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17. Lotta contro il tempo

Le persone non sono mai quello che ti aspetti. È la prima lezione che Evianne impara a Sabbiafine mentre Chenzira trama nell'ombra per uccidere l'uomo che ha giurato di proteggere. Non se lo sarebbe mai aspettato, non quando il principe Jaja lo riteneva la migliore delle guardie e parlava di lui con tanto rispetto. È ingiusto che una fiducia così cieca venga riposta nelle mani della persona sbagliata, di un individuo che la straccia come se non avesse importanza.

Ora che ha scoperto la verità, può collegare gli indizi raccolti negli ultimi giorni: le crisi respiratorie, la stanchezza, il riposo forzato. Sono gli effetti causati da un veleno somministrato in maniera graduale, ogni notte, non dallo specchio magico. Non è stata lei a ferire il principe, ma sapersi innocente non le basta, perché se girerà la testa dall'altra parte, se farà finta di nulla e lo lascerà morire, sarà comunque colpevole.

Non le serve nemmeno un minuto per prendere la decisione giusta. Sono i suoi ideali, il suo nome, le sue mani a ordinarle come agire: salverà il principe, costi quel che costi, impedirà che venga distrutto dal complotto di una persona che professava di amarlo.

Evianne rimane aggrappata alla statua di basalto. Vinta da una rabbia sprezzante, aspetta che Chenzira si allontani dal basamento e liberi la via. Bene, adesso deve solo trovare il modo di raggiungere il principe prima che il veleno lo uccida. È una lotta contro il tempo e lei ha in mano un mazzo di carte privo di soluzioni facili, di una strategia che le permetta di accedere alla torretta centrale, isolata dai quartieri ammessi al pubblico. Non ha ancora trovato un trucco per ovviare a quell'imprevisto, a meno che... Un attimo! Chenzira non è uno Spillo, eppure, se le sue parole sono vere, si è appena infilato nella stanza del principe per somministrargli l'ultima dose. Questo significa che...

Il cuore esegue un balzo di gioia così intenso da lasciarla a corto di fiato. Sì, significa che deve esistere un passaggio segreto, un percorso alternativo per accedere ai quartieri reali, e se Chenzira è appena uscito da quel ripostiglio, allora può sperare che la soluzione ai suoi problemi si trovi proprio lì.

In punta di piedi si infila nel bugigattolo e viene accolta da un reame di oggetti accatastati alla rinfusa. Con una lucerna a olio illumina le pile di libri che si ergono come colonne fino al soffitto, tra colline di tavoli rotti e bauli di giocattoli.

Punta la magia nelle dita e subito venti piccole gocce di rugiada si staccano dai polpastrelli. «Trovate un passaggio. Abbiamo poco tempo.»

Le gocce si plasmano in libellule formate da fili d'acqua e volano via, nella loro ricerca disperata si appiccicano alle tele dei quadri, scivolano tra le crepe dei muri. Dopo qualche minuto tornano da lei in segno di sconfitta.

«Nulla? Come è possibile?» Non può essersi sbagliata, è sicura che Chenzira abbia usato quel ripostiglio per raggiungere il principe. Evianne inizia a spostare oggetti a caso finché non inciampa in un rialzamento. C'è qualcosa sotto le frange di un tappeto, una pallina che ricorda lo scheletro di un topolino fossilizzato. Le basta alzare qualche libro per scoprire una botola con un cerchio identico al picchiotto di una porta: il passaggio segreto di Chenzira.


*


Shadee sta morendo e non gli importa. Non gli interessa sapere quale malattia l'abbia contagiato né se verrà consumato da una lunga agonia. Un dolore forte preme in mezzo agli occhi e lo trafigge con un miliardo di giavellotti, ma non ha paura. Ha sempre pensato che la dea Eren fosse un'amica, una delle poche capace di guardarlo come Shadee e non come il doppio di un altro. E adesso è arrivato il momento di incontrarla. Lo fa a cuor leggero, perché sa che nessuno si dorrà troppo per la sua scomparsa. La gente soffre quando perde il sole, non un'inutile ombra.

A denti stretti si sistema il cappuccio in testa. Vuole morire nel rispetto delle regole e nell'amore per la casata, vuole che suo padre sia fiero di lui anche se soltanto per quella volta. Con uno spasmo crolla sullo stuoino e si impone di respirare, finché un'onda di dolore troppo intenso non lo trasporta in un mondo nuovo.


*


Grazie alla botola e a un cunicolo rivestito di ragnatele, Evianne sbuca nella torretta centrale, in una lotta contro il tempo risale i gradini che si avvitano a spirale e che si aprono sui vari pianerottoli dell'edificio. La camera del principe, a che livello sarà? Come può trovarla in quel labirinto di porte color lapislazzuli e loggiati? Sono tutte identiche, tutte tranne una. La vede, rivestita da intarsi dorati e gemme rosse, e capisce subito di essere arrivata davanti alla stanza giusta.

Ora deve solo salvare il principe. Trae un respiro profondo per tranquillizzarsi, ma il cuore batte troppo forte e non si lascia zittire. Con i nervi a fior di pelle apre la porta ed entra. In mano tiene la lucerna accesa, un occhio luminoso che la guida in un ambiente nuovo, le permette di distinguere un candelabro spento, un arazzo che ritrae un cervo, un graticcio sopra il quale sono appese delle casacche nere. E poi lui, il principe, steso a terra su uno stuoino di vimini, con tanto di cappuccio in testa.

Evianne sospira. «Siete incorreggibile. Sul serio lo indossate anche mentre dormite?»

È ancora vivo, si muove sotto le lenzuola tormentato dagli incubi, forse dal dolore che non gli dà tregua. Perfetto, c'è tutto il tempo per salvarlo e forse... Un pensiero la attraversa, un'idea meschina che va contro la sua natura da guaritrice, eppure cresce in lei, diventa una tentazione sempre più forte, il canto mellifluo di una sirena cui non sa opporre resistenza. Quanto sarebbe facile sollevare la stoffa del cappuccio e concludere la missione? Sarebbe solo una sbirciata velocissima prima di salvarlo, una sorta di ricompensa anticipata.

Evianne si inginocchia accanto a lui e sfiora l'orlo del cappuccio, ma la puntura di uno spillo la fa sobbalzare. Per colpa di quel gesto maldestro una goccia d'olio cade dalla lucerna e affonda sul collo del principe. Il terrore la paralizza. Se dovesse svegliarsi, trovarla nella sua stanza, non ci sarebbero giustificazioni possibili, scoprirebbe la sua identità e sarebbe la guerra tra i Rovi e Fontebella.

Evianne si vieta di respirare, di muovere anche soltanto un ciglio, prega gli dèi di trasformarla in ombra e mimetizzarla con gli arazzi che velano le pareti azzurre della stanza.

Ma poi il principe libera un piccolo gemito, un sussurro da addormentato. Per Evianne è come se il destino le avesse dato il permesso di procedere. A fior di dita solleva un lembo di tessuto, piano, un millimetro alla volta. La luce della lanterna è sua alleata, la aiuta a rubare ritagli di una visione proibita, l'incarnato bruno, la fossetta del mento non troppo pronunciata. Ha la pelle morbida, più scura della sua, ma umana. Evianne trattiene il respiro e scosta la stoffa di un altro soffio, resta incantata dalle curve delicate che intravede, dal modo in cui la bocca sbuffa per espellere il dolore. Ormai c'è quasi, deve solo alzare il cappuccio di mezza virgola, oltre un piccolo neo sulla mascella, oltre la curva del labbro.

Ma all'improvviso una voce interiore le strilla dentro, le grida con rabbia di fermarsi perché lei non è così, non è disposta a perdere sé stessa e i suoi valori per nulla al mondo. Si rivede piccina, alla casa di betulla, mentre ballava con sua madre e giurava di voler rendere tutto il mondo felice. Che direbbero i suoi genitori se la vedessero ora? Una bugiarda, un'approfittatrice meschina, un mostro che non prova pietà di fronte alla sofferenza di un uomo.

La vergogna la travolge. Con il volto che brucia di imbarazzo si affretta a riabbassare il cappuccio.

«Perdonatemi.» Lo dice anche se lui non la può sentire. «Vi giuro che non lo farò mai più. Un giorno vi guarderò, ma lo farò soltanto quando sarete voi a darmi il permesso.»

Prima di rompere ogni contatto, infila la mano sotto il cappuccio e accarezza la guancia del principe. È rovente, ma se non si sbrigherà, presto assumerà il freddo della morte.

«Nessuno vi farà del male finché sarò con voi.»


*


Shadee si guarda intorno quando sente una voce di ragazza. È un timbro noto, ma non riesce ad associarlo a un viso, né a distinguere le parole o a capire da dove provenga. Si è perso in un luogo che non conosce e vaga da chissà quanto. Sembrerebbe un tempio in disuso, illuminato da una falce di luna che filtra oltre le crepe del soffitto. Costeggia una parete sulla quale sono incise figure mitologiche con il corpo metà donna e metà pesce. Sono creature che venerano Dagan, il dio dell'acqua, e sono immobili se non per i loro occhi di zaffiro che oscillano nelle orbite e lo guidano in un androne circondato da un colonnato. È lì che trova Jaja. È inginocchiato a terra e sta provando a far prillare la stessa trottola con cui giocavano da bambini.

«Ehi, fratellino, sei arrivato finalmente. Ti va una partita?» Gli occhi scuri sono velati di lacrime. «Mi sei mancato, non avrei voluto arrivare a questo, non avrei voluto...»

«Qual è il pegno per chi perde?»

Jaja si mordicchia il labbro, ci pensa. «Chi perde mangia le lumache della vecchia Liza per una settimana.»

«Andata!» Non è nulla che non abbia mai fatto in passato. Al massimo se la caverà con un mal di pancia che lo perseguiterà per qualche giorno. Shadee si inchina per recuperare la trottola e viene attraversato dalla freccia di un ricordo. «Jaja, tu... tu te ne sei andato. E non a Fortezza Diaspro. Tu mi hai lasciato solo.»

Si sorprende di sé stesso, di come abbia iniziato a piagnucolare, ma del resto non è l'età, sono le esperienze a forgiare il carattere, e Shadee ha sempre vissuto dentro Reggia Blu, in un mondo protetto di lusso e spilli.

Jaja lo abbraccia forte e lo prega in silenzio di non parlare. «Vieni qui. Non devi avere paura. Stanotte finisce tutto. Sono stato uno stupido a non portarti via con me, a lasciarti indietro. Scusa.»

Shadee ricambia l'abbraccio e affonda il naso nell'incavo del collo di suo fratello. Gli sta crescendo la barba, punti di lanugine nera che pizzicano quando gli sfiora la guancia. «Credo di essere arrabbiato con te, ma adesso non riesco a ricordare perché.»

Si sente strano, come se la memoria a poco a poco scivolasse via, mangiata dalle volute di incenso che si arrotolano all'interno del tempio e condannano i ricordi a una foschia confusa. Nella mente di Shadee restano solo fulmini di immagini che non sa ricomporre in una narrazione sensata. Sa solo che prima aveva paura, invece adesso, ora che Jaja lo stringe, gli sembra di essersi appena svegliato da un incubo.

«Presto capirai tutto, fratellino. Devi solo promettermi che non mi giudicherai per quello che ho fatto. D'accordo?»

«No!» Un grido di donna. È un colpo di sciabola alla nuca, libera un dolore che cresce a dismisura perché Shadee riconosce quella voce, distingue la sagoma a cui appartiene. La vede, identica a come l'ha lasciata, una morsa strizza il cuore nel petto.

«Mamma!»

La regina Adama è lì ed è splendida con i suoi capelli neri e il volto pallido di Dolce Acqua, splendida ma furiosa. «Jaja, che cosa gli hai fatto? Non erano gli accordi. Io ti ho protetto, ti ho tenuto nascosto perché non ti trovassero ed è così che mi ricompensi? Mandalo via. Riportalo subito indietro.»

Ha il volto raggrinzito dal dolore, la bocca distorta da un urlo che trattiene a fatica, la stessa espressione che indossava nelle rare volte in cui litigava con il re, e Shadee si tappava le orecchie per non sentire. «Mamma, cosa sta succedendo?»

Quando si posano su di lui, gli occhi della regina si riempiono di dolcezza. «La mia stella dell'amore. Devi andare subito via, non puoi restare qui.»

Ma lui vuole restare, lui vuole giocare alle trottole con Jaja, vuole abbracciare sua madre e servirle una tazza di tè verde, vuole camminare con lei nell'aranceto di Spinarupe dove c'è la sua...

«Vattene, Shadee. Vai!»

La sua tomba.

I ricordi lo travolgono, i buchi di memoria che l'incenso ha mangiucchiato si ricompongono in un passato che lo distrugge. La Festa dei Mille Soli, i due uomini con i pugnali, Chenzira che gli salva la vita.

«Tu sei morta» singhiozza. «È solo un incubo, è solo un inganno. Sei morta.» Ma è lo spezzone di ricordo successivo a lasciarlo agonizzante, come se avesse uno squarcio in mezzo al petto. Shadee si specchia nello sguardo di Jaja.

«Resta qui» lo scongiura suo fratello mentre gli cerca le mani. «Ti proteggerò, devi solo fidarti di me.»

Lo ha tradito. Jaja lo ha tradito. Per colpa sua lui non può più esistere, è costretto a sostituirlo e a diventare un altro. Un'ondata di odio e delusione gli toglie il fiato dalla gola. «Tu per me non esisti.»

Sua madre sorride di gratitudine perché finalmente ha capito: non può restare lì. «Scappa» gli ripete. «Vala è venuta a salvarti e io l'ho portata da te. Scappa adesso e un giorno l'amore ti libererà.»

Non c'è tempo per chiedersi di cosa stia parlando. Shadee si butta in una corsa frenetica, schizza via, i piedi nudi che affondano nelle pozzanghere, il grido di Jaja che diventa sempre più intenso, lo trafigge con la precisione di cento coltelli conficcati nella schiena.

«Shadee!»

E ancora.

«Shadee!»

Jaja lo insegue, ma a un certo punto i suoi passi non fanno più rumore. Quando Shadee si gira, capisce che a inseguirlo è soltanto la sua voce, perché l'incenso lo ha bloccato, un po' alla volta lo trascina nella grande anfora che scolpisce il muro. Negli occhi di suo fratello si rompe qualcosa, restano solo la paura e la confusione di chi è stato colpito da un potente sortilegio.

«Shadee.» Arriva perfino a supplicarlo. «Aiutami, non lasciarmi qui.»

Non è quello che ha fatto lui? Shadee scuote il capo e senza sensi di colpa cerca l'uscita.


*


Deve stare calma, ce la può fare. Che ci vuole a salvare un principe avvelenato quando non sai nulla del siero che gli è stato iniettato? Basta azzeccare la cura giusta, no? Peccato che abbia già provato di tutto. Nella prima siringa ha inserito i semi di buniade, nella seconda l'artemisia. Nulla, il principe è collassato, non si divincola da un pezzo ormai, tutto in lui è fermo, perfino il battito del cuore.

Cosa darebbe perché il Vecchio Saggio fosse lì ad aiutarla! Evianne affonda le unghie nei palmi e si costringe a ricordare i nomi delle polveri che le ha messo nella tracolla. Runa, l'erba delle streghe. È la sua ultima possibilità.

In una lotta continua contro il tempo prende coraggio e infila la nuova siringa nel collo del principe, i secondi che pesano come ore, il panico che con le sue fauci la divora. E il respiro... Si rifiuta categoricamente di respirare se non lo farà prima lui. È una questione di principio, quindi ti prego, supplica, mi basta una minima reazione, anche un solo sospiro, ti prego, ti prego. L'idea di aver fallito fa girare il mondo a una triplice velocità, la lascia stordita, a corto di ossigeno, i polmoni vicini all'esplosione.

«Respirate» gli ordina. «Respirate, vi prego, respirate.»

Continua a pregare in silenzio, finché non sente un rantolo, come un suono che viene soffiato fuori dopo essere stato trattenuto troppo a lungo. Anche lei adesso può respirare perché il principe è vivo.

«Ce l'ho fatta.» Evianne si morde le labbra per non piangere e guarda il principe muovere la testa nella conca del cuscino.

«Jaja» lo sente bofonchiare da sotto il cappuccio.

Riesce a strapparle una risata. «Siete anche egocentrico? Chi parlerebbe di sé stesso in un sogno?» Adesso che l'ha salvato può di nuovo permettersi di prenderlo in giro. Gli accarezza la mano rivestita dal guanto nero. «Riposatevi. Domani tornerò a perseguitarvi in tutto il mio splendore.»

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