24. Un domani che non deve arrivare
I raggi dell'alba entrano dalle vetrate artistiche della camera, gettano sfumature pallide sul volto di Maissa. L'ancella è seduta a gambe incrociate sul letto a baldacchino e spacchetta il quaderno e i colori che provengono dal mercato di Piazza Obelisco, senza trattenere un sorriso che le arriva fino agli occhi.
Evianne le porge un pastello per convincerla a imbrattare il primo foglio con uno schizzo o con una semplice parola. «Potrai disegnare o scriverci sopra quello che vorrai, così avremo un modo tutto nostro per comunicare.»
Per troppo tempo Maissa ha subito le angherie e le continue offese della sorella, al punto da essersi dimenticata che la vita è bella, lo è ancora di più se la costelli con gesti di gentilezza e ti circondi d'affetto. Recupera il pastello, incredula che quel dono sia destinato proprio a lei, e inizia a tratteggiare una cornicetta di fiori sulla pagina bianca.
Mentre la guarda, Evianne combatte con una vocina avversa della coscienza. Parla tanto di gentilezza, ma il suo non è un gesto disinteressato. Ha scelto di aiutare Maissa anche perché spera di poter contare su di lei per chiudere in fretta la missione.
«Potresti provare a disegnare il volto del principe per me? Appartieni alla casata, quindi devi averlo visto. Kemala dice che ha il naso da caprone, ma credo mi stia soltanto prendendo in giro. Confermi?»
Il tempo di un secondo, un battito di ciglia, e un'aria di gelo si rannuvola tra di loro, avvolge Maissa, la trasforma in un blocco di pietra con dita troppo rigide per reggere il pastello. Il bastoncino colorato scivola dalla presa e si deposita nel centro del quaderno come un segnalibro.
«Va tutto bene?» Evianne prova a capire cosa le stia succedendo. «Maissa?» La chiama piano, la studia con delicatezza, come se gli occhi volessero sfiorarla.
Ma le sue parole non arrivano a destinazione. L'ancella fugge dal letto, gattona sulle mani, scivola sui talloni, le pupille dilatate di un animale impaurito, mette fine a quella corsa frenetica solo quando si rintana nel cantuccio più isolato della stanza. Da lì, ferma tra l'armadio e una poltrona, fissa il quaderno come se dalle pagine potesse uscire un mostro.
Possibile che una semplice domanda l'abbia spaventata tanto? Evianne cerca di rimediare. «Scherzavo. Se ho detto qualcosa di sbagliato... Io... Non devi fare nulla. Scusa.»
Non sa cosa dire per risolvere il guaio, e così si sente quasi sollevata appena Kemala entra senza preavviso nella stanza.
Vestita con la solita tunica azzurra, picchietta una scarpetta di seta turchese sulla soglia, con lo sguardo che fa la spola tra la straniera e la sorella. «Che è successo?» Studia Maissa, indecisa se spendere una parola in suo favore, ma cambia subito idea. «Dèi, che me ne frega? Io non perdo tempo con una storpia.»
«Kemala!» Evianne la supplica di tacere.
«Oh, ma sta' zitta!» Kemala si tuffa sul letto. «Allora? Non mi dici la novità?»
Evianne non ha nulla da dire.
«La Festa dei Mille Soli!» Kemala rilascia scintille di adrenalina pura. Come fa a sapere sempre tutto in anticipo? «Il principe l'ha autorizzata, e tu... Che ci fai ancora in vestaglia? Dobbiamo lavorare, andare dal tesoriere, pensare al vino. Forza!»
Un attimo dopo Evianne si trova spintonata fuori dalla stanza, senza avere modo di togliersi la vestaglia da notte e di indossare un abito decente. «Ma se iniziassimo con la colazione?»
«Non c'è tempo per queste frivolezze. Diciassette giorni! La festa cade il ventuno del Virgulto.» Gli occhi di Kemala sono sgranati, le mani si agitano. Quando parla danno enfasi a ogni frase, seguono il ritmo isterico della voce. «Riesci a capire cosa significhi soltanto diciassette giorni?»
A Evianne sembra moltissimo tempo utile ma non ha il coraggio di replicare, e così in sottoveste, con i capelli ridotti a un groviglio e con un terribile languorino che bussa allo stomaco si ritrova a seguirla per i corridoi di Fortezza Diaspro. Kemala ne ha per tutti. Appena delle ancelle finiscono nel suo mirino, corre a imprigionarle in una rete di ordini e raccomandazioni.
«Dobbiamo fare compere. Nastri, sfere levigate, piume. I bambini dovranno indossare le maschere. Saranno solo plebaglia, ma fingeremo sia una recita. Maissa, tu resti qui. Chanti, pensi che il lavoro si concluda stando ferma come un pesce?»
Evianne spera che un incantesimo riesca a mimetizzarla con la parete del palazzo. Si rianima soltanto quando il principe sbuca accanto a lei, gli occhi rossi, unico dettaglio visibile, che fissano Kemala come se fosse una domatrice di leoni sotto effetto di un potentissimo allucinogeno. Da sotto il cappuccio fuoriesce uno sbuffo trattenuto.
Evianne lo fulmina con le sopracciglia incurvate. «Stai forse ridendo di me?»
«Al massimo della situazione. E comunque ho un cappuccio di spilli in testa e non lo puoi provare.» L'inclinazione del volto curva su Kemala. «Non l'ho mai vista così felice. Non sta nemmeno maltrattando la povera Maissa.»
Il nome dell'ancella genera su di lei una sensazione spiacevole, mille zampette di ragni invisibili che scorrono a raso pelle, la costringono a ripensare alla scena di poco prima, a rivedere il suo volto terrorizzato. Stava filando tutto liscio, finché non le ha chiesto di disegnare il ritratto del principe. «Come ha perso la lingua?»
«Mio padre.» Il re? «Gliel'ha tagliata per avere riportato a uno straniero alcuni dettagli del suo volto.»
Ogni parte di lei si paralizza come se una metamorfosi avesse iniziato a imprigionarla in una larva di acciaio. Senza saperlo Evianne le ha chiesto di commettere lo stesso reato per cui è stata punita. Non può nemmeno immaginare quali spettri e incubi abbia rievocato una richiesta a prima vista innocente. Ripensa alla delicatezza con cui Maissa le spazzola i capelli, alla cura con cui sceglie la tunica che dovrà indossare per il resto del giorno, come se ci tenesse davvero, come se fossero amiche da sempre, e sente la rabbia ribollire nello stomaco. Perché un uomo può avere tanto potere? In base a quale diritto contorto gli è permesso menomare una giovane ragazza per una chiacchiera di troppo?
«È atroce.» Direbbe dell'altro, manifesterebbe tutto il suo disappunto se il principe non la interrompesse.
«Le regole della casata sono severe con chi le viola. Per questo ci vengono insegnate fin da quando siamo bambini, perché è giusto crescere nel nome della disciplina e del rigore.»
Evianne si chiede chi sia lo straniero accanto a lei. Quell'ombra incappucciata non condivide nulla con l'uomo gentile che danza alle serre e si vergogna di cantare ad alta voce. È come se due anime diverse occupassero lo stesso corpo, come se in lui non ci fosse ancora un'identità ben definita, ma tanti spunti di personalità che bisticciano senza che lui sappia a chi dare ascolto. Non vuole litigare, così si sforza di tacere e si concentra su Kemala che continua a impartire istruzioni per la festa.
«Tu...» Le suona ancora strano dargli del "tu". È successo per un processo naturale, senza che se ne accorgesse. Non si fida a chiamare il principe per nome – Jaja – non si fida nemmeno di lui, ma quel "tu" è una piccola conquista che non vuole perdere. «Tu vieni con noi per i preparativi?»
Il principe libera un tremolio come se la sola prospettiva fosse un incubo. «Che gli dèi abbiano pietà di me! No!»
*
Con il senno di poi Evianne avrebbe dovuto seguire l'esempio del principe. Il resto del giorno è una tortura. Kemala la trascina al mercato, sciama da un negozio a una bancarella, lancia sacchetti di monete, annota su un taccuino la lista delle mansioni. Evianne è l'asino da soma che la segue e si lascia caricare in groppa sacchi colmi di stoffa, piume e maschere, mentre lei continua a sbraitare e a impartire ordini perfino all'aria.
«Non va bene!» strilla quando raggiungono Piazza Obelisco.
Evianne crolla su un muretto di mattoni secchi. «Cosa? Cosa c'è adesso che non va?»
«Il quartiere!» Kemala indica le case che circondano la piazza. «La festa si terrà qui, nel centro del villaggio dove ci sarà il punto d'arrivo della sfilata. Ma come si può con questa puzza? È tutto sporco. Ne parlerò con il principe. Ehi, tu, un attimo!» Punta un giovane uomo con la carnagione ispessita dal troppo sole e una cicatrice che gli sfregia la guancia. «Aspetta qui, sgorbietto, torno subito.»
Non c'è bisogno di dirglielo. Evianne è così sfinita da non sentirsi più le ossa. Lascia che Kemala raggiunga il Secondo dietro l'angolo e la ascolta sbraitare, finché la voce non si abbassa, e allora per lei è impossibile cogliere anche solo mezzo frammento delle loro parole.
Kemala le dà una spiegazione mentre la trascina nella carrozza che le riporterà a palazzo. «Quel Secondo si occuperà delle sfere levigate per lo spettacolo notturno. Come può esistere una Festa dei Mille Soli senza luce?»
Domanda sensata, sebbene a Evianne non importi. Quando tornano a Fortezza Diaspro, vorrebbe solo sfuggire alle grinfie della sua aguzzina e tirare il fiato per qualche ora. Farebbe di tutto, perfino allenarsi con Chenzira e Bulbun, piuttosto che pensare all'organizzazione della festa, ma la sorte, per sua sfortuna, non le sorride e quella sera Kemala costringe il principe a sedere con loro a cena per lamentarsi della sporcizia nella piazza centrale.
«Dovete prendere provvedimenti. Non basterebbe un'alluvione del dio Dagan per pulire tutto. In questo postaccio non piove mai quando serve.»
Il principe smette di leggere il solito libro che lo accompagna a cena. «Non vedo cosa potrei fare...»
«Qualcosa!»
Evianne se ne va a dormire con la sensazione di essere stata schiacciata da cento cavalli. Nonostante sia esausta, si sforza di non dimenticare la sua missione. Ora che Kemala ha distrutto la rosa, non può più contattare Mildri e avere notizie sul rapimento dei bambini. Se fosse uno Spillo, il cattivo della storia, dove li nasconderebbe? Non a Sabbiafine, un buco di periferia popolato da ribelli. Li terrebbe vicino al re, nella capitale, così da poterli usare come merce di scambio. No, sta seguendo la pista sbagliata. Chi mai pagherebbe per degli orfani? È dal fiore viola che deve ripartire. Se scoprirà a chi appartiene, saprà automaticamente che cosa è successo a quei bambini.
Sarebbe tutto più facile se potesse confidarsi con il principe: è nato in quelle terre e conosce segreti che lei ignora. L'istinto le grida di correre da lui e di metterlo alla prova, la spinge a elemosinare il suo aiuto, ma la ragione blocca quello slancio folle, e allora Evianne si ricorda della rigidità con cui le ha parlato di Maissa e dell'amore cieco, quasi ossessivo, che lo lega alla casata. Se solo le stelle le inviassero un segnale! Affonda il volto nel cuscino. Deve smetterla di pensare a lui come a un amico. Se sapesse chi è, distruggerebbe lei, la sua famiglia e tutto ciò che ama.
*
Una nuova alba accarezza l'orizzonte, e Kemala si precipita subito a svegliarla. «Miracolo di Dagan! Miracolo!»
Evianne venderebbe tutti i suoi capelli per comprare un'ora di sonno in più. «Cos'è successo?»
È ancora in vestaglia quando Kemala la trascina di nuovo in paese. Piazza Obelisco risplende sotto il sole del primo mattino come se avesse catturato la luce intensa di cento soli. I muri a secco, il lastricato, i tetti piani degli edifici brillano più lustri che mai e rilasciano un delicato profumo di fiori freschi e pulito.
«Un'onda di rose» commenta una donna con la cuffia di mussola. «Questa notte si è rovesciata nella piazza e ha lavato tutto. Un miracolo.»
Evianne pensa ai viticci d'acqua che nelle serre escono dai polpastrelli del principe e ricercano la vita sotto un manto di foglie secche. Le basta quell'indizio segreto per capire che non è stato un miracolo, ma la forza di un potere nascosto. Nonostante sia giorno, fissa il cielo e cerca le stelle che hanno ascoltato le preghiere della notte precedente, perché quel gesto non è solo un atto di gentilezza, per lei è un segnale di fiducia che non vuole più ignorare, anche se ha paura, anche se rischierà di rovinare tutto.
Quella sera, Evianne risale la torretta centrale e si infila nella camera del principe. Riconosce subito il cappuccio di spilli appeso alla pediera del baldacchino e spegne la lanterna per non rubare l'immagine di un volto addormentato senza avere ricevuto il permesso; nonostante la fitta penombra, distingue una sagoma che riposa a terra su uno stuoino di vimini. L'aura magica è debole ma sta crescendo piano, si rinvigorisce scaglia dopo scaglia come la muta di un rettile.
Per Evianne è la conferma, è il segnale che stava aspettando. «Sei stato tu.»
«Non so di che parli.» La voce del principe è stanca e impastata dal sonno.
Evianne aspetta che si infili il cappuccio prima di accendere la lanterna e poi, quando la fiamma tremola sullo stoppino, si siede su una poltroncina con la passamaneria dorata.
«Hai dormito tutto il giorno?» gli chiede. Conosce gli effetti collaterali di un abuso di potere. È come non avere più il sangue nelle vene né la forza nelle ossa. Gli dèi non tollerano che un uomo superi il limite, lo ritengono un atto di presunzione che necessita di venire punito.
«Soltanto un po'» minimizza lui. «Allora? Come procedono i preparativi per la festa? Kemala è riuscita a sottomettere l'intera Sabbiafine?»
La domanda arriva alle orecchie di sfuggita. Evianne si sta rintanando in un mondo tutto suo. Sono passati quattro mesi da quando è arrivata a Fortezza Diaspro e giorno dopo giorno ha imparato a conoscere meglio il regnante burbero che Mildri dovrà sposare. Sa benissimo che è il nemico, ma quando assiste alla sua gentilezza riservata, quasi nascosta, non riesce a vederlo come un mostro. Sulla scia di quel pensiero affonda la mano in tasca e strizza il foglietto che ha strappato dal quaderno di Maissa e sul quale ha disegnato il fiore viola.
«Va tutto bene?» si sente chiedere. Il principe deve avere capito che qualcosa la turba. Succede quando un pensiero scomodo si infila in testa e non vuole andare via. Il suo istinto è quel pensiero, l'idea, forse un'illusione, di potersi fidare, perché una persona che possiede la magia della vita non può essere malvagia.
Evianne si concede un grande respiro, le dita che tremano, il tempo che si paralizza come negli attimi di vita in cui prendiamo una decisione cruciale. Senza battere ciglio estrae il foglio dalla tasca. «Qui sopra c'è il disegno di un fiore viola. Non so cosa sia, ma devo scoprirlo, anche se chiedertelo forse è un errore.»
Il principe è seduto sullo stuoino, aspetta che lei aggiunga qualcosa, ma quando non lo fa allunga il braccio per recuperare il foglio spiegazzato. «Posso vederlo?»
Evianne annuisce e osserva con una scrupolosità minuziosa il modo in cui stende la carta e la ruota per studiare il disegno da ogni angolazione. Il cuore batte irregolare come una falena che scalpita in trappola per raggiungere la luce, una fiammella di speranza che si spegne quando il disegno cade sulle lenzuola.
«Non mi dice niente. Perché lo stai cercando?»
«Voglio solo studiarlo. Dicono che sia una panacea contro ogni male, e in quanto guaritrice...»
«Tutto il contrario. È velenoso e letale.»
Evianne contrae le labbra di riflesso. «Credevo non lo conoscessi.»
«Ho detto di non avere mai visto il disegno, non il fiore.»
Il principe si alza e dall'armadio estrae un libro rilegato. Riccioli di polvere si sollevano dalle pagine quando le sfoglia, si depositano a sciame sul disegno di un fiore viola. È ritratto da un'angolazione diversa rispetto allo schizzo di Evianne, ma non ci sono dubbi: è lui.
«Aconito.» Il principe legge il titolo in corsivo. «Nel linguaggio dei fiori significa "vendetta".» Si siede sulla poltrona libera, al tavolo da tè, indugia come se stesse cercando la parola giusta. «Chanti, se qualcuno ti ha inviato quel disegno...»
«No, non...»
«Se c'è qualcuno che ti minaccia...»
«No!» Solo Chenzira, ma non può aprire il vaso di una questione complicata, non in quel momento. «Non lo hanno mandato a me. Ai miei genitori quando sono morti. A mia madre.»
È un rischio grandissimo ed Evianne si pente subito di avere parlato. Lo ha fatto d'istinto, dimenticandosi che le sue confidenze sono volte a un nemico. La storia del fiore è attuale, i bambini dell'orfanotrofio sono spariti di recente. Se il principe sa qualcosa, capirà che proviene dalla Bolla nemica e allora che cosa le farà?
«Questo fiore non c'entra nulla con la mia casata, se questa è l'accusa.»
«Non lo sospetto.» "Ne sono certa". «Sono venuta a Sabbiafine, a cercarvi, perché sapevo delle serre di vostra madre, sapevo che la regina era un'esperta di fiori, quindi ho pensato di poter trovare una pista, forse in un libro come questo.»
«Ti aiuterò.» La promessa del principe è un misto di dolcezza e determinazione. «Non so come, ma farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarti.»
Evianne deglutisce per non piangere di sollievo e affonda lo sguardo a terra, cerca di mantenere il controllo. «Grazie.»
*
Evianne torna nella sua stanza senza sapere a quale emozione aggrapparsi, vinta dalla sensazione stranissima di volare sebbene non abbia le ali della dea Rasa. È tutta colpa del principe, di quello che le ha detto. Come ha potuto parlarle così, con naturalezza, come se nulla fosse, quando le ha appena regalato una speranza? È la prima volta in cui qualcuno si offre di aiutarla a indagare sul fiore viola. Il Vecchio Saggio ha sempre cambiato argomento, Snorre non l'ha mai presa sul serio e Mildri se n'è disinteressata fino alla scomparsa degli orfani di Fontebella.
Le sembra di impazzire. Il fiore viola adesso ha un nome e lei... lei non è più sola. Inizia a saltare sul letto, a ballare in girotondo, ma non è abbastanza. Vorrebbe gridare al mondo che il cuore le batte forte come non le è mai successo, costringere tutti gli abitanti di Fortezza Diaspro a essere felici quanto lei. Cosa le sta accadendo? Perché i piedi smaniano di tornare in quella stanza e di restare con lui tutta la notte, anche solo per parlare e ridere, per lasciarsi completare da quel senso di serenità che prova quando è al suo fianco? E perché la bocca vorrebbe solo pronunciare il suo vero nome – Evianne – e rompere tra di loro il muro di ogni bugia?
È solo una questione di euforia, si dice, nulla a che vedere con il mondo dei sentimenti. Sta dando di matto perché finalmente ha in mano un piccolissimo indizio che equivale al mondo intero, ma deve stare attenta, non può permettersi di perdere di vista l'equilibrio che tiene la pace tra le due Bolle appesa a un filo. Il principe è uno Spillo, il futuro marito di Mildri, e lei non ha bisogno di un'ulteriore complicazione. Evianne a Fortezza Diaspro non esiste, è solo Chanti, una vittima delle sue stesse bugie, una spia che prima o poi dovrà scoprire il volto del principe e tornarsene a casa.
«Domani» sussurra, mentre si guarda allo specchio. «Domani gli sfilo il cappuccio. Lo farò. Domani.»
In cuor suo, però, prega tutti gli dèi – da Sniega di neve a Celin del sole – che quel domani non arrivi mai.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro