26. I Cento Occhi
Evianne segue Nandi nel labirinto di viuzze che si aggrovigliano a Sabbiafine, tra lanterne di carta calpestate e ghirlande strappate dai cornicioni dei tetti. Ha la nausea e vorrebbe vomitare, ma si costringe a imitare il passo spedito della donna, a soffocare i pensieri e le paure in un cantuccio del cuore perché se solo li lasciasse liberi di volare ne finirebbe sopraffatta. Tra lampi sfocati di colore e vaghi frammenti di forme capisce a fatica di essersi infilata in una casa.
Nandi le mette qualcosa di bollente tra le mani. Una tazza... sembrerebbe. Fili di vapore si arricciano sopra un liquido verdognolo che puzza di fieno. «Bevilo tutto. Hai l'aura magica sotto il livello minimo. Siediti.»
A poco a poco le tessere tornano al loro posto nel campo visivo, si assemblano in un'immagine logica. Il focolare di mattoni crepita nell'angolo, le lampade a olio proiettano sul muro l'ombra di Evianne scossa dai brividi.
«È la casa dei due bambini che hai curato» le spiega Nandi. Incastra lo schienale di una sedia sotto la maniglia per bloccare la porta. «Non c'è fiducia maggiore di quella che si basa sulla riconoscenza.»
Evianne ripensa al corpo del principe accartocciato a terra, al grido disperato che rilasciavano gli organi sotto la pressione delle sue mani. Non si è mai sentita così impotente. Gli ha dato tutta la magia che aveva e adesso ha le braccia pesanti come se avesse dovuto scavare fino al cuore della terra.
Si sforza di bere un sorso di quell'intruglio che sa di erba marcia. «Perché siamo qui?»
Nandi si assicura che le finestre siano sprangate. «Stanotte Chenzira ha ucciso alcuni dei nostri per proteggere il principe. Ribelli, capisci? Verrà visto come un tradimento, e io non ci tengo a venire sgozzata solo perché degli idioti agiscono seguendo...» Si ferma per evitare una volgarità.
I suoi insulti non sono per Chenzira. Sono i ribelli che hanno organizzato l'agguato assieme a Kemala il bersaglio della sua ira. E adesso ha paura, teme che sfogheranno quell'odio illimitato su di loro. Dà uno strattone alla porta per verificare che sia chiusa bene.
«Adesso riposa» le ordina. «Ti sveglio quando dobbiamo andare.»
Evianne non ha la forza di porgere ulteriori domande. La pelle d'oca increspa ogni centimetro del corpo, un brivido l'attraversa dalla testa ai piedi. Si rintana sotto una coperta lavorata a maglia. Forse dorme, forse no, è un sonno gelido, costellato di incubi che la fanno sobbalzare. Il principe, Kemala, i ribelli. Si sveglia completamente solo quando un bussare nevrotico fa tremare la porta sul telaio.
«Nandi degli Erranti» chiama una voce maschile. «Sei qui?»
Dalle fessure che bucano il soffitto in pagliericcio, Evianne intravede un fazzoletto di notturno. Si tira sui gomiti, il cuore che rulla di panico quando Nandi si avvicina alla porta.
«Che cosa siete venuti a fare?» Per fortuna non apre, non sposta nemmeno la sedia, anche se basterebbe un nonnulla a rovesciarla.
Oltre la porta di legno si sente il respiro affannato dell'uomo. «Abbiamo bisogno di te. Gli Spilli hanno ferito molti dei nostri nella colluttazione. Ci servono cure.»
Se ne avesse la forza, Evianne andrebbe contro il suo amore per la vita, le direbbe di non aprire perché potrebbe essere un tranello. Anche Nandi sembra esitare. Indugia con le dita sullo schienale della sedia mentre si chiede se accettare o no.
