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Epilogo - Casa e Natale

Dicono che tornare a casa sia tornare dove abbiamo lasciato il cuore.

E allora perché, adesso che ero quasi arrivata, avevo già voglia di ripartire?

Perché i segni dell'estate bruciavano ancora così tanto sul mio corpo e tra i miei pensieri?

Ci pensavo mentre osservavo la neve che aveva incominciato a cadere abbondante e morbida, imbiancando il viale che conduceva all'ingresso dell'elegante palazzina del centro di Washington dove mio padre si era trasferito poco prima che partissimo per trascorrere l'estate a Portway. Vi ero stata per un breve periodo a settembre, prima di trasferirmi a Chestertown per il college.

Attraversando il viale che mi avrebbe riportata da mio padre, pensai a quanta voglia avessi di rivederlo, mentre mi rendevo conto che l'odore dell'aria era già quello dell'inverno più freddo, e che tutto era cambiato così in fretta per me.

Ma era così che andava la vita, o no? Era quella la direzione che avrei seguito, di lì in poi.

Per un istante mi ritrovai a pensare anche a mia madre Katherine. Era da un pezzo che non la vedevo, e anche lei mi mancava. Mi chiesi poi come stesse mio padre, e mi sentii in colpa perché mi sembrò di essere stata egoista durante gli ultimi giorni, di aver pensato soltanto a me.

Era stato naturale, però. Ero sicura che dentro di me si fosse già creato un buco piccolo ma al tempo stesso profondo e vuoto. Nel cercare di colmarlo, avrei cercato negli occhi degli altri gli occhi di Jaydon, ne ero sicura. E non li avrei trovati. Mai.

Sospirai. Arrivai di fronte alla porta d'ingresso. Guardai la neve sotto i miei piedi, esitai per un istante e poi suonai il tasto sul citofono.

Nessuna risposta.

Suonai una seconda volta e ancora silenzio. Così aprii la borsetta e frugai alla ricerca della mia copia di chiavi. Aprii, e mentre entravo mi domandai dove potesse essere mio padre a quell'ora. Era tarda sera, non troppo tarda ma comunque già inoltrata.

Forse è sotto la doccia, pensai.

E quando finalmente fui dentro l'appartamento, mi resi conto che era vuoto e silenzioso.

<<Papà?>> chiamai.

Nulla. Attraversai il corridoio principale, poi entrai in tutte le stanze. Non c'era nessuno. Uscii, entrai nell'appartamento di fronte, sempre di mio padre, ma anche lì nulla. Silenzio totale. Salii al piano di sopra, perlustrai gli altri due appartamenti e ancora non trovai nessuno.

Presi e il telefono e mi avvicinai alla grande finestra al fondo del corridoio nel salotto di uno dei due appartamenti al piano più alto della palazzina. Scostai le tende e con gli occhi osservai il panorama che si stagliava di fronte a me. Potevo vedere la città, distesa sotto il cielo, persa tra i semafori e gli alberi spogli ai lati delle strade. Abbassando gli occhi, trovavo taxi, traffico di automobili e qualche autobus che caricava e scaricava passeggeri in cerca degli ultimi acquisti per Natale.

E forse anche mio padre è andato a comperare dei regali, pensai. Mi resi conto soltanto in quel momento che io, invece, ero tornata a casa a mani vuote e fui colta da una sensazione improvvisa di panico.

Mancavano soltanto più quattro giorni a Natale; tre, se escludevo oggi, che ormai era...

Scossi la testa, distolsi lo sguardo e poi mi allontanai dalla finestra. Avrei pensato ai regali l'indomani. Presi il telefono e composi il numero di mio padre, che però non rispose.

Stanca, mi spogliai. Tolsi la giacca, gli stivali e poi mi lasciai cadere su una delle poltrone in pelle al centro del salotto. Ripresi il telefono, scorsi la rubrica fino a che non raggiunsi il numero di Jay.

Sorrisi, e sentii una fitta farsi spazio dentro di me. Alla fine, mi feci coraggio e lo chiamai.

E ogni squillo che cadeva a vuoto era un battito del cuore che andava perso; un rintocco di campana di cui potevo cogliere solo l'eco; o forse... già, qualcosa di peggiore. Il nero che oscurava il bianco. La notte che toglieva di mezzo il giorno. Un pugno nello stomaco. O forse, più semplicemente, soltanto la spiegazione di come sarebbero andate le cose tra me e Jay da quel momento in poi, e senza che nessuno di noi due avesse particolari colpe, perché... beh, perché era la vita ad essere così.

Lui non rispose. Chiusi gli occhi, mi sentii stupida per averlo cercato.

E d'un tratto, però, mi fu tutto un po' più chiaro.
La mia vita sarebbe andata avanti lo stesso. Avrei pensato ad altro, mi sarei innamorata ancora. In ogni respiro non avrei più cercato il suo; in ogni abbraccio non avrei più pensato alle sue braccia, alle sue mani. I baci che sarebbero venuti avrebbero avuto un sapore differente, sicuramente (ma no, Millie, no, sai che non sarà così) e fare l'amore sarebbe stato bello lo stesso, anche se diverso (davvero? Lo pensi davvero?).
Avrei pianto, ma in modo più consapevole. Avrei lasciato il mio numero di cellulare a un belloccio del college, che mi avrebbe portata da qualche parte in  una sera di primavera e poi ci avrebbe provato con me sul retro del sedile di una bella automobile. E sì, ci sarei stata, e allora avrei pensato ad Alicia e alle sue parole. A quella vita che ad ascoltar lei, fuori da Portway, mi avrebbe accolta a braccia aperte. Mi sarei chiesta a un certo punto se avesse avuto ragione o meno a implorarmi di tornare di corsa a Washington e non avrei mai più pensato a Jaydon.

Non sarei mai più nemmeno tornata a Portway, perché non sarei voluta tornare io, a Portway.

Chiusi gli occhi. In gola, nonostante fosse l'ultima cosa che avrei voluto accadesse, si formò un nodo che poi esplose da solo. Piansi; e per la prima volta da quando avevo lasciato Portway mi sentii davvero triste. Da sola in quel bellissimo appartamento vuoto, mentre la neve fuori continuava a cadere, mi resi conto che per quanto avrei potuto continuare a nascondere ciò che provavo, alla fine i miei pensieri sarebbero sempre tornati nel luogo in cui avevo lasciato il mio cuore. Ed io con loro.

Ed io con loro.

Guardai gli stivali a terra, sporchi di neve a fango. Mi asciugai le lacrime.

E presi la mia decisione.

L'avrei fatto davvero. Sì. Sarei tornata a Portway.

Avrei potuto andare avanti, ma sarebbe stato come vivere in balia di un rimpianto pronto ad avvolgermi continuamente, e a portare via con sé -di volta in volta- una parte di me.

Sarei tornata a...

E poi la realtà tornò a prendere il sopravvento, senza colori, in bianco e nero come un vecchio film del quale conoscevo già il finale.
C'era il college; c'era il padre di Jay che stava male. C'erano le cure da pagare e c'era soprattutto il fatto che avrei semplicemente dovuto accettare la fine di quella storia.

Cresci, Mills.

Cresci.

Poi la chiave nella toppa girò, la porta d'ingresso si aprì. Mio padre, bello come sempre, con la testa bagnata di neve, comparve all'improvviso sulla soglia. Tra le braccia stringeva una grande busta marrone.

<<Mills!>> esclamò, sorridendo e venendomi in contro.
<<Papà>> dissi, sorridendo anch'io, sperando che le lacrime fossero svanite dal mio viso.

Ci abbracciammo. E in quell'abbraccio condividemmo tutto ciò che lega un padre a una figlia, nel modo più bello possibile.

Tutto ciò che legava me a lui. 

Ci staccammo e lo guardai negli occhi.

<<Dov'eri finito, papà?>>

Lu esitò per un istante, poi mi mostrò la busta di plastica che aveva tra le mani.

<<So che ti avevo detto che avevo preparato i pop corn, e l'avevo fatto, ma poi...>>
<<Poi?>> gli chiesi, con con quel sorriso che era un po' forzato e un po' sincero. Guardai il contenuto della borsa che aveva appoggiato a terra.

Sacchetti di popcorn in quantità industriale.

<<Beh, poi li abbiamo mangiati>> disse, sollevando le sopracciglia.

Così d'un tratto pensai a Rebecca. Ecco, li avevo interrotti sul più bello. Brava, Mills. Un altro grande colpo e...

La porta d'ingresso si aprì ancora una volta.

Ciò che accadde dopo fu irrreale, difficile da spiegare a parole.

Jaydon comparve alle spalle di mio padre. Tra le braccia, anche lui teneva una grande busta marrone.

Sentii il cuore che accelerava i battiti e le mani che prendevano a sudare. I pensieri, folli e impazziti, si inseguivano nella mia testa alla velocità della luce.

<<Jay...>> dissi, non certa che le parole stessero uscendo dalla mia bocca.

Lui lasciò cadere la busta a terra e mi corse incontro.

<<Mills>> esclamò, allargando le braccia.

Ci baciammo e la neve smise di cadere, l'orologio di scandire i minuti ed il calendario di segnare i giorni. Mi resi che conto che all'improvviso ero nell'unico posto al mondo in cui avrei mai voluto essere; e l'unico che sarei mai stata in grado di chiamare "casa".

<<Mills... ti amo, Mills. Ti amo.>>
<<Ti amo, Jay. Ti amo da morire.>>

Non avevo detto "ti amo" a nessuno prima di Jay, eppure ero certa del significato di quelle parole e dell'importanza che avevano per me. Nulla era più vero, per me, di quelle due parole e rendermene conto mi fece tremare.

Poi all'improvviso una voce ruppe quel momento, e fu come quando qualcuno spegne la radio sulle note della nostra canzone preferita.

<<Ok, ok, ti amo, mi ami, ci amiamo, vi amate, vi sposate, mettete al mondo qualche bel pupo e io? Che cosa faccio, eh? Perdono Gregor? Volete davvero dire che le mie migliori prospettive future sono queste? Eh? Eh?>>

Ci voltammo.

Alicia.

Eccolo, il regalo di Natale che mio padre mi aveva fatto.

Alicia mi abbracciò.

Casa, Millie.
Essere a casa.
Esserci davvero.

Non avevo idea di che cosa fosse successo, o del perché loro fossero con mio padre.

<<Papà, che cosa...?>>

Ci sedemmo, poi fu lui a parlare.

<<Ci ho pensato a lungo, Mills. Ho visto l'espressione sul tuo volto, quando abbiamo lasciato Portway. So che cosa voglia dire. Non sembra, ma...penso cose più profonde di quelle che dico, molte volte.>>
<<Papà, non...>>
<<E poi, sai, avevo bisogno di qualcuno che mi desse una mano allo studio. È uno studio nuovo. Un lavoro frenetico. Ci sono così tante cose da sistemare, da controllare. Anche soltanto fare delle telefonate è un compito di vitale importanza, oggi. E sono certo che i qui presenti Jaydon e Alicia siano abbastanza svegli e volenterosi da potermi essere utili in qualche maniera. Pare che loro siano d'accordo, non è così?>>

Jay e Alicia annuirono con la testa.

<<Beh, a dire il vero ho cercato di oppormi>> disse Jay con un sorriso <<ma tuo padre sa essere molto convincente. Ho capito che è meglio non mettersi contro di lui.>>

<<Jay, tu...>>
<<Mi ha raccontato tutto, Mills. So di Harold Cogan. So della madre di Jaydon. E so che tutti noi meritiamo una seconda occasione.>> Si interruppe, e il suo volto divenne improvvisamente serio. Osservò Jaydon senza dire nulla per diversi secondi, poi riprese a parlare: <<Jay ha sofferto abbastanza. Però mi ha promesso di insegnarmi ad andare in barca. E anche sulle moto da cross, o qualcosa di simile, vero Jay?>>

Mi voltai verso Jaydon per fulminarlo con lo sguardo e lui distolse gli occhi, come per scappare.

<<No, papà, direi che la barca è più che sufficiente.>>

Ma ancora il cuore correva all'impazzata dentro di me; ancora i pensieri si sovrapponevano e si inseguivano increduli, sconvolti.

<<Vuoi dire che loro... beh, che Jay e Alicia...>> chiesi, cercando di realizzare ciò che stava succedendo davvero.

<<Abbiamo tanto spazio, qui. Due piani di un intero palazzo, Mills. Quattro appartamenti. Stavo pensando di venderne un paio, poi mi è venuta quest'idea e volevo sapere che cosa ne pensassi tu.>>

Feci un passo verso di lui. Ero incredula. Sconvolta.

<<Non ci credo, papà. Non ci credo. Non...>>
<<Resteranno con noi, Mills. E mi terranno compagnia mentre tu sarai al college. Beh, sai che non amo la solitudine.>>

<<Già, Bruce. Non sarà faticoso tenerti compagnia>> disse Alicia prima che fulminassi anche lei con gli occhi. Lei si bloccò, poi riprese. <<Voglio dire, in senso buono, ci mancherebbe, eh.>>

Scoppiamo a ridere.

Sarei andata al college, ma sarei  tornata a Washington ogni fine settimana. Soprattutto, avrei trovato loro ad aspettarmi.

<<E tuo padre, Jay? Come farai con lui?>> chiesi, preoccupata.
<<Tuo papà si è offerto di pensare alle sue cure, Millie. Lo farà seguire e curare dal Central General Hospital, qui a Washington. Gli ho detto che non voglio e non posso sentirmi in debito con lui. Non fino a questo punto.>>
<<E io che cosa ti ho risposto?>> domandò mio padre.
<<Mi hai risposto che lo fai con il cuore. Che non è un debito. E per questo ti sarò riconoscente a vita.>>

Provai una fitta allo stomaco.

Era l'amore.
Non quello per Jaydon, non soltanto. Era l'amore per mio padre, per il bene che mi voleva. Per ciò che aveva scelto di regalarmi senza chiedere nulla in cambio.

Quello che lega un padre ad una figlia, e viceversa.

<<Farò di tutto per essere una persona importante per te, Mills>> sussurrò Jaydon avvicinandosi a me. <<Farò di tutto per essere speciale, e per regalarti il meglio che ho. So che è poco, ma per me è tutto.>>

Lo baciai ancora, e ancora, e ancora.

<<Ok, ragazzi, scusate se interrompo il momento magico, ma tenevo a domandarvi una... beh, avrei una richiesta.>>

Ci voltammo tutti verso Alicia, in silenzio, fissandola con serierà, come se ci fossimo messi d'accorso per prenderla in giro.

<<Parla, donna>> la esortò mio padre.

Lei esitò, poi si fece coraggio.

<<Beh, ecco, visto che tra pochi giorni sarà Natale... e ci sarà il pranzo, e poi la cena, e saremo tutti insieme... sarebbe tanto fastidioso per voi se dessi una chance a Gregor? Voglio dire... potrebbe essere dei nostri? È soltanto un'idea, eh, sia chiaro, non...>>

<<Alicia>>, la interruppe mio padre <<puoi portare questo Gregor. Ma sappi che dovrà vedersela con me, ok? Ho sentito parlare di lui. E ho come l'impressione che il ragazzo abbia bisogno di una bella lezione.>>

Alicia scoppiò a ridere e noi la seguimmo.

<<Oh, sì, eccome se ne ha bisogno! Bene, allora grazie anche per questo>> rispose ridendo, con gli occhi colmi di gioia, <<magari è la volta buona che impara a usare il cervello, sempre ammesso che...>>

<<Shhh>> la interruppe mio padre, <<è Natale, Alicia. Dobbiamo provare ad essere tutti un po' più buoni.>>

Lei sorrise.

Li osservai, uno alla volta.

Mio padre.

Jaydon.

Alicia.

Poi guardai la neve, attraverso la grande porta a vetri al fondo del salotto. Sembrava che stesse cadendo con più intensità, adesso.

Mentre le voci intorno a me si sovrapponevano, confondendosi e mescolandosi, di una cosa fui all'improvviso certa: quella era la mia famiglia e lo sarebbe stata per sempre.

————————- TRE MESI DOPO———————

Il primo giorno di primavera dell'anno nuovo.

Erano tutti a cena, era un weekend. Millie, Alicia, Jaydon, il padre di Millie e Rebecca (già, c'era anche Rebecca) e stavano parlando di una partita di baseball che era appena terminata, quando il telefono di Jay squillò.

<<Scusatemi>> disse. <<Pronto?>> rispose, subito dopo.

Forse la linea era disturbata. Così si alzò e uscì in terrazza.

Camminò fino all'estremità e si appoggiò alla ringhiera. Le luci della città illuminavano il buio sotto i suoi occhi.

<<Pronto?>> ripetè.

L'aria della primavera, già prossima a dare il cambio a quella dell'inverno, era fresca e profumava di fiori.

<<Jaydon? Jaydon Moore?>> domandò la voce all'altro lato del telefono.

<<Sono io. Con chi parlo?>>

Ci fu un breve silenzio, seguito da qualche rumore di sottofondo che Jay non riuscì a distinguere.

<<Mi chiamo Ryan Cooper. Sono un investigatore privato. Ho delle informazioni sulla morte di tua madre, Jaydon. Riusciamo a incontrarci?>>

[Dovrebbe esserci un GIF o un video qui. Aggiorna l'app ora per vederlo.]

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