38. Nessuna seconda volta
È da una settimana che Shadee la ignora. Le lascia del cibo vicino al letto quando la crede addormentata e senza una parola richiude la porta a chiave. È una punizione atroce, non tanto per la prigionia – Evianne rimedia da sé – ma per il silenzio a cui la sta condannando. Non pensava che a lungo andare la sua assenza potesse lasciarle un vuoto nel petto e invece succede ogni volta in cui sbatte contro un suo rifiuto.
Una sera, quando la raggiunge in stanza, sembra essersi dimenticato di lei. Si concede quei piccoli gesti che sono tipici dei momenti di solitudine: slaccia Spillo Bianco dalla cintura, sbadiglia, si stropiccia gli occhi come per elemosinare una pausa dopo essersi lambiccato su chissà quale grattacapo.
Evianne vorrebbe spendere una parola per rasserenarlo, ma teme di peggiorare la situazione, così resta immobile sul letto e lo fissa, chiedendosi se mai la noterà.
Quando Shadee la vede, una lieve fossetta, simile a una luna crescente, si scolpisce tra le sopracciglia, uno sbuffo sfinito esce dalle labbra. «Non puoi restare qui.» A quanto pare non ha ancora deposto le armi. «Ho delle priorità, e tu non puoi essere tra queste.»
Evianne si mordicchia l'interno della guancia, divertita dal modo in cui cerca di allontanarla, proprio mentre il suo corpo, inconsciamente, si accosta al letto e la sua ombra troneggia sopra di lei, decisa a catturarla in un abbraccio immateriale.
«Nemmeno tu puoi rientrare tra le mie priorità» gli dice e gli porge la mano. «È un accordo?»
Le ciglia di Shadee si abbassano confuse, gettano un'ombra negli occhi rossi, un muro per impedirle di capire. Rifiuta la mano, perché entrambi sanno che basterebbe quel contatto a sbriciolare le difese che lo circondano.
«Io non penso a queste cose» le confessa con una punta di imbarazzo. «Io...» si ferma, come se volesse gettare delle briglie sulle parole per tirarle via e portarle su un terreno più sicuro, lontano dal mondo delle emozioni. «È che non mi sono mai interessate, e...»
«Nemmeno a me» lo interrompe Evianne. Mai uno sguardo a un ragazzo, mai una fantasticheria su un bacio, mai una cotta, eppure adesso è cambiato tutto. «È solo che...»
Si ferma quando si accorge che quel "solo" non può che formare un ossimoro. "Solo" indica qualcosa di piccolo, "che" introduce qualcosa di gigantesco che la terrorizza e al tempo stesso attrae. Appoggia la mano sulla guancia di Shadee e l'incontro tra le loro pelli genera una scintilla, la conferma che le è mancato, non solo nei timidi contatti che hanno improvvisato alle serre, ma soprattutto nel modo in cui le riempie la mente e le ingigantisce il cuore.
«Non scappare» lo scongiura.
Shadee non intende farlo. Fa correre le dita tra i suoi capelli biondi, in una carezza delicata che si ripercuote in lei come un brivido, un gesto minimo che fa martellare il cuore. Le bacia la guancia e si ritira subito dopo, quasi vergognandosi di avere superato il limite di un sentimento platonico.
«Chanti...»
Evianne lascia che sia il corpo a rispondere e anche lei gli bacia la guancia, ma è attenta a sfiorargli l'angolo della bocca. È un segnale chiaro che spegne ogni inibizione e affoga ogni vergogna. Improvvisamente Evianne non sa più cosa stia facendo, è come se un'altra "sé" si fosse impossessata del corpo e lo stesse muovendo in un gioco di piccoli baci e carezze, di una dolcezza da bambini che a poco a poco sfuma e lascia il posto a un contatto più audace.
Ancora avvinghiati nelle reciproche braccia, cadono sul letto e restano immobili per minuti e ore, si lasciano avvolgere da una sensazione piacevole che ricorda il ritorno a casa dopo un lungo, tormentato viaggio.
Evianne non vuole pensare al domani. In quel momento, le basta chiudere gli occhi per tagliare fuori il resto del mondo. Mille griot hanno cantato i versi di amanti che appartenevano a schieramenti nemici e insieme sono riusciti a trovare la gioia. La dea Celin ha addirittura trasformato in umano il falco Flin che per dichiararle il suo amore aveva volato fino al sole, rischiando di bruciare. Perché il lieto fine dovrebbe essere precluso solo a loro?
Si ripete che è giusto così, anche se avranno il mondo contro, ma è un'illusione, e lo capisce quando Shadee si tende.
«C'è una cosa che non ti ho detto.»
Evianne si sente ubriaca, non riesce a pensare con chiarezza, ma il modo in cui Shadee scosta lo sguardo e assume un'espressione colpevole la allarma. «Che cosa?»
«Mio padre mi ha promesso in matrimonio alla principessa di Fontebella e io non posso scappare, né creare situazioni complicate. Non sono quel tipo di uomo.»
La realtà si riversa brutalmente su di lei, spazza via quel veloce sogno a occhi aperti cui si è concessa di credere. Stringe la mano di Shadee sapendo che in futuro non le sarà più consentito tenerla così vicina.
«Lo so.»
Sa che non è quel tipo di uomo, come ha sempre saputo che appartiene a un'altra. Ed è vero che a sua cugina non importa nulla di lui, ma è come se la stesse tradendo. Evianne non è mai stata egoista, ha sempre rinunciato a tutto pur di vederla felice, all'ultima fetta di dolce, a un vestito grazioso, alla vittoria durante un allenamento, e allora perché adesso è così difficile tirarsi indietro?
«Non ci sarà una seconda volta» gli promette. Un taglio netto farà meno male a entrambi.
Shadee concorda con un cenno, ma intanto la stringe, come se non volesse lasciarla andare. «Nessuna seconda volta.»
Mese del Soffio
Invece c'è. Una seconda volta, una terza, una quarta, ogni giorno un po' più in là, ogni giorno un po' di più. Evianne è intrappolata in un gioco di opposti. Più si obbliga ad allontanarsi da Shadee, più desidera addormentarsi tra le sue braccia. Non dovrebbe piacerle così tanto, quel principe nemico che conosce da soli sette mesi, invece si rende conto di adorarlo alla follia. È un sentimento nuovo che la terrorizza, perché ha paura di perdere di vista sé stessa e i suoi ideali.
La notte è il loro momento magico, lo era alle serre, lo è adesso, quando possono restare abbracciati in un letto gigantesco. Di notte Luva incontra Vala, di notte Evianne, nei panni di Chanti, bacia Shadee, gli accarezza i capelli finché non si addormenta. È lei a costringerlo al sonno. Quando abbassa la guardia, fa penetrare nella pelle una dose di rugiada e griffonia, per essere sicura che non si svegli e la sorprenda a indagare.
Nel giro di tre settimane, conosce Reggia Blu e gli Spilli che la abitano. Si imbatte in un ragazzino testardo che gioca a scalare le pareti, Niran; in Damen che raccoglie i sussurri della notte e se li mette in tasca per rivenderli al miglior offerente; in Kemala e Maissa che la interrogano sempre e non sanno se temerla come una nemica.
Una sera, nella prima luna del Soffio, si arrampica sulla guglia della torretta con i quartieri del re. I tetti compongono il suo itinerario segreto, le grondaie sono passerelle che le permettono di muoversi con l'agilità felpata di un gatto. Evianne si acquatta in una nicchia sotto la finestra che si apre sullo studio del sovrano.
Nel giro di un mese quel luogo è diventato la sua meta fissa, perché solo lì può origliare i discorsi segreti degli Spilli e comunicarli a Chenzira. Quatta quatta, allunga le mani sul davanzale esterno e sbircia oltre un graticcio di ferro. Re Tavare è seduto sullo scanno, davanti a una parete decorata da cervi impagliati. Gli Spilli, senza cappuccio, lo fronteggiano per portargli notizie.
«Non ho trovato nessuno al Corno del Sibilo» rivela un nobile dai capelli impomatati. «Un'inquisizione a sorpresa, ma loro avevano già sgombrato.»
È la volta di uno Spillo alto e ossuto con il naso adunco. «Non c'erano sacchi di grano nelle dispense di Terza Messe. Dicono sia stata una cattiva annata.»
Appoggiato a un arco intagliato, coperto da un viluppo di rovi e rose, c'è Hondo. Si guarda intorno, come se stesse giocando a trovare una differenza in un quadro che dovrebbe conoscere alla perfezione, in ogni minima sfaccettatura.
«Hai impiccato i dissidenti di Dossobasso?» gli chiede re Tavare.
«Lo avrei fatto, se li avessi trovati! Mio re...» Hondo scosta le scapole dall'arco e supera l'ottomana su cui siedono due nobili della casata con un vassoio di datteri e calici di vino. «Ho ragione di pensare che qualcuno stia sabotando le nostre missioni.»
Evianne sussulta. Il luccichio dorato di una spilla, sul doppiopetto del re, le restituisce un riflesso di sé stessa in miniatura. Si accuccia, rapidissima, perché Hondo non si accorga che quel particolare stonato, in quel quadro che conosce a memoria, è proprio lei.
«Zeme non abbandona la casata» replica il sovrano di Spilli. «Assicurati che i Secondi di Ottava Messe inviino i loro figli per il servizio militare. Sono indietro di sette teste.»
E lo saranno ancora. Non avranno mai quei ragazzi. Deve avvisare Chenzira, alla svelta, ma quando muove il piede per tentare la discesa, una tegola smaltata d'azzurro si stacca dal tettuccio. Evianne scivola in basso con il cuore in gola.
«Cos'è stato?» La voce di Hondo getta uno sciame di brividi sulle braccia.
Le dita, arpionate al davanzale, la tengono in equilibrio precario, i polpastrelli non fanno presa. Se Hondo si avvicinerà alla finestra, la vedrà. Non ha scelta. Si lascia cadere a peso morto e atterra sul tettuccio secondario. L'impatto le svuota i polmoni e annerisce la vista, un secondo soltanto. Non c'è tempo. Rumore di maniglia che gira. Scricchiolare di cardini da oliare. Evianne si schiaccia contro la parete, nascosta da uno scudo di rugiada su cui si riflette la notte.
Hondo guarda in giù, le labbra arricciate contro i denti. «È caduta una tegola.» I cocci sono sparpagliati sopra alle mattonelle blu. «Ma stanotte non c'è vento.»
Evianne resta ammutolita, schiacciata come una rondine dalle ali spezzate a ridosso del muro. Quando Hondo se ne va, ha le mani graffiate e i gomiti sbucciati. È tutta ammaccata, ma non perde tempo. Comunica le nuove informazioni a Chenzira grazie a una strisciolina di fuoco, in lei la consapevolezza di avere salvato delle vite.
*
Le notti successive, per settimane, continua la sua missione di spia. Smonta a una a una le iniziative degli Spilli, fa evadere condannati prima dell'impiccagione, modifica i turni di Damen perché non sia mai di guardia. È fiera di sé stessa, ma sente comunque di aver fallito. Ha rivoltato Reggia Blu come un calzino, eppure non ha trovato nulla sul fiore viola né sugli orfani di Fontebella. Vorrebbe scoprire tutto senza dover interrogare Shadee, senza doverlo ingannare con la stessa bocca con cui lo bacia, ma è inutile, ha bisogno di lui per svelare la verità.
«Hai scoperto qualcosa su tuo fratello?» gli chiede una sera, mentre riposa accanto a lui.
Shadee le circonda i fianchi con le braccia. «No. I diari nella sua vecchia stanza erano aperti. Sembrava un invito a leggerli, come a dire: "Fate pure! Tanto i miei segreti non sono qui!"»
E allora dove? Dove nasconde Jaja i segreti che Shadee e Chenzira stanno cercando? In quale tempio di Dagan è stato imprigionato? Più si interroga su Jaja, più Evianne capisce che la sua figura è ammantata da troppi misteri. Non sarà semplice trovarlo e aiutarlo a diventare re per pacificare le due Bolle.
«Prima che te lo dicessero, non hai mai pensato potesse essere un ribelle?»
Shadee scuote la testa. «Si era innamorato dell'ultimo ragazzo di cui avrebbe dovuto, e mio padre lo aveva promesso in matrimonio alla principessa di Fontebella.» A Mildri, un argomento che Evianne non vuole riaprire. «Pensavo fosse un motivo sufficiente per scappare. Avrei potuto perdonarlo, se fosse fuggito per essere felice, ma adesso...»
«Lo hai perdonato comunque. Sei solo troppo testardo per ammetterlo.»
«Non è così.»
«Non vuoi ucciderlo.»
«Non posso ucciderlo.»
Sono solo sfumature semantiche, sottili differenze tra potere e volere, le stesse che prova lei, assieme a mille dubbi, tutte le volte in cui si trova insieme a Shadee. Quello che le sta capitando è orribile. Non ha mai creduto nell'amore, non l'ha mai cercato, tantomeno voluto. Ha sempre pensato fosse una forzatura, una debolezza della mente. Capisce l'amore per la famiglia – Mildri, Snorre, la regina Valesca –, l'amore per la vita – è nelle radici del suo nome – ma arrivare a desiderare uno sconosciuto al punto da perdere di vista i propri ideali? Per lei è sempre stato impensabile, e allora perché con Shadee succede l'opposto? Perché resterebbe ore e ore a guardarlo, senza osare aprire bocca, per non correre il rischio di rovinare tutto e di vederlo svanire come un sogno al cospetto dell'alba?
«Domani mattina devo svegliarmi presto» lo sente sospirare, mentre gioca ad affondare le dita tra i suoi boccoli di cenere. «Ci sono dei sospetti ribelli alla guarnigione di Grigioscaglia. Hondo ha avuto una soffiata e mio padre ha già preparato le picche per le loro teste.»
Evianne può immaginare i cadaveri dei ribelli tappezzare in linea le vie principali della capitale, può sentire il gracchiare dei corvi beccare la loro pelle e mangiare i loro occhi.
«Penso starò via qualche giorno» continua Shadee.
Può sentire la puzza di marcio, distinguere le carcasse di donne e bambini, colpevoli soltanto di avere lottato per un tozzo di pane o un diritto negato. Se non potesse fare nulla, pregherebbe Shadee di ripensarci, invece può salvare quelle vite, anche se dovrà vendere in cambio un pezzetto della sua coscienza.
«Sta' attento.»
Shadee le bacia la fronte e quando lei ricambia, bocca su bocca, non si accorge della griffonia che penetra in lui e lo accompagna nel dolce reame dei sogni.
*
Grigioscaglia è accerchiata dalle fiamme. I cittadini hanno abbandonato le case, i pioppi sono spaventapasseri di legno che luccicano come torce. Shadee e Hondo, assieme a quattro degli Spilli, camminano tra i detriti, ascoltano il silenzio dei loro passi. Lo intramezza qualche colpo di tosse, perché il cappuccio non è sufficiente a proteggerli dal fumo.
«Merda!» Hondo prende a calci un secchio abbandonato vicino al pozzo. Sul fondo l'acqua ribolle.
«Hondo, per favore.» Shadee non ha voglia di una scenata. Hanno marciato per due giorni, solo per scoprire che di Grigioscaglia non rimane che la cenere.
«Perfino il loro piscio è ancora caldo» replica Hondo. Sbatte le imposte di una casa che si è salvata dall'incendio. «Qualcuno li ha avvisati.»
Gli abitanti di Grigioscaglia hanno incenerito tutto: le case, i magazzini, le colture. Hanno distrutto la loro patria perché non restasse nessuna prova del tradimento.
«Questo schifo però non lo distrugge nulla» soffia Hondo. «Nemmeno il fuoco.»
Un punto di luce brilla sul palmo, una spilla che ritrae una lira e una piuma d'uccello, lo stemma di Soumano, la conferma che i cittadini di Grigioscaglia erano davvero dei ribelli, nemici della casata. Devono avere preso il controllo della zona da qualche settimana, un colpo di potere che ha condannato alla morte chiunque cercasse di restare fedele agli Spilli.
Mentre perquisisce il villaggio abbandonato, Hondo trova alcuni cadaveri in una fossa comune dietro il campo di grano. Sputa a terra saliva, bile, disprezzo. «Questi sono quelli che non hanno accettato di diventare ribelli. Li hanno trucidati, quei sudici maiali.»
Shadee non riesce a guardarli troppo a lungo. «Seppelliamoli.» Prega in silenzio la dea Eren, recita gli inni che favoriscono il viaggio delle anime sul fondale dell'Aralla e inizia a scavare buche nella terra brulla. Non può cantare a voce alta, ma almeno nei pensieri spera di riuscire a dare onore a chi non ha tradito la casata. Si ripete che è un atto dovuto e non si ferma nemmeno quando è a pezzi e i muscoli dorsali iniziano a gridare pietà.
*
Nell'arco di poche ore accorrono alcuni contadini dai campi circostanti. Aiutano a domare le ultime fiamme. Al resto pensa il dio Dagan inviando una pioggia copiosa. Tutte le regioni a est di Spinarupe non conoscono la siccità di Sabbiafine e sono spesso soggette a grandi tempeste, scrosci d'acqua improvvisi che non riescono a coprire le proteste di Hondo. Suo cugino continua a gridare che qualcuno ha avvisato i ribelli, perché hanno sbaraccato in fretta e furia e hanno sperato di distruggere le prove della loro colpevolezza con il fuoco. Per la prima volta, Shadee si sente legato a lui. Li unisce la stessa rabbia, la stessa desolazione. Entrambi vogliono un responsabile, entrambi non sanno dove cercare. Sono sporchi di terriccio e fuliggine, e quando salgono a cavallo per tornare a Reggia Blu continuano a puzzare di fumo, nonostante la pioggia grondi a catinelle. Shadee la sente tutta, ficcata nelle ossa, fino al midollo.
I quattro Spilli che fanno da scorta elemosinano una pausa e un piatto caldo.
«No» nega Hondo. «Non finché non torneremo a casa.»
Cavalcano per due giorni senza sosta. Shadee ha le vesciche sulle cosce, i calli sulle mani, e la barba inizia a punteggiare il volto, lo rende più simile a un mendicante che a un principe. Quando si toglie il cappuccio, a Reggia Blu, la vecchia Liza lo riconosce solo grazie alle sue iridi rosse.
«Figlio mio!» boccheggia. Gli corre incontro con dei panni caldi.
«Non adesso» la prega Shadee. «Dobbiamo vedere mio padre.»
«Aspettava una vostra missiva da giorni.»
«E invece siamo arrivati noi» soffia Hondo. «Ordina che i cavalli vengano rifocillati, donna.»
Poi, senza una parola di cortesia, si catapulta nello studio del re, dimentico dell'etichetta che gli impone di bussare. È un esserino minuto e sporco, identico a un tiro di balestra che si conficca contro il tavolo. Shadee lo segue a passo moderato, giusto in tempo per sentirlo strillare.
«Qualcuno li ha avvisati!»
È il ritornello che Shadee subisce da giorni. Non ha mai visto Hondo così furioso, nemmeno quando Jaja, da ragazzino, ha deciso di punto in bianco di non essere più suo amico e di togliergli la parola.
«Non c'era nessuno» insiste Hondo. «Nessuno, se non degli stupidi contadini e la spilla di Soumano dimenticata tra le cenere. Sapevano che saremmo arrivati.»
Re Tavare smette di studiare il modellino di sughero che riproduce la Bolla di Rovi e fronteggia il suo miglior generale. «Solo noi eravamo a conoscenza della soffiata» gli ricorda. «Tra gli Spilli non ci sono ribelli.»
«Non sto dicendo questo...»
«E allora cosa?»
Per un attimo Hondo trema, rischia di sparire nella pozzanghera di gocce che la casacca deposita sul tappeto damascato. «Sto dicendo che qualcuno li ha avvisati. Non so chi, ma lo scoprirò, dovessi uccidere ogni sospettato con le mie stesse mani.»
Lo sguardo del re promette guerra. «Non farai nulla del genere. Ho già dovuto rimediare ai colpi di testa di tuo padre. Dopo Bara non posso permettermi di giustiziare anche te. Vuoi disonorare la casata, Hondo?»
La temperatura si raggela, ogni traccia di calore viene consumata da un silenzio teso che Shadee sente penetrare nelle braccia. Quello di Bara è un nome che a Reggia Blu non si può nominare. Il fratello minore del re, giustiziato dallo stesso sovrano con la tomba di rovi perché accusato di tradimento.
È un colpo basso rimproverare Hondo sbattendogli in faccia la morte del padre. Shadee vorrebbe intrufolarsi nella conversazione per addolcire i toni, ma è troppo infreddolito per parlare e così si limita a posare una mano sulla spalla del cugino. Dopo aver condiviso con lui l'orrore di Grigioscaglia, non vuole infliggergli un'ulteriore tortura.
Hondo sussulta, sorpreso da quel gesto inatteso perché in fondo loro due non sono mai stati grandi amici. «Sono fedele a voi e alla casata» esclama. «Non sono come mio padre.»
Re Tavare annuisce e con uno svolazzo della mano li congeda. «Nessuna operazione non autorizzata. E adesso sparite dalla mia vista.»
Shadee non se lo fa ripetere due volte. Non vede l'ora di tornare nella sua stanza. Spera che Chanti sia lì ad aspettarlo e che non abbia trovato un modo per scappare da Reggia Blu e lasciarlo. Il caldo delle lenzuola, il suo profumo di pulito, la pelle morbida che gli solletica il collo. Non si è mai interessato alle donne, come Jaja credeva di essere immune al loro fascino, ma in quel momento capisce che si trattava solo di un pregiudizio perché non aveva ancora conosciuto la persona giusta.
Rimane pietrificato. La persona giusta è la principessa di Fontebella, Midrad, Manfrid o come si chiama, è la donna che sposerà per il bene della sua gente e per donare la pace a entrambe le Bolle. Non dovrebbe compromettere Chanti. Dovrebbe darle la possibilità di conoscere un uomo per bene e non trasformarla in un'amante. Ma quando apre la porta e la vede sul letto, il buon senso svanisce.
«Che ti è successo?» gli chiede lei.
«Non li abbiamo trovati.»
Chanti lo aiuta a togliersi la casacca zuppa e poi fruga con le dita sotto lo sporco e la barba alla ricerca del suo volto, lo stringe per non lasciarlo più andare.
«Stai bene» sussurra, piena di riconoscenza.
Shadee non sente più il freddo filtrare tra le ossa, perché Chanti, che ama la pace e si preoccupa sempre per degli sconosciuti, sta pensando soltanto a lui. Ora che la guarda ne è ancora più convinto, deve recidere quel legame che di giorno in giorno diventa sempre più importante, ma non adesso. Ci penserà in un domani che non deve per forza essere il prossimo.
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