30. Sulle tracce di un traditore
Shadee ignora le raccomandazioni di Chanti. Non conta fino a sette e si allena con suo padre tutte le mattine. Incassa colpi, affonda nella sabbia e ogni volta in cui si rialza giura a sé stesso che non sarà una delusione e renderà il re fiero di lui. Conquistare la sua stima e il suo amore è il motivo che gli dà la forza di uscire dal letto al sorgere del sole, anche se i muscoli e le articolazioni lo pregano di non farlo. Con Nandi al villaggio e Chanti lontana, spetta a Maissa improvvisarsi guaritrice e ricucire le ferite. Lo fa senza aiuti magici, con ago e filo, motivo per cui, in poco meno di due settimane, il corpo di Shadee diventa un affresco di lividi, suture e squarci. Suo padre ritiene che ogni taglio sia una medaglia d'onore. Kemala non concorda. È ospite stabile della torretta centrale e lo controlla di continuo appena crede di non essere vista. Non parla mai ma a volte, quando lo sente gemere o lo vede cadere, scatta sulle punte e si sigilla le labbra come se si stesse imponendo di tacere.
«Puoi dirmi cosa pensi» tenta Shadee una sera, dopo che Maissa ha finito di ricucirgli un taglio sull'avambraccio.
Kemala è venuta in cerca della sorella, lo fissa con la bocca piegata in una smorfia. Fa indugiare lo sguardo su un livido che gli gonfia lo zigomo. «Non pensavo fossi così stupido.»
Qualche giorno dopo Shadee va al campo di allenamento. Resiste per un'ora senza incassare colpi ma l'epilogo è il solito: finisce steso a terra, sotto il tiro del frustino che suo padre sfila dalla cintura per rimproverargli l'errore. Stringe i denti in attesa del colpo, ma sopra di sé percepisce solo una vibrazione d'aria.
Chenzira ha intercettato la vergata con Spillo Rosso. Si erge tra il suo allievo e il sovrano come uno scudo umano che non intende spostarsi. «Questo non è un modo sano per allenare. Questo è un massacro e io non resterò a guardare un secondo in più.»
Deve essere impazzito. Nessuno può criticare suo padre, tantomeno ostacolarlo, è come duellare contro un titano che indossa una maschera di impassibilità e acciaio e non si lascia scalfire da nulla, nemmeno dall'acqua che logora un poco alla volta, figurarsi dal fuoco di Chenzira.
«Sei un mio suddito, figlio di Liesna. Forse hai dimenticato la tua posizione?» La voce del re è un soffio che saprebbe ridurre al silenzio perfino l'uomo più coraggioso.
Ma non Chenzira. Il soldato punta i piedi nella sabbia e si rifiuta di abbassare il capo in segno di sottomissione. «La mia posizione è esattamente questa.»
«Chenzira...» Shadee lo supplica, mentre cerca in malo modo di tirarsi seduto. Non può permettere che finisca nel mirino di suo padre solo perché lui non ha ancora imparato a combattere. «Non serve.»
Il suo maestro gli risponde con un sorriso che è il ritratto della tranquillità. «Invece serve. Sono rimasto in disparte anche troppo a lungo.»
Il caldo di Sabbiafine deve avergli dato alla testa. Nessuno osa sfidare suo padre, è il sovrano dell'intera Bolla ed è abituato a debellare ogni rivolta con le misure forti, perché da sempre tutto in lui è sottomesso al rigore e alla disciplina.
Re Tavare accarezza l'elsa della sciabola. «Devo ricordarti che Bulbun ha violato le regole della casata e che continua a farlo quotidianamente? E devo ricordarti che solo per intercessione della regina l'ho risparmiato? Che solo grazie alla mia clemenza la sua testa non è finita su una picca assieme a quella della tua sgualdrina del deserto?»
Basta nominare Bulbun e Nandi perché il fuoco di Chenzira si spenga e una cascata di gelo si riversi su di lui, gli rubi la forza di ribattere. Shadee sente la gola stringersi in un laccio. «Chenzira, per favore.» Non vuole costringerlo a scegliere tra il suo allievo e la sua famiglia. «Va' al villaggio.»
«E restaci» conclude suo padre. «Restaci fino a quando non ti sarai schiarito la memoria. È mio figlio e spetta a me pensare a lui. La prossima volta che un Secondo lo attaccherà grazie ai miei insegnamenti saprà difendersi. I tuoi allenamenti da donnetta lo hanno solo rammollito.»
Chenzira non sembra convinto, ma le gambe non condividono più la ferrea rigidità di poco prima, nei suoi occhi si affaccia una profonda angoscia che Shadee non può sopportare. È il suo maestro e lo protegge da quando era bambino. Per una volta vuole essere lui a difenderlo.
«Vattene» lo scongiura. «Ha ragione lui, non tornare.»
A malincuore Chenzira dichiara sconfitta e con uno sguardo infuocato, saturo di rabbia e umiliazione, se ne va.
*
La settimana successiva suo padre aumenta l'intensità dell'allenamento. L'unico sollievo che Shadee si concede sono le visite serali alle serre, anche se sa che Chanti non sarà lì. Una notte in cui è particolarmente stanco si siede con la schiena premuta contro il tronco d'arancio. Fuori c'è una leggera tempesta, un evento raro a Sabbiafine. Dalla sua posizione di rilassamento guarda la pioggia picchiettare contro il vetro della cupola al ritmo di una gentile ninnananna. Sebbene sia solo, il regno di sua madre continua a donargli serenità, una pace interrotta da uno sguardo di carbone che lo spia pensando di non venire notato.
Kemala e il suo brutto vizio di seguirlo ovunque. Shadee non vuole che entri nelle serre di sua madre – è un privilegio che ha riservato solo a Chanti e a nessun altro – ma non ha la forza di opporsi. Che agisca come crede, che mediti pure una nuova vendetta, che lo uccida appena crollerà addormentato senza cappucci e difese. Tanto ridotto com'è non avrebbe mai il coraggio e la forza di proteggersi.
Ma quando Shadee si sveglia poco prima dell'alba è ancora vivo, sul suo corpo non ci sono segni di ferite, né lividi di percussioni o sintomi rilasciati da un potente veleno. A sonnecchiare nella coppa della mano c'è solo un bigliettino con una singola frase che Kemala, ora svanita, gli ha lasciato.
Hondo è qui.
Hondo Millelance. Suo cugino, nonché il miglior generale di suo padre. Ci mancava solo quella seccatura! Non sono mai andati d'accordo e non perché hanno dieci anni di differenza, ma perché Shadee ha sempre disprezzato la cattiveria gratuita che lo accompagna sin dall'infanzia, quando per divertimento inchiodava salamandre agonizzanti agli stipiti di Spinarupe.
Bisogna tenersi lontani da quelli che come Hondo sono nati arrabbiati con il mondo. Figlio di Bara, fratello minore del re, e di una prostituta dalla pelle bianca, è stato tacciato dalla casata come l'errore di una nottata brava, visto come uno scarto, soprattutto dopo che suo padre è stato giustiziato per tradimento. Contro ogni aspettativa, Hondo non ha mai cercato di vendicarsi su re Tavare, ma con il passare degli anni è diventato un ottimo alleato, il braccio destro che lo segue in ogni missione come un'ombra legata alle calcagna.
Se Hondo adesso è arrivato a Fortezza Diaspro, significa che ci saranno guai all'orizzonte. Shadee non si sorprende quando suo padre lo convoca per un colloquio urgente. È grato a Kemala di averlo avvisato: se proprio dovrà misurarsi con uno psicopatico sadico, tanto vale farlo con consapevolezza.
Cercando di non lasciarsi contaminare dal cattivo umore, raggiunge re Tavare nello studio del governatore e lo trova seduto dietro un'enorme tavolata costellata da pile di fogli. «Jaja, come vedi abbiamo ospiti.»
Hondo si erge di vedetta alle sue spalle. È piccolo per essere uno Spillo e, come Shadee e Jaja, nati da una straniera di Dolce Acqua, ha la pelle di una gradazione più chiara rispetto al resto della casata. Senza la barba, con le spalle strette e le guance scavate, ricorda un bambino, ma la sua ingenuità cozza con le iridi di ghiaccio e il taglio severo della bocca.
«Hondo.» Shadee lo saluta con una lieve inclinazione del capo. «Spero tu abbia fatto buon viaggio.»
Hondo si lecca le labbra, assapora il gusto della sua stessa saliva. Gli occhi ardenti di follia spiccano sul viso olivastro e sugli zigomi affilati. «Mai buono quanto la caccia che ci aspetta, cugino. La casata non può restare invendicata. Qualcuno potrebbe accusarci di debolezza.»
«Firoze dei Chiomati mi ha detto che hai cercato Isedu, senza riuscire a trovarlo» interviene suo padre.
Shadee abbassa la testa, quando un'onda di vergogna lo travolge. «Ho provato a rintracciarlo fino al Lago Oceano, ma non ho fatto in tempo. Quando mi sono messo in viaggio era già troppo distante.»
Hondo fa scoppiettare la lingua sul palato nell'abbozzo di una risata. «Cugino, la tua purezza mi sconvolge.» Sogghigna da solo, sventolando all'indietro i boccoli spettinati. Il tirabaci dondola sulla fronte identico a una molla. «Il topo non scappa quando il gatto lo cerca. Il topo si nasconde. Scivola via solo quando il nemico lo pensa lontano.»
Shadee non riesce a crederci: «Sai dov'è Isedu?»
Una spaccatura divide il cuore in due porzioni che contengono desideri opposti: da un lato la foga di uccidere il Secondo che ha ferito la casata, dall'altro la paura di commettere un passo sbagliato. Ripensa alla notte trascorsa con Chanti sul Lago Oceano e teme di specchiarsi nelle onde e al posto del suo volto di trovarvi il ritratto di un assassino.
Suo padre incrocia le braccia sul petto. «Hondo è venuto a Sabbiafine con me, ma anziché fare tappa a Fortezza Diaspro, si è messo subito alla ricerca del traditore e ha trovato la pista.»
Shadee stringe i pugni. «E adesso? Che cosa avete intenzione di fare?»
I volti di Hondo e del re si riempiono di un mezzo sorriso nello stesso istante, come se fossero uno il riflesso dell'altro. Suo padre fa pressione sulle mani per alzarsi. «Prepara il cavallo, Jaja. Andiamo a caccia.»
*
È la legge: i traditori devono essere giustiziati. Sono un rischio per la casata, minano la stabilità della Bolla, per colpa loro a pagare sono sempre gli innocenti. Shadee dovrebbe essere felice di avere ricevuto da suo padre l'incarico di rintracciare Isedu. Era quello che voleva quando è scappato da Fortezza Diaspro dopo l'attentato ai Mille Soli, ma ora che Hondo gli sta offrendo una pista, vorrebbe essere ovunque fuorché lì.
Assieme a suo padre e a suo cugino, cavalca nel deserto da ore. Il cappuccio di Spilli in testa, Astro che chiude la fila del terzetto. Il traditore sarà morto prima del tramonto. Nonostante siano passate settimane, Hondo ha fiutato le sue impronte e annunciato che le ultime risalgono a qualche ora prima.
Ogni tanto scende da cavallo e si inginocchia a terra, nell'atto di saggiare la sabbia. «Non sono state rovinate dalla pioggia di stanotte. Impara, principe. Ogni impronta ha una parola. Devi guardare la profondità, percepire l'umidità del terreno, analizzare i dettagli lasciati dalle suole.»
Shadee lo segue con uno sbuffo trattenuto. Suo cugino non è che il solito spaccone mezzo matto. «Deve essere come dici tu.»
«È vicino» conferma Hondo. Tra le mani ha due sassi che sembrano essere stati scostati da una camminata disordinata. «Guardate queste impronte.»
I segni lasciati dai sandali serpeggiano incerti, come se a imprimerle nel terreno fossero state gambe stanche. Il deserto ha stremato Isedu. Quella zona non offre un'oasi dove abbeverarsi, ci sono solo rocce roventi, nelle quali si scavano piccole grotte che offrono nascondigli sotterranei.
«Sicuro che starà marcendo in una di quelle cavità» ipotizza Hondo. Sputa a terra, come se il pensiero del Secondo avesse contaminato la sua stessa saliva.
«Dividiamoci» ordina il re. Sono le sue prime parole da quando hanno lasciato Fortezza Diaspro. Gli piace cacciare in silenzio, crede che il troppo rumore possa giocare a vantaggio della preda e darle il tempo di scappare. «Chi lo trova, chiama gli altri. Senza ucciderlo.»
Uccidere non è forse lo scopo della missione? Uccidere per vendicare la casata. Shadee dava per scontato che fosse così e invece si sbagliava. Non riesce a intuire i piani di suo padre, teme di essere rimasto incastrato in un gioco mentale. L'istinto gli dice di voltare Astro e di tornare nei suoi quartieri, ma il senso del dovere, ancora una volta, lo invita a procedere. Lega Astro a uno sperone di roccia.
«Io vado nella grotta al centro.» Si prenota l'ingresso più grande, il più appariscente, l'ultimo che un fuggitivo sceglierebbe perché verrebbe subito trovato.
«Dilettante» sussurra Hondo, quando lo supera e punta il cunicolo di sinistra.
Dilettante, è vero, ma Shadee ha scelto quella cavità con consapevolezza, perché a differenza di qualche settimana prima l'ira si è spenta e lui non vuole trovare Isedu, ha paura di sé stesso, di cosa accadrà dopo. Quella notte, sulle sponde del Lago Oceano, è riuscito a reprimere l'influsso di Luva che gli gridava di uccidere, ha conquistato un barlume della sua identità e per una volta ha saputo scegliere. Con Chanti ha iniziato a tratteggiare alcuni aspetti di sé che fino a quel momento aveva ignorato, ha persino scoperto il suono della sua risata, ma adesso... non può trovare Isedu. Se lo avrà tra le mani sarà costretto a ubbidire a suo padre e perderà quei piccoli progressi che ha appena conquistato.
Mentre scende tra rocce acuminate e granelli di sabbia che franano dal soffitto, prega che il Secondo non sia lì. Trattiene un'imprecazione tra i denti quando gira oltre l'ultima curva di pietra e lo vede, in uno slargo alla fine del vicolo cieco. È rannicchiato contro un masso e ha il volto inondato di sudore, trema scosso dalle convulsioni, acciambellato nelle sue stesse ginocchia.
La luce del sole filtra dalle fenditure del soffitto. Lo illumina con un getto che rende impossibile fingere di non averlo visto. Perché non lo ha trovato Hondo? Perché proprio lui? Guarda l'erba che il Secondo stringe, mentre a fatica trattiene un conato di vomito. Bolla di rospo, una radice nera e bitorzoluta che cresce nel deserto. Non è letale, ma il corpo umano la rigetta.
«Ti prego» lo supplica Isedu con un singhiozzo in gola. Non ha nulla dello spietato assassino dei Mille Soli. È solo un uomo che ha paura, e Shadee... Hondo è lontano, il re anche. Gli basterebbe andare via e mentire, ma non può deludere suo padre.
«Padre» esclama, un richiamo appena sussurrato, eppure sufficiente per attirare l'attenzione su di sé.
«Stupido di un traditore» canticchia Hondo, non appena lo raggiunge assieme al re. «Borrelpadana. Se non l'avessi mangiata, saresti sopravvissuto un giorno in più.» Impugna l'elsa per rivendicare la testa del Secondo come un trofeo.
«Fermati» gli ordina il re. La sua non è pietà. Sta solo seguendo uno schema, un piano che Shadee sospetta e che non gli piace per niente.
Qualche settimana prima non avrebbe chiesto altro, ma adesso ha fatto pace con il cuore e non vuole lottare ancora una volta con sé stesso, dover sognare, di notte, il volto di un uomo che lui stesso ha ucciso.
«Lo farai tu, Jaja.» Suo padre non capisce. «Organizzeremo un'esecuzione pubblica perché il popolo ne tragga insegnamento.»
Non gli lascia il tempo di replicare ed esce dal cunicolo, mentre Hondo lega Isedu per i piedi e lo trascina tra i sassi come la carcassa di un animale.
Shadee resta immobile, perso nei suoi pensieri, a ripetere le parole del re. "Lo farai tu." Davanti a tutti, davanti al popolo. Il cuore batte all'impazzata, ma Shadee lo costringe a zittirsi. È l'erede degli Spilli, l'orgoglio della casata, il vanto di suo padre. Tutto il resto non può avere importanza.
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