una bestia avida che si nutre delle sue debolezze. Per giorni non si alza da letto, vede la gola del ragazzo sputacchiare zampilli vermigli, gocce che si plasmano in suoni di accusa: "Mi hai ucciso, Evianne, le tue mani erano fatte per guarire, e allora perché? Io appartenevo alla tua gente, io mi fidavo di te."
Vorrebbe strapparsi i timpani pur di farlo stare zitto, accecarsi con gli spilloni da cucito pur di levarsi di dosso il suo volto morente. A volte è divorato dai vermi che lo mangiucchiano, altre ancora annerito dalle fiamme di un rogo che lo consumano come un foglio vecchio, destinato all'oblio. Piccoli singhiozzi si arrampicano in gola e ruscelli di lacrime traboccano dagli occhi. In quei momenti di strazio, trangugia i tranquillizzanti di Nandi e torna al suo dormiveglia, solo per scoprire che il fantasma dei defunti non conosce barriere, nel regno dei sogni è ancora più inclemente.
Devono essere passati molti giorni dal suo ritorno a Spinarupe, quando Chenzira decide di prendere in mano la situazione.
«Adesso basta. Se vuoi sono qui per parlarne, altrimenti ti alzi e vieni di là a mangiare qualcosa.» Si siede sulla sponda del letto e si trattiene dall'arruffarle i capelli. «Non ho bisogno di spettinarti, sei già inguardabile così e puzzi anche un poco. Dico un poco solo perché sono un'anima gentile, amante della cortesia...»
«Finiscila!» Evianne gli tira un cuscino in pieno volto e tenta una risata, ma al primo suono le lacrime le riempiono di nuovo gli occhi. Non può dimenticare il ragazzo di Fontebella. Chi è stato a mettergli il cappuccio di spilli in testa? Chi gli ha tatuato la guancia con il fiore viola? Con un sospiro si lascia cadere sul materasso che è diventato la sua tana. In uno spazietto le sembra di intravedere ancora le pieghe delle lenzuola lasciate dal corpo di Shadee. È solo un'illusione perché da quando ha abbandonato il Nido non ha più saputo nulla di lui.
«Vuoi parlare di cos'è successo al tempio?» le chiede Chenzira. Non ha perso il dono di leggerle dentro.
«No.» È troppo presto.
Lui non insiste. «Shadee mi ha scritto. Vuole che ti riporti subito a Dolce Acqua. Suo padre sa di te.»
Evianne alza una spalla. Con ogni probabilità, a quest'ora, re Tavare si sarà consultato con Hondo e insieme lo avranno aggiornato, avranno frantumato tutte le bugie che Shadee ritiene specchio di verità assolute.
«Devo parlargli.» Scatta in piedi in cerca di un abito consono. La anima una strana follia, come se un dio le avesse messo sulle labbra le parole giuste da pronunciare. «Se non ha già scoperto chi sono, spetta a me raccontargli la verità. Non si merita le mie bugie. Gli spiegherò ogni cosa e mi perdonerà, e poi gli chiederò di non sposare Mildri e di darmi una seconda possibilità.»
Chenzira la ferma per le spalle, un gesto silenzioso che interrompe il suo discorso concitato. «Non è il momento giusto per seguire i sentimenti.» Il suo volto è severo. Non lo distrae nulla, nemmeno la teiera dell'acqua calda che fischia vicino al focolare. «Jaja è tornato.»
Evianne lo sa: ha risolto l'indovinello delle sirene e spezzato il maleficio della regina. «Non vedo cosa possa c'entrare con Shadee. Io devo dirgli tutto, capisci?»
«Sì.» Chenzira risponde troppo in fretta, fa sparire le mani nelle tasche della camicia. «So quanto sia difficile mentire a chi si ama, ma siamo vicini al nostro obiettivo e non possiamo rovinare tutto.»
Evianne guarda uno sbuffo di vapore uscire dalla teiera di porcellana azzurra che ora fischia istericamente. «E quale sarebbe questo famoso obiettivo?»
Chenzira siede di fronte a lei. «Il principe Jaja costringerà suo padre ad abdicare, diventerà re e ci donerà un futuro migliore.»
Una prospettiva rosea, eppure in quella visione allegra Evianne intravede delle macchie nere. Re Tavare non sembra capace di lasciarsi persuadere da qualche buona parola. «Ci saranno altre morti quando Jaja affronterà suo padre?»
Chenzira potrebbe mentirle, ma non lo fa. «Non esistono ribellioni senza sacrifici. Possiamo solo cercare di colpire con delicatezza.»
Colpire e delicatezza sono due concetti in collisione. Evianne prova a inculcare nella sua stessa testa dei pensieri che non le facciano mettere in dubbio le azioni degli ultimi mesi. È stato giusto allearsi con Chenzira. Re Tavare merita l'abdicazione. Per ogni lingua di griot che ha tagliato, per ogni decapitazione di un sospetto ribelle, per ogni bocca cui ha strappato il pane per arricchire la casata. Solo che non è più sicura che la strada degli Erranti sia quella giusta, non se porterà a nuove morti. Pensa a Shadee, ai suoi sorrisi tranquilli, al tocco gentile delle sue mani. Pensa a come le baciava la fronte e la cullava per aiutarla ad addormentarsi.
«Jaja è contrario alla violenza» dice Chenzira, sperando di dissipare le ombre che la tormentano. «Sceglierà il male minore per spodestare suo padre.»
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