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27. Equilibri spezzati

Quando Shadee si sveglia, si chiede perché non sia morto. Ricorda un dolore mai sentito prima diffondersi a raggiera dallo stomaco, sente la mano del Secondo premere sulla bocca e poi ancora la spada che lo infilza. Una, due, tre volte, fino a perdere il conto. Nessuno sopravvive a un assalto simile, e allora perché riesce ad aprire gli occhi e a distinguere il soffitto della sua stanza? I morti non vedono, i morti non sentono. A lui sono concesse queste azioni solo perché è stato salvato. Nella sequenza dei ricordi sente la voce di Chanti che lo chiama, ma è come se provenisse da un altro pianeta, un asterisco minuscolo che la galassia allontana per dispetto.

Quando si accarezza lo stomaco, rivive un paio di mani morbide che schiacciano la ferita per bloccare l'emorragia. Lo ha salvato per la seconda volta, anche se adesso non è al suo fianco. Con una punta di delusione nota che non è lei la donna nella stanza.

Kemala è legata all'armadio e si dimena come un animale in gabbia. Nonostante abbia il labbro spaccato non piange, non si commisera per essere stata catturata. È troppo indaffarata a spingere germogli di rovi sulle dita nel tentativo di spezzare la catena. Non funzionerà, Zeme non cede il potere a chi tradisce i propri simili.

Shadee si sorprende di non essere arrabbiato con lei. Non cova nemmeno l'ombra di un risentimento, solo non capisce. «Noi non ci uccidiamo a vicenda.» La casata prima di ogni cosa. «Noi siamo una famiglia.»

Kemala sussulta, sa che è sveglio, vivo, due consapevolezze sufficienti a rinsaldare il disprezzo che le contrae il volto. «No, certo. Noi non ci uccidiamo. Noi ci torturiamo, massacriamo e odiamo. Per quelli come noi sarebbe un atto troppo buono limitare la pena concedendoci la morte.»

Lo odia come Shadee non aveva mai pensato fosse possibile, anche se adesso è chiaro: Kemala non ce l'ha con lui, ma con tutta la casata. Il suo è un rancore antico che chissà per quanto ha nascosto dietro la maschera della bellezza. Resta a guardarla in silenzio, la guancia che preme sul cuscino, senza sapere che dire.

Dal cantone in cui è stata imprigionata Kemala strattona la catena. «Non mi chiedete perché?»

Da quale perché dovrebbe iniziare? Kemala è stata al suo fianco sin da quando Jaja è scappato. Perché ha provato a infilarsi nel suo letto? Perché lo ha seguito a Fortezza Diaspro? Perché voleva ucciderlo? Tenta di passare la lingua sulle labbra inaridite e rivive i fallimenti che ha collezionato sin dal suo arrivo a Sabbiafine. «Immagino tu abbia avuto misericordia di me.»

Non è la risposta giusta. Lo sguardo di Kemala, lucido di odio, lo conferma. «Siete tutto ciò che resta a vostro padre.»

Una sensazione di gelo lo travolge. Suo padre non lo ha mai amato e allora perché... No, non è una questione di amore. Kemala non sta parlando di Shadee in quanto Shadee, ma in quanto erede della casata. Non l'ha colpito per un risentimento personale, ma per concludere un piano orchestrato con cura e pazienza. Il fratello maggiore di Kemala, Selassie, è rimasto ucciso in dinamiche sospette a soli diciotto anni, una disgrazia che se ne è trascinate dietro altre a catena, fino ad arrivare alla menomazione di Maissa.

«Lo avrei fatto anch'io» pensa Shadee. Si rende conto di averlo detto ad alta voce solo quando Kemala sobbalza.

Una strana espressione le attraversa il viso, una smorfia raggelante dove si mescolano ripugnanza e sorpresa. «Non fingete di capire.»

«Lo hai fatto per tua sorella.»

Lo stupore sul volto di Kemala aumenta, ma solo per un secondo. «Maissa ha commesso una leggerezza. Ha descritto il volto del re a uno straniero, e lui le ha tagliato la lingua. A un membro della casata, alla sua famiglia.» Pronunciata così, la parola "famiglia" suona come una maledizione. «Ha smesso di esistere quel giorno, e mio padre, gli altri fratelli hanno fatto a stento un cenno e ritenuto che quel gesto fosse giusto. Selassie non lo avrebbe permesso, ma lui...» Era già morto. «E allora spettava a me fare qualcosa.»

«Tu disprezzi Maissa. Continui a insultarla.»

Kemala si drizza sui talloni, lo fissa come se fosse il ritratto di un idiota. «Certo! Se mi avessero catturata, nessuno avrebbe sospettato di lei. Avrebbero dato la colpa a me, una donna offesa perché un bel principe l'ha rifiutata preferendole una straniera.»

Per questo ha iniziato a corteggiarlo in pubblico in una maniera così smaccata, per assicurarsi che tutti sapessero. Shadee accomoda la testa sul cuscino e si costringe a respirare per restare lucido. La milza pulsa e con lei il fegato, i polmoni e le tempie, colpa dell'antidolorifico il cui effetto inizia piano piano a scemare. Per un po' resta in silenzio ad ascoltare il respiro arrabbiato di Kemala, finché lo sguardo non cade su Spillo Bianco. La spada è appoggiata al comodino ed è ancora impregnata del suo stesso sangue.

Shadee pensa a cosa farebbe se davanti a lui ci fossero i due Secondi che hanno ucciso sua madre. Non ha più dubbi. In qualche modo riesce a scendere dal letto senza cadere e a raggiungere Kemala, le gambe che lo reggono a stento. Con la punta della lama fa scattare la serratura per liberarla, trova per miracolo la forza di inchinarsi davanti a lei e di passarle la spada.

«Puoi finire l'impresa che hai tentato e scappare lontano» le dice, i denti contratti per non svenire. «Oppure puoi restare sotto la mia protezione e perdonare il tuo re.»

Kemala non ha bisogno di pensarci. Gli strappa la spada di mano. La luce proiettata dal candelabro le accarezza i lineamenti delicati, illumina la traccia di un dolore che per anni ha tenuto nascosto in profondità. Il desiderio di vendetta brilla nei suoi occhi neri, ma adesso si mescola a un misto di stupore che la fa tremare.

Shadee la aiuta a posare la punta affilata sopra il proprio pomo d'Adamo. «Decidi adesso. Se lo farai, Chenzira capirà il mio volere e ti aiuterà a scappare.»

Le basterebbe esercitare una piccola pressione per affondare il metallo nella giugulare, ma appena ci prova, qualcosa in lei si spezza. Lascia cadere la spada come se quel contatto la potesse ferire e si allontana da lui.

Prima di scappare chissà dove, si ferma e lo guarda da sopra la spalla con un'espressione di sfida. «Diventate un re migliore di vostro padre. O la prossima volta non mi fermerò.»

Se ne va con quella promessa che si fonde a una minaccia, una frase che Shadee non si sa spiegare, al momento vorrebbe solo trovare un modo per rimettersi a letto senza riaprire le ferite.

«Il solito testardo» lo schernisce Chenzira quando lo vede accasciato davanti alla catena. Lo solleva prendendolo da sotto le ascelle e lo sistema tra le lenzuola. «È stato un gesto rischioso. Devo farla uccidere? Con discrezione?»

Shadee soffia tra i denti. «No.»

Non è per assassinarla che l'ha risparmiata. Per fortuna Chenzira non insiste. «Chanti di Dolce Acqua ti ha salvato la vita, di nuovo.»

Shadee prova ad annuire. Sente la stanchezza premere sulle palpebre, i sensi scivolare via, eppure vede soltanto Chanti nelle serre, la naturalezza con cui gli stringe il braccio mentre sfogliano i libri di palazzo. Il fiore viola. Jaja. Le ha mentito su molte cose, perfino sul suo nome.

«Forse non avrebbe dovuto.» Forse non lo merita.

Chenzira gli arruffa i capelli. «Non fare l'idiota. Non dirlo nemmeno per scherzo.»

Presto il dolore lo travolge e subito dopo arriva il buio e dopo ancora – un dopo impossibile da calcolare – una sveglia fatta di risate cristalline e delle note di una lira pizzicata.

«Sei vivo!» Bulbun salta nella stanza con una ghirlanda di fiori al collo. Cerca di recitare la parte del solito buffone, ma per una volta quel ruolo non gli calza a pennello. Ha la fronte cosparsa di lividi e non riesce a sorridere. «Allora, lo vuoi un indovinello?»

«Bulbun...» Chenzira rientra nella stanza con l'antidolorifico. «Ti ho detto di mandare qui Nandi, non te stesso.»

«Ma io e Nandi siamo una cosa sola!»

«Shadee deve riposare...»

«Qualcuno dovrà pur dargli le ultime notizie.» Bulbun improvvisa una danza di gesti che ricorda le storie musicate degli antichi griot. «Firoze dei Chiomati ha approfittato del panico e ha rubato il falco di palazzo per scrivere a Spinarupe. È appena giunta una risposta. Indovinate chi arriverà a breve sul suo destriero avvolto da un cappuccio macchiato di nero?»

«Bulbun...» lo supplica Chenzira.

«No, io sono già qui!» Continua con l'indovinello. «Il suo sguardo grida vendetta, minacce di morte saetta. Adora la guerra e la ripicca, e reclama una testa sulla picca. È serio, arrogante e spietato, dannato il giorno in cui è...»

«Mio padre.» Shadee non è cieco e non si illude che dietro la partenza del re ci sia un gesto d'amore. Arriverà a Sabbiafine per punire i Secondi e rimproverare il figlio per la sua debolezza.

Anche Chenzira lo sa e infatti sospira, per nulla pronto ad accogliere il sovrano. «Vorrà il nome del colpevole.»

Shadee sente il sangue rallentare nelle vene, come se stesse per morire una seconda volta. «Non deve sapere di Kemala.» Ha giurato di proteggerla e non permetterà che suo padre si sfoghi su di lei, non quando ha provato a ucciderlo solo per la reazione provocata da un dolore troppo intenso.

Chenzira si rigira tra le dita l'elsa di Spillo Rosso. «A questo penserò io, ma l'uomo che ti ha bloccato...»

Isedu dei Secondi.

«L'intera Sabbiafine lo ha identificato» rivela Bulbun. «Ci è scappato dopo aver ammazzato due dei nostri e avermi rifilato qualche pugno.»

«Quali sono gli ordini?» chiede Chenzira, impedendo all'amico di dilettarsi in un racconto cantato.

Shadee stringe le lenzuola del letto che un tempo apparteneva a Jaja. La mente diventa un ribollire caotico di rabbia e vendetta. Isedu si è approfittato del dolore di Kemala, ha colpito Bulbun, ucciso due soldati degli Spilli. I Secondi gli hanno già portato via sua madre, e lui aveva giurato a sé stesso che non sarebbe capitato di nuovo, che avrebbe protetto la sua famiglia a ogni costo.

«Lo ucciderò.» Lo giura sull'Aralla, sulla dea Eren, su Zeme. «Lo ucciderò con le mie stesse mani.»


*


Una volta risalita la collina di Sabbiafine e arrivata alle mura di palazzo, Evianne non deve faticare per trovare Kemala. Si erge davanti all'ingresso principale, ferma come una sentinella di pietra che non vuole cedere il passo.

Appena la sorella appoggia il piede sulla predella per scendere a terra, contrae il volto in un'espressione furiosa, i pugni stretti che costeggiano i fianchi e seguono le pieghe della veste stropicciata. «Dove sei stata? Ti ho cercata ovunque. Ti avevo ordinato di non muoverti dalla tua stanza. Perché non mi ubbidisci mai?»

A un primo sguardo sembrerebbe la Kemala di sempre, rumorosa e dispotica, ma una seconda occhiata rivela che è diversa, scopre in lei una fragilità e una sofferenza che la rendono identica a una regina ferita, a una bellissima sovrana che non sa più come reggere le fila del suo regno distrutto.

Sebbene i suoi occhi minaccino guerra, Maissa non ha paura di venire maltrattata. Si butta addosso a lei e la stringe fino a soffocarla in un abbraccio che ha qualcosa di impetuoso e disperato, che profuma del bisogno di ritrovarsi dopo essersi allontanate troppo a lungo.

«Qualcuno doveva pagare» si giustifica Kemala. «Per Selassie. Per te.»

Per la prima volta da quando la conosce, Evianne coglie una punta di fragilità nella sua voce, si sente in imbarazzo a contemplare quell'attimo di affetto sincero. È una spettatrice indesiderata e per amor di discrezione decide di togliere il disturbo, ma quando entra a Fortezza Diaspro si accorge di non avere programmato le prossime mosse, di non sapere cosa provare di fronte alla vastità degli ultimi eventi.

Chenzira la trova mezz'ora dopo, accucciata in un cantuccio della sala comune. Entrambi ricordano l'ultima volta in cui si sono visti davanti al carro allegorico e al corpo del principe, e lei non sa nemmeno se sia vivo. Si è lasciata trascinare dai suoi doveri di guaritrice per schermare la mente e adesso che il suo compito si è concluso non ha il coraggio di chiedere.

Chenzira si siede accanto a lei, su un rombo nero come le pupille che tagliano in verticale le iridi ambrate. «E così sei sfuggita alle grinfie della mia Nandi?»

«L'ho lasciata ai Cento Occhi con Bulbun e ho rubato la carrozza. Vorrà uccidermi.»

Lui butta fuori una risata. «La vedo più come una certezza che come una probabilità.»

È l'unica battuta che si concede, poi resta in silenzio accanto a lei senza pressarla o farle domande. È come se sapesse che a volte basta la vicinanza di un'altra persona per essere d'aiuto. Evianne deve ancora capire se ci sia del buono in Chenzira, ma quando lo guarda incontra un sorriso che sembra sincero e si sente meno sola.

«Posso raccontarti una storia?» le chiede.

Evianne annuisce. In quel momento si fida di lui, non pensa stia tessendo un altro tranello, però... «Non so se mi piacerà.»

«Forse no, ma a volte ciò che temiamo è uno strumento indispensabile per capire.» 

Nei minuti successivi le racconta i punti salienti di un dramma che si è consumato in silenzio nel corso degli anni, una sottotrama di amore e vendetta che tutti avevano sottovalutato perché nessuno penserebbe mai che una donna civettuola e bella possa essere anche scaltra. È la storia di Kemala che ha sdegnato la sorella per proteggerla e ha covato il suo piano di vendetta con pazienza, fino a quando non è riuscita a concretizzarlo con una buona recita e qualche alleato ignaro.

«Io» realizza Evianne. «Sono io il suo alleato ignaro. Mi ha usata per convincere il principe ad approvare la festa e io non mi sono accorta di nulla. Al mercato ho visto che parlava con quel Secondo.»

«Isedu.» 

«Non voleva che sentissi, ero stanca e...»

«E non è colpa tua» la interrompe Chenzira. «Ci sono fiumi che non possiamo arginare nemmeno se la nostra forza di volontà è immensa. È una legge che faresti meglio a imparare.»

Ed è una legge che non le piace. Sa che nella vita le intenzioni non sono spesso all'altezza delle proprie capacità, ma è stata così supponente da illudersi che quel principio non valesse per lei. Picchietta la testa contro il muro e pensa a Kemala, a cosa le dirà se la vedrà ancora.

Gli occhi di Chenzira comprendono le sue perplessità, hanno il dono di rubare brandelli di pensieri e di farli suoi. «Se l'ha perdonata lui, puoi farlo anche tu.»

La sopravvaluta. Evianne non è fatta per l'odio, ma non riesce a dimenticare la fredda lucidità con cui Kemala ha arroventato la spada e trafitto il principe. Sente ancora il suo sangue tracimare fra le intercapedini delle mani, così denso, così abbondante, testimonianza evidente di un danno a prima vista irreparabile. Si guarda i palmi e si chiede se il potere di Rasa sia stato sufficiente a richiamarlo dall'Aralla.

Chenzira le stringe in fretta e furia una spalla, abbozza un gesto di conforto. «Sta riposando.» Poi le sorride, un ghigno complice e intriso di malizia. «Una brava guardia impedirebbe a chiunque di andare da lui, ma si dà il caso che io sia un losco individuo doppiogiochista, e tu una ficcanaso dalla testa troppo dura.»

Se ne va dopo averla salutata con un buffetto sul ginocchio, dopo aver dato per scontato che Evianne voglia vedere il principe, quando lei non vuole, perché dovrebbe con tutte le bugie che gli sta rifilando? Dèi, perlomeno dovrebbe smetterla di mentire a sé stessa! Lo vuole vedere, anche solo un secondo, anche solo per assicurarsi che starà bene. Bussa piano alla porta patinata d'oro.

«Un attimo.» È la sua voce, incredibilmente stanca e stentata, ma le basta. È sveglio. È vivo. «Adesso.»

Con il cuore in gola e delle stupide lacrime che si incastrano nelle ciglia, Evianne entra nella camera da letto. Non dorme da più di due giorni e ha ancora il vestito d'argento sporco di sangue, ma è certa che sotto il cappuccio l'aspetto del principe sia sciupato quanto il suo. Gli sorride, lo guarda sedersi a fatica sul materasso – un letto vero, non uno stuoino – e in un secondo è sopra di lui, le braccia attorno al collo.

Quello che è successo ha cancellato la linea invisibile che li divideva, li ha uniti all'interno di un unico cerchio, e anche se la sua circonferenza contiene bugie e un'antica faida, Evianne vuole chiudere gli occhi e non pensare.

Il principe solleva un braccio, lo usa per cingerle la schiena e ricercare il calore di un contatto. Improvvisamente a Evianne non importa se non conosce il suo volto, come non le importa se per lui è solo Chanti di Dolce Acqua e non sarà mai Evianne dei Respiri. Quella notte, sotto un cielo di speranza, il resto del mondo scompare ed esistono soltanto loro.

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