Se telefonando io potessi dirti addio, ti chiamerei.
La mattina dopo Philip si presenta alle dieci. Sbrighiamo le ultime cose e ci dirigiamo verso la macchina, mentre un forte vento ci prende a schiaffi. La piccola Darcy è imbacuccata nel suo cappottino verde mela, ho davvero paura che prenda freddo. Inizio ad avere paura di tutto, in realtà, dal momento in cui metto piede fuori dall'ospedale. È così che mi sentirò per tutta la vita, fino al momento della mia morte? Preoccupata, in ansia, con il terrore perenne che succeda qualcosa di brutto a mia figlia? Oddio, non sono pronta a vivere così per sempre, io non ce la faccio a gestire queste cose, io vado in panico e faccio casino, sono fatta così. Guardo Darcy, mentre cerco di stare al passo di Philip. Ha gli occhi semichiusi, il volto rosso, ma è appena nata, credo sia normale, mi domando se stia respirando bene. Magari fa troppo freddo e non ci riesce, forse le ho messo troppa roba addosso e si sta sciogliendo, probabilmente pensa che io sia una madre degenere perché non sono in grado di capire se ha freddo o se ha caldo, oddio, ma gliel'ho cambiato il pannolino?
«Mia, hai sentito cosa ho detto?»
Alzo la testa e trovo Philip che mi fissa. La portiera della macchina è aperta e scorgo il seggiolino.
«Scusami», mormoro confusa e anche un po' imbarazzata. Mi avvicino e gli porgo la bambina, che mi sembra così piccola, ma non è meglio se la tengo in braccio durante il viaggio in macchina? Saranno trenta minuti scarsi prima di arrivare a casa. Sto per esporre i miei dubbi, ma qualcosa, nei gesti di Philip, mi trattiene. Lo ha comprato lui, questo seggiolino, come tutto il resto, ma lo ha montato solo ieri sera, perché pensava di avere più tempo. Prende Darcy in modo delicato, la sistema in modo che stia comoda e possa dormire in pace.
«Ecco qui.» Le mette a posto il cappellino sulla piccola testa e mi guarda. «Che dici, glielo tolgo?»
Ci rifletto un istante, poi scuoto la testa. «No, tanto mi metto dietro anche io, accanto a lei.»
«Perché? Starà bene anche se ti metti davanti.»
La sua domanda è tendenziosa, ma decido di lasciar correre. «Lo so, ma preferisco stare dietro. Concedimelo, sono mamma da due giorni.»
Philip non dice altro. Mi sistemo vicino a Darcy, che non sembra provare né caldo, né freddo, anzi, ha l'aria di essere davvero in pace. Sorrido e le accarezzo la testolina. Le tolgo con calma il cappello e sfioro i suoi capelli scuri, ancora radi, ma sono sicura che diventeranno come i miei. O come quelli di suo padre. Insomma, saranno belli come i nostri.
Philip mette in moto e parte senza dire altro. Il fatto che io stia dietro ci impedisce di parlare. Accende la radio, che ci fa compagnia durante il viaggio, e scambiamo qualche parola di circostanza. Non so se ho scelto di sedermi dietro per evitare una conversazione costruttiva che potesse portare a qualcosa.
Arriviamo a casa e troviamo Lola, Taylor, Jake, Alex e Luke che hanno appeso in salone l'enorme scritta "Benvenuta Darcy", in italiano, tutta in rosa. È deliziosamente pacchiano e mi fa piangere. Cerco di far avere una reazione a mia figlia, ma lei si limita a fare un versetto e poi a riaddormentarsi. Mai una soddisfazione. Mio fratello mi sorride.
«Sistematevi, dai, che ho messo già l'acqua per la pasta.»
Philip gli riferisce di non mettere il peperoncino nel sugo e Alex ci mette un po' a capire la correlazione tra questo e il fatto che sto allattando, non è il caso di dare del peperoncino a una neonata. Mi dà un bacio sulla guancia, mentre prova di nuovo a prendersi la nipotina e ci riesce. Io sono distrutta, stanotte ho dormito pochissimo. L'ho trascorsa allattando Darcy, cambiandola, guardandola dormire, anche se ho già capito che è più un animale notturno, che diurno. Vorrei davvero infilarmi nel letto e svegliarmi tra una settimana.
La giornata, invece, trascorre veloce in compagnia dei miei amici, tra cibo e videochiamate con mia madre, mio padre, i miei zii, varia gente che ci viene a trovare. È una bella giornata la seconda di mia figlia.
«Mia?»
Ha appena finito di cambiarla. Gli altri sono in soggiorno, io mi sono messa un attimo sul letto. È bravo a cambiare i pannolini, forse più di me. Ci guardiamo.
«Io vado», mi avvisa. Sollevo le palpebre. Non lo avevo messo in conto.
«In che senso, vai?»
«Vado a casa, torno domattina.»
Con estrema fatica, mi rizzo a sedere. Ho ancora qualche dolore, ma cerco di non pensarci troppo. Mi hanno detto che sono stata fortunata perché ho avuto un parto facile, ma comunque non è che mi senta proprio una Pasqua.
«Ma no, resta qui, c'è...» Mi blocco, non appena mi rendo conto di ciò che sto dicendo. «Cioè, troveremo un posto.»
Philip si mette a ridere. Siamo già in troppi: io dormo nella mia vecchia stanza con Darcy, Alex e Lola dormono nell'altra. Sarebbe complicato, poi lui ha una casa enorme e molto più confortevole.
«Con tuo fratello non ci dormo.» Fa ridere anche me e non posso far altro che concordare.
«Non ti conviene, dà i calci.»
«Torno domani mattina.»
«Ok.»
Abbozziamo dei sorrisi. Se voglio dire qualcosa, è il momento.
«Philip...»
«Sì?»
Vorrei che restassi. Non so cosa provo, sto ancora cercando di capirlo, mi dispiace perché forse dovrei saperlo, ma sono successe così tante cose nell'ultimo periodo, negli ultimi due giorni, che non ho avuto tempo di pensare. Ho voluto procrastinare, ma Darcy è arrivata in anticipo, prima che mi decidessