14. La vostra guardia personale
Shadee si sveglia prima dell'arrivo della servitù per arrotolare lo stuoino e farlo sparire sotto il letto di Jaja: l'ultima cosa che vuole è venire deriso dall'intera casata perché dorme sopra un materassino di vimini. In fretta e furia indossa la casacca nera e si prepara per la colazione e per una nuova giornata in cui accumulerà... quanti? Almeno altri dieci guai? Prende un grande respiro e si ordina di pensare positivo, deve solo trovare Chenzira e chiedergli di aiutarlo a bocciare le richieste dei Secondi con scuse efficaci, ma quando arriva alla mensa comune, si scontra con due iridi vibranti e un sorriso troppo grande.
«Buongiorno, Altezza!»
Shadee inorridisce di fronte all'allegria della straniera. Deve avere ingerito una dose eccessiva di zuccheri per essere così su di giri. Saltella sulle punte, l'entusiasmo che scorre a filo delle braccia bruciacchiate, e gli sorride come se fossero amici da sempre.
Le concede un cenno di cortesia. «Buongiorno anche a voi.» Poi tenta di darsela a gambe.
Per sua sfortuna la ragazzina è testarda. Con un'ampia falcata gli atterra accanto e lo tampina lungo i corridoi di Fortezza Diaspro senza capire che la sua presenza non è desiderata.
«Indossate già il cappuccio di prima mattina, principe? Non ve lo levate proprio mai? Non ditemi che lo tenete anche a dormire!»
Shadee scarica un sospiro a terra. Non credeva esistesse persona capace di parlare tanto. E pensare che le aveva messo a disposizione un'ancella per assicurarsi che restasse lontano da lui. Maissa, eccola lì. Li sta inseguendo in piccoli passi e si mordicchia il labbro in imbarazzo per non avere rispettato gli ordini. Shadee non è arrabbiato con lei, la colpa è sua perché è stato così poco lungimirante da sottovalutare il problema.
«Non fa niente, Maissa. Va' pure con le altre donne. Qui ci penso io.»
L'ancella zampetta via nella sua veste sfarzosa, il mento basso e le spalle strette. La ragazzina invece non capisce l'antifona e continua a seguirlo senza mollare l'osso – che sarebbe lui –, lo affianca mentre si infila in una rampa di scale nell'inutile tentativo di seminarla.
«Così vi dicevo...» Ah, giusto! Per tutto il tempo non ha smesso di parlare un solo istante. «Ho deciso che voglio diventare la vostra guardia personale.»
Per poco Shadee non si strozza con un boccone di saliva e non scivola giù da un gradino. Quando ritrova l'equilibrio fissa la straniera. Saltella sul posto con gli occhioni due taglie più grandi del normale e un sorriso incollato alle labbra. Ha il volto ancora bruciato dal sole e i piedi fasciati. Dove trova le forze per perseguitarlo?
«Ho già una guardia personale» bofonchia. «Chenzira. Lo avete conosciuto durante il duello.»
«Sì, lo ricordo, ma so con certezza di poter essere molto più efficiente di lui. Avete mai pensato di licenziarlo?»
Licenziare Chenzira, il suo maestro, il suo modello. Shadee si deve appoggiare a una statua di basalto per non inciampare nei suoi stessi passi. Quella ragazza è pazza. Sentenza definitiva, caso chiuso. Deve liberarsi di lei e alla svelta.
Le dedica una lieve inclinazione del capo che corrisponde a un inchino. «Vi auguro una buona giornata» borbotta a denti stretti.
«Una buona giornata anche a voi e grazie!» La ragazzina ride, non sa leggere dietro le righe, capire che quello era un saluto di congedo, non una forma di cortesia. «Allora, Altezza? Che cosa facciamo oggi?»
«Io ricevo le visite dei cittadini di Sabbiafine e consulto gli archivi, voi...»
«Splendido! Sono bravissima a intrattenere la gente!» Un attimo? Che sta facendo? Come osa prenderlo sottobraccio con troppa confidenza, appoggiarsi a lui, stringerlo? Lui odia il contatto fisico, non è abituato a venire toccato, tantomeno da una straniera che lo tratta come se lo conoscesse da sempre. «Potrei aiutarvi. So ballare e mi piace cantare anche se sono stonata. E adoro gli archivi, ho una passione per gli stemmi, soprattutto floreali, soprattutto se sono viola, soprattutto se ricordano un elmo. Ammetto che siamo partiti con il piede sbagliato, ma possiamo essere amici, no?»
«Decisamente no.»
«Avete uno splendido senso dell'umorismo!»
Se Shadee non indossasse un cappuccio di spilli, si spiaccicherebbe una mano sulla fronte in preda alla più nera disperazione. Dunque... come si zittisce quel mucchietto di ossa senza farlo piangere o offendere il popolo di sua madre? Ci pensa e ripensa mentre la ragazza blatera vaneggiamenti intorno al nulla, finché da una finestra non vede Bulbun rientrare a palazzo su un cavallo del deserto.
«Volete davvero essere un guardia reale?» chiede con finta cordialità.
«Ma certo!»
«E mi pare di capire che Astro vi stia simpatico.»
«Ma certo!»
«Allora so da dove farvi iniziare questa "splendida" giornata.»
Gli occhioni della ragazza si riempiono di una luce che a Shadee ricorda la rugiada baciata dal sole. Senza aggiungere altro scende lungo la scalinata a spirale e arriva al basamento della Fortezza. Con la straniera ancora stretta al braccio, punta il reparto dei magazzini e poi... le stalle.
Chanti sbatte le ciglia per pulirle dalle pagliuzze di fieno che si librano nell'aria, mosse dalle code che i cavalli continuano a sventolare. Shadee ringrazia di avere il volto coperto perché non riesce a trattenere un ghigno divertito, anche se ammette che quella straniera tutto sommato ha un pregio: prendersi gioco di lei lo fa sentire leggero, gli dona una spensieratezza che non ha mai conosciuto.
«Principe!» la sente strillare. «Ma questa è una stalla!»
«Oh, no! È molto di più.» Shadee va oltre il suo odio per il contatto fisico e la spinge dentro. «Questa è la stalla della casata regnante. Se entro stasera riuscirete a renderla splendente, valuterò la vostra candidatura. Sempre che prima sappiate battermi a duello.»
«Ma...» Chanti boccheggia come un pesce che non sa improvvisare un triplo salto carpiato per tornare nello stagno. «Avete detto che sono vostra ospite e... insomma...»
Senza darle occasione di riprendersi, Shadee scappa via e si tuffa in una lunga giornata di lavoro.
*
Shadee passa tutto il giorno ad ascoltare le proteste dei Primi. Il mal di testa lo tormenta, rilascia fitte che arrivano agli occhi e sdoppiano la visuale, ma non ha voglia di rintanarsi subito nei suoi quartieri.
Quando è sera, raggiunge la biblioteca della terza torretta, una cripta di libri con scaffali che riempiono le nicchie e disegnano un labirinto di cunicoli stretti. Si infila nello stanzino dove Jaja lavorava ai suoi progetti e recupera un rotolo di papiro. Lo stende sopra i cartigli che contengono le richieste del popolo. Sempre la stessa storia. I Secondi non vogliono capire che no, non si possono lasciare i confini del proprio distretto se non c'è un motivo serio. Continuano a inviargli richieste di spostamento che in quanto governatore dovrebbe valutare e non sanno che suo padre è stato chiaro quando lo ha istruito: rifiutare sempre.
Con i nervi a fior di pelle si accomoda sulla poltrona. I sospetti di Damen ormai sono certezze: gli ammanchi di Sabbiafine non sono dovuti a una svista di suo fratello come all'inizio aveva sperato. Jaja ha volutamente rubato il denaro di famiglia per donarlo ai Secondi. Ha progettato infrastrutture, organizzato spettacoli, elargito grano. Ha addirittura consentito ad alcune famiglie di stanziarsi all'oasi senza chiedere nessun affitto. Conseguenza? Le casse di Fortezza Diaspro sono vuote e il re reclama soldi e tributi.
Shadee smette di srotolare l'ennesimo papiro non appena riconosce il passo di Chenzira, il modo ritmico in cui batte il tallone per annunciare la sua presenza quando teme di disturbarlo. «Entra pure e, ti prego, spiegami cosa sono questi.»
Chenzira guarda i rotoli che ha appena spianato sopra i cartigli e le piume di pavone. «Questo è il disegno per una rete fognaria a Sabbiafine, questo il progetto per un acquedotto che parte dal Lago Oceano.»
Shadee si toglie il cappuccio di spilli per respirare meglio. «Il Lago Oceano è in condivisione con i Fontebelliani. Più che un progetto sembra una dichiarazione di guerra.»
«Dichiarazione di guerra che non arriverà visto che tu, Jaja, sposerai la figlia della regina Valesca. A quando le nozze?»
Il matrimonio combinato di Jaja, un'altra scocciatura che ha ereditato in qualità di suo ricambio, un dovere che assolverà per il bene della casata, ma al quale non vuole pensare. «Passi troppo tempo con Bulbun» borbotta. Si fa versare una tazza di infuso. «Un tempo eri una persona seria.»
«Jaja vedeva in grande.» Così in grande da scappare e da ridurli sul lastrico? «D'accordo, a volte troppo in grande, ma quello che ha fatto per questa gente gli ha portato amore e riconoscenza.»
«Nonché l'odio di mio padre e della casata.»
Chenzira si fa pensieroso, come se stesse trasferendo la mente in una bolla lontana e irraggiungibile. «Il mondo non si distingue in bianco e nero, in amore e odio, in avere o perdere. Presto dovrai prendere delle decisioni importanti ed è necessario che tu sia razionale.»
«Di irrazionale qui vedo solo le folli spese di Jaja. Ha svuotato le casse per questi...»
«Eventi di beneficenza?» Chenzira tenta una battuta per sollevargli l'umore, ma fallisce.
Quel dannato mal di testa è ancora lì, non gli dà tregua nemmeno quando si concede quattro chiacchiere con il suo maestro. Shadee si massaggia le tempie. «Mio padre vuole le tasse di Sabbiafine. Ho studiato i bilanci da ogni angolazione, ma non so da dove tirare fuori i soldi che chiede.»
«Sono davvero necessari per il benessere di Spinarupe?» Entrambi conoscono la risposta: no. «Che resti tra noi, ma ad alcuni tuoi parenti non farebbe male tirare la cinghia, ne guadagnerebbero in estetica con qualche rotolo di lardo in meno.»
È semplice per lui. Non sa che cosa gli scrive il re in ogni lettera. Manderà l'esercito se non otterrà quel che gli spetta. Non è una questione di soldi, ma di potere, di mostrare al popolo chi ha la sciabola più forte, chi non deve essere sfidato.
«L'oasi» sussurra Shadee. Firoze la rivendica per i suoi stabilimenti tessili e Isedu su concessione del vero Jaja l'ha occupata con numerosi Secondi. «Invia Bulbun all'oasi. Deve ottenere un affitto minimo da quelle famiglie, visto che occupano abusivamente i nostri terreni.»
Chenzira irrigidisce la mascella. Negli occhi di drago le pupille diventano due rette sottili.
Shadee sente di doversi giustificare. «Da qualche parte devo pur iniziare, no?»
«Dovresti riposare. Nel pieno delle tue facoltà mentali non avresti mai proposto Bulbun per un incarico serio. Manderò Nandi con lui, è la regina degli strozzini.»
Lo saluta con un cenno e svanisce oltre i bolli di luce che si stampano per terra, colorando le piastrelle di maiolica di un arancione sgargiante.
Shadee resta ad accarezzare le linee che il pugno di Jaja ha tratteggiato sul papiro con una precisione geometrica. Si alza con uno scatto, pronto ad appallottolare ogni foglio, quando una nausea improvvisa gli lascia a stento il tempo di aggrapparsi allo schienale della poltrona per non stramazzare a terra. I disegni volano sulle piastrelle, una ginocchiata rovescia il calamaio. Tutto in lui trema, la stessa sensazione che ha provato nel deserto quando ha perso il controllo di Astro ed è finito nella tana del serpente.
Shadee vede bianco. Gli spasmi lo mandano a sbattere contro il muro. Lo circondano rumori di oggetti che cadono, li sente a fatica, coperti dal cuore che tonfa nel petto sempre più forte, sempre più dolorosamente.
«Principe Jaja, siete qui?»
La ragazza. Ci mancava solo lei! Con le energie che gli restano, si butta il cappuccio in testa. Vorrebbe strillarle di andare via, ma di bocca esce soltanto un rantolo.
«Chenzira mi ha detto che siete qui. Ho pulito le stalle. Ora brillano più di tutte le stelle del firmamento. Ci si potrebbe specchiare anche tutta la corte oltre a voi! Non che il riflesso sarebbe interessante, visto che con quei cappucci e le casacche nere siete tutti uguali, però...»
Lo scalpiccio prodotto dai suoi sandali si fa più vicino. La pressione nei polmoni aumenta. È come se lo zoccolo ferrato di un cavallo stesse premendo negli alveoli, ostacolando il pompaggio dell'aria.
«Principe Jaja, vi sentite bene?»
Una voce giunge da fuori campo. Chiama un nome che non è suo – Jaja – e insiste, a stento udibile, ma dolce, lo raggiunge come una brezza che dona aria fresca.
«Principe Jaja, mi sentite? Toglietevi il cappuccio o soffocherete.» Dita delicate fanno ondeggiare l'orlo di stoffa. Il volto della ragazza è sgranato e i suoi polpastrelli... Il terrore lo invade. Sono sul mento, morbidi e freddi, una mano straniera che gli accarezza la pelle.
«Via!» Shadee grida con tutta la voce che gli resta. Non può vederlo in volto, è reato. «Via!»
Le mani della ragazza restano appoggiate sulle guance, i pollici sollevano un lembo del cappuccio. Shadee sbraccia per allontanare la straniera e impedirle di guardarlo. L'aria sta tornando a fluire nei polmoni, il cavallo solleva lo zoccolo ferrato che schiacciava gli alveoli.
La ragazza indietreggia, rompe il contatto, ma ha ancora le mani alzate per raggiungerlo. «Vado a cercare aiuto.» Sembra spaventata. «Vado a chiamare qualcuno.»
«No. Via. Non mi potete vedere. Mai.» Shadee sente gli occhi bruciare di rosso mentre la fissa con odio e la vede diventare minuscola, un puntino argenteo che indietreggia e scompare tra le scaffalature piene di libri e rotoli. Soltanto quando resta solo, si permette di collassare al suolo e di ringraziare Zeme per avere mantenuto la sua identità segreta.
*
Evianne esce dalla biblioteca come un fulmine. Puzza di letame e fieno, ma non è il tanfo a sconvolgerla, è il principe, il modo in cui l'ha trattata quando voleva soltanto aiutarlo. È un essere borioso, un musone, un ingrato, e lei è stata una sciocca a pensare fosse gentile solo perché le ha offerto ospitalità. La verità è che non si può cercare il buono in ogni persona, alcune sono state corrotte dal mondo in cui sono cresciute, e il principe Jaja ne è la prova.
Con il cuore che batte all'impazzata trova rifugio nella sua stanza e si costringe a calmarsi. Se solo Snorre fosse lì, le direbbe che è inutile lasciarsi trasportare dai sentimenti, è un errore che compie spesso, ma non se lo può permettere in terra nemica, dove una mossa sbagliata rischierebbe di distruggerla. Non ha alleati tra le mura di Fortezza Diaspro, nemmeno Maissa, l'ancella che le è stata assegnata, per quanto sembri dolce e riservata.
Proprio in quell'istante la donna bussa per preparare il suo bagno, inizia a riempire d'acqua una vasca a forma di conchiglia che ha fatto piazzare accanto al letto. Più che una domestica sembra una regina da quanto è elegante. Una treccia corvina le incornicia il volto bruno, scopre le orecchie dai cui lobi cadono dei pendenti di smeraldo, grandi pietre che si coordinano agli anelli delle sue mani perfette e alle pietre che sfolgorano in un tripudio di lucentezza lungo l'orlatura della veste color pesca.
Quando cerca di aiutarla a togliersi i vestiti infangati, Evianne la ferma per evitare che si sporchi. «Posso fare da sola, grazie.»
Maissa le piace. Nonostante la bellezza sgargiante è umile e gentile, peccato non spiccichi mezza parola.
«Perché non dici mai niente?» le chiede Evianne mentre inizia a lavarsi. «È perché sono straniera?»
L'ancella fa di no con la testa, le perle incastonate nella treccia corvina brillano come piccole pepite di luna.
«Allora è perché il principe mi odia? Vi ha detto lui di ignorarmi? Sono sicura che mi tiene a palazzo solo per torturarmi e che non avrò mai il duello che mi ha promesso. Prima mi ha fatto pulire le stalle, poi in biblioteca mi ha spinta via come un essere sgradevole.»
Le basta ricordare il modo in cui l'ha trattata e subito una rabbia cieca la pervade. Soltanto più tardi, quando si infila la tunica da notte che Maissa le ha portato, prova a rivivere il loro ultimo incontro, lo interpreta da un'angolazione diversa. Rivede il principe davanti al tavolo da studio, incapace di respirare, ferito come i cervi che a Fontebella curava assieme al Vecchio Saggio. Un animale che soffre può reagire nel modo sbagliato, soprattutto se ti vede come una minaccia. Non bisogna scambiare il suo ringhio per cattiveria quando deriva dall'istinto della difesa, bisogna solo aspettare e con pazienza superare il muro delle sue rimostranze. Lei ha fatto l'esatto contrario, si è approfittata di un momento di debolezza per provare a sfilargli il cappuccio. Mentre Maissa la pettina, pensa che la lontananza da casa la stia trasformando in un mostro: ha sempre amato la vita, eppure di fronte a quel nemico di indole brusca si è scordata di venerarla.
Evianne guarda fuori dalla finestra in cerca di un presagio che le suggerisca come muoversi. La notte è dominata da un punto rosso e da un asterisco argenteo che pulsa a intermittenza. Che strane stelle! Sono così diverse da quelle che ha conosciuto a Fontebella. È come se i Gari avessero deciso di incastonarle soltanto nel cielo di Rovi e di non riprodurle anche nelle volte delle altre Bolle.
Con un sospiro attira l'attenzione di Maissa. «Pensi che il principe sia malato?»
L'ancella fa segno di no, ma Evianne non si lascia rincuorare da quella risposta. A pensarci bene la sua aura aveva qualcosa di strano. Le sembrava che stesse tremando come la fiammella su uno stoppino che si smorza un poco alla volta e nell'atto conclusivo della sua vita si spegne.
Un brivido di terrore la fa scattare in piedi. E se fosse colpa sua? Se fosse stata lei a ridurlo in quelle condizioni? Se lo specchio con cui lo ha paralizzato nascondesse un maleficio mortale? La Dama di Sabbia non ha mai specificato quali fossero gli effetti collaterali della sua magia. Il principe è un uomo scontroso, è il nemico della sua patria, ma lei non può spezzare una vita, non è nella sua natura.
«Maissa, ho paura di avere commesso una sciocchezza. Devo vedere il principe e assicurarmi che stia bene. Sai dove si trova?»
L'ancella annuisce e la guida lungo le torrette e i loggiati con passo deciso. Fortezza Diaspro è un luogo meraviglioso, con soffitti alti e pareti di pietra rossa cesellata che raffigurano belve e scene di caccia. Alcuni ponti, coperti da un soffitto di vetro temperato, collegano le prime quattro torrette, ma le restanti sette sono circondate da una zona di vuoto e a prima vista sembrano irraggiungibili.
Maissa le indica la torretta centrale, un prisma lustro isolato da tutti gli altri.
«Il principe si trova lì?» domanda Evianne. «Come posso arrivarci se non ci sono ponti e scalinate per accedervi?»
"Non puoi" dice lo sguardo scuro di Maissa.
«Impossibile. Deve esserci un modo.»
Maissa indica la statua di basalto di un antenato, cerca di farsi comprendere a gesti che parlano meglio di un discorso: la torretta centrale è preclusa agli stranieri, solo chi ha il potere di Zeme può raggiungerla. La vera domanda è: come?
*
Quella notte Evianne non riesce a dormire. Continua a fissare il soffitto della sua stanza nel tentativo di calmarsi, ma il terrore di avere fatto del male a qualcuno è un frustino che picchietta a ritmo regolare sul cuore e le impedisce di chiudere occhio. Se il consigliere Ordon fosse lì, le direbbe che è una sciocca. Dovrebbe approfittare della situazione per sfilargli il cappuccio, cogliere l'aiuto della notte per cercare un indizio sul fiore viola nella biblioteca di palazzo. E invece lei riesce a pensare solo a quel principe scontroso che potrebbe avere ferito. Si ripete che non è affare suo, ma vorrebbe sgusciare fuori dalla sua stanza e scoprire come raggiungere la torretta centrale.
Evianne si ricorda della rosa del Vecchio Saggio. Le è stato detto di usarla con cautela, per le emergenze, ma chi potrebbe darle torto? Quella è un'emergenza! Forse Snorre potrà aiutarla, ha vissuto come ostaggio per due anni a Spinarupe, deve conoscere i meccanismi su cui si fonda la casata regnante. Ormai convinta, stacca un petalo dalla rosa e lo guarda ingrandirsi in un foglio di carta sul quale si affretta a scrivere in codice.
Arrivata a Sabbiafine. Tutto bene. Soltanto credo di avere rovinato il futuro tappeto di Mildri. Non sono sicura del danno, forse si può aggiustare, ma ora è lontano da me e non so come raggiungerlo. Sarebbe utile sapere quali rimedi usano qui per spostarsi dove i piedi non possono camminare.
Il foglio si arriccia su sé stesso e scompare in una nuvoletta di fumo che profuma di rose. Poco dopo sullo stelo sboccia un nuovo petalo. Evianne lo strappa e legge la risposta di Snorre.
Dimmi che si può recuperare! Sei brava a curare gli oggetti e mi fido di te. Se i piedi non possono volare, spetta alle mani creare un ponte. Non essere troppo te stessa.
Cosa vuol dire creare un ponte con le mani? Il codice di Snorre non è comprensibile o forse è lei a essere troppo stanca per capire. La sua avventura a Sabbiafine è iniziata in fretta, l'ha lasciata sopraffatta. Non ha risolto nulla con quel messaggio, non ha scoperto come raggiungere la torretta centrale. Eppure, quando si risistema stesa, si sente più tranquilla grazie al contatto con casa e alla consolazione di quelle poche parole amiche. Soffia sulla candela e si ordina ancora una volta di dormire, abbracciata alla speranza che il principe stia bene e che domani la riceverà.
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