«Verrò» stabilisce infine. Una pausa. Evianne può quasi sentire il flusso dei suoi pensieri scricchiolare assieme alla legna che scoppietta nel fuoco al ritmo di nacchere. «Verrò, ma il debito che avrete con me annulla il risentimento che provate per Chenzira. D'ora in poi godremo di immunità e non potremo essere toccati.»
Accarezza i due pugnali di osso e toglie la sedia per schiudere la porta. Dall'altro lato, immersi nella notte, ci sono due Secondi con le teste coperte da cappucci di iuta.
L'uomo più tozzo, una barba crespa che si arrampica sulle guance scure, annuisce. «È stato Isedu. La sua non era un'azione autorizzata. Lo abbiamo già cacciato dai Cento Occhi assieme a chi lo giustifica, ma ti prego. Abbiamo bisogno di aiuto.»
Nandi li scruta in cerca di una menzogna, sembra essere in ascolto, come se una seconda voce, divina e profetica, avesse iniziato a parlarle in testa, a darle un consiglio o un'istruzione che soltanto lei può percepire. «Garantite che nessuno ci farà del male.»
«Garantiamo» accetta il secondo uomo, un ragazzo con il volto ossuto. «Per favore.»
Nandi emette uno sbuffo e supera il focolare, si avvicina al giaciglio dove Evianne si è acciambellata per riposare. «Svegliati, Chanti. Avrò bisogno di te.»
Di lei? E per fare cosa? La risposta arriva mezz'ora dopo. Evianne conosce il luogo dove Nandi l'ha portata. Cento Occhi è il nome delle grotte in cui Chenzira l'ha imprigionata quando ha simulato il suo rapimento. Adesso non è più un complesso disabitato, ma una somma di slarghi dove sono state disposte brande improvvisate con fuscelli e garze di cotone grezzo. È un ospedale montato in fretta e furia per ospitare i feriti, sopra le cui teste veglia lo stemma della loro causa, la lira con la piuma di Soumano.
«Non c'è tempo per guardarsi intorno.» Nandi le lancia un cestino con dei beni di primo soccorso. «Datti da fare.»
Evianne non conosce quella gente, non vuole stabilire chi sia colpevole o innocente. Sa solo di dover cancellare il dolore, perché è quello che le ha insegnato il Vecchio Saggio, perché è il dono che ha ereditato da sua madre. Evoca due gocce di rugiada per passare all'azione.
«No.» Nandi le stringe la mano. «Niente magia. Sei a secco, stupida. Non voglio tirarti fuori dall'Aralla a calci in culo. Ago e filo, Evianne.»
Richiamare quelle due gocce di rugiada ha prosciugato il poco di energia che aveva recuperato durante il suo breve riposo.
«Evianne!» Nandi la scuote per costringerla a riprendersi.
«Ci sono» la rassicura. «Ci sono, posso farlo.»
Si tuffa nel lavoro con anima e corpo, senza chiedersi chi siano i suoi pazienti, che ruolo avessero nell'attentato, dove sia finita Kemala, se il principe sia vivo. È il presente a importare, la maniera frenetica con cui ago e filo ricuciono le carni slabbrate, le ferite seghettate lasciate dalle spade di Chenzira. Evianne lo ha visto combattere come se il dio della guerra avesse deciso di possederlo. Ricorda la facilità con cui ha tagliato arti e menomato corpi più morbidi del burro, rivede la disperazione con cui si è piazzato davanti al principe come se in quel momento gli importasse soltanto di salvargli la vita, come se tutto il resto, perfino la sua causa, fosse un fatto secondario. Non capirà mai quell'uomo e nemmeno Nandi che appena la situazione si calma corre a sedersi sul bordo di una finestrella scavata nella roccia.
Evianne la guarda. «Voi non sapevate dell'attentato, vero?»
Nandi alza una spalla e intanto continua a sorvegliare la stradicciola che porta ai Cento Occhi. «Noi non lavoriamo così.» Ci ripensa. «Beh, io forse sì, ma ho giurato di trattenermi. Chenzira lo ha visto crescere.» Il principe. «Non gli farebbe mai del male.»
Lo ha soltanto ingannato, avvelenato e quasi ucciso. Che sarà mai?
Nandi si accorge della smorfia poco convinta che le ha attraversato le labbra. Le fa segno di sedersi accanto a lei. «Si può amare anche se si combattono due battaglie diverse, non lo sai?»
No, per Evianne non è così. Non si può amare su un terreno fatto di bugie, in un mondo che traballa in bilico su una polveriera colma di odio e vendetta. «Come posso evitare che una notte come questa riaccada?» Sulle mani sente ancora il sangue delle vittime. Quello del principe si è mescolato a quello dei Secondi, perché la morte non fa differenza di ceto ma accarezza tutti con la sua falce letale.
Accanto a lei Nandi preme la schiena contro la curva della finestra. «Ci sono cose che appartengono alla casata e che nemmeno Chenzira sa. Il principe si fida di te perché ha visto qualcosa nel tuo sguardo, come uno specchio del suo dolore.»
Le morti delle loro madri, il senso di inadeguatezza, la prontezza con cui entrambi morirebbero per le persone che amano. Sono stati il filo che ha cucito l'inizio della loro amicizia, di una relazione grezza, appena abbozzata, di cui lei non è degna. «Io lo sto tradendo.» Il sangue diventa veleno quando realizza che prima o poi perderà la sua fiducia, avverrà nello stesso momento in cui lui scoprirà che Chanti non esiste. «Non avrebbe dovuto proteggermi. Avrebbe dovuto salvare sé stesso.»
«E tu non dovresti rifiutare un gesto tanto sincero perché così facendo lo sminuisci e disonori.» Nandi le indica due stelle che riempiono il cielo, resistono nonostante l'alba abbia appena velato gli ultimi rimasugli di notte. «Luva e Vala. Ti hanno già parlato di loro?»
Evianne nega e la ascolta. Presto conosce il mito di Luva, l'astro più bello del cielo, che quando perse i suoi cari rovinò tutto, si lasciò divorare da una disperazione così forte da trasformare l'amore in odio e violenza, finché non arrivò Vala che gli ridiede il senno e la pace.
«Il principe Jaja è nato sotto il segno di Luva» le spiega Nandi. «Finché capita a un semplice contadino avrai al massimo un'indole rabbiosa, ma se è una persona con troppo potere diventa una minaccia per la terra che governa.»
Luva si è salvato però, grazie a Vala, quell'asterisco minuscolo che brilla nel cielo accanto a un alone rosso. Chenzira e la Dama di Sabbia le hanno già parlato di quella stella, le hanno detto che si è accesa quando è arrivata nella Bolla di Rovi come se avesse voluto lasciare un segnale. Evianne ha sempre amato le storie delle stelle, ma pensare che abbiano il potere di giostrare le loro vite le sembra assurdo.
«Non potete credere che sia stata Vala a invitarmi qui. Non potete illudervi che una come me possa salvare il principe.»
«E perché no?» ribatte Nandi. «Ti chiediamo solo di salvarlo da sé stesso.»
È un solo molto grande, di fronte al quale Evianne si sente minuscola e impotente. Vorrebbe aiutare Jaja a essere libero, non un manichino che crede di esistere solo in relazione alle richieste di un re o agli influssi di una stella, ma chi è lei per giudicare? Quella notte, quell'orribile notte passata a suturare e salvare vite le ha dimostrato che il mondo non è una scacchiera divisa in tasselli bianchi e neri, è un misto di grigi, di pregi che si annodano a difetti, di crepe che per altri sono meriti, e lei non è capace di districarsi in quell'ammasso confuso. Con un sospiro si alza, pronta a tornare al lavoro.
«Ci siamo riposate abbastanza. Dobbiamo controllare i feriti.»
Nandi sbuffa: «Tu non sei una spia, sei un tiranno!» Gli occhi neri restano incollati alla stradicciola che porta ai Cento Occhi, come se il sentiero sterrato fosse un magnete per calamite.
All'improvviso Evianne capisce perché la donna non ha mai smesso di guardare l'orizzonte. «Stanno bene» sussurra. «So come combattono. Bulbun e Chenzira stanno bene.»
Nandi tira un pugno al nulla e ride, un movimento improvviso che fa sventolare il caschetto d'argento. «Ma certo. Sono troppo idioti per farsi ammazzare.»
*
Evianne torna a soccorrere i feriti senza fermarsi un solo istante. Le sembra che sia trascorsa un'eternità, ma quando la luna buca di nuovo il cielo, capisce che sono passati solo una notte e un giorno. A salvarla da un crollo causato dalla stanchezza è il rumore di ruote che fanno saltellare i sassolini della stradina e che presagiscono l'arrivo di una carrozza. Lei e Nandi si paralizzano con le garze in mano, si scambiano uno sguardo allarmato e poi corrono insieme all'imboccatura dei Cento Occhi.
C'è davvero una carrozza piazzata nel centro della stradina, un veicolo trascinato da due cavalli guidati da Bulbun nei panni del lettighiere. Un attimo dopo la porticina si apre e una donna scende sulla predella per aiutarsi a toccare terra: Maissa.
Bulbun viene trascinato via dalle maniere brusche di Nandi, mentre Evianne si precipita dall'ancella. Bulbun l'ha bendata, forse per evitare che memorizzasse il percorso e potesse in futuro risalire alla sede dei ribelli.
«Maissa, stai bene?» Evianne la aiuta a slacciare la fascia che le copre gli occhi. Non l'ha mai vista così sconvolta, nemmeno quando le ha chiesto di abbozzare il volto del principe sul blocco da disegno. Trema come una foglia, ha il volto rigato di lacrime e si sbraccia in preda alla disperazione, cercando di farsi capire. Non ci riesce, non può parlare e non ha il quaderno, e allora spalanca la bocca in lamenti strozzati, mette in mostra un moncherino annerito, il resto della lingua che re Tavare le ha tagliato.
«Calmati» la prega Evianne. La abbraccia perché la sua aura magica la aiuti a respirare. «È per Kemala che sei qui?»
Maissa la spinge via nella foga di spiegare cosa sia accaduto, anche se non sa come.
«Non sai dove sia?» tenta di indovinare Evianne. «Pensi che...»
Maissa si copre la bocca con entrambe le mani e sembra che stia per reprimere un urto di vomito. Le hanno tagliato la lingua per una leggerezza, cosa potranno fare a una traditrice, alla donna che ha organizzato un'esecuzione pubblica per giustiziare un reale?
Evianne vorrebbe avere una parola di conforto, vorrebbe poter leggere il disegno delle Tavole del Destino e trovarvi un epilogo felice, ma non può mentire, può solo starle accanto e riaccompagnarla a palazzo, sperare di carpire qualche informazione in più. Cerca Nandi per imporle la sua partenza, che lei lo voglia o meno, ma si tiene ai margini del primo slargo quando dentro ai Cento Occhi la sente ridere tra le lacrime. È sollevata sulle punte e bacia Bulbun in ogni livido ed ematoma che gli costella il volto.
Bulbun libera un sospiro melodrammatico. «Lo sapevo... Devo fingermi morto almeno una volta alla settimana per ottenere un briciolo di affetto.»
«Idiota!» Nandi gli tira un pugno.
Lui rilancia con un bacio. «Cuore di pietra!»
Evianne torna da Maissa. «Sali.» Le indica la carrozza. «Andiamo a palazzo. Se Chenzira ha catturato Kemala, sarà lì.»
Mentre stringe le briglie, rivive su di sé lo sguardo rabbioso della donna, la furia cieca con cui ha accoltellato il principe. Non sono mai state amiche, eppure Evianne si sente tradita, non sa come la guarderà se mai dovesse incrociare ancora una volta il suo sguardo.
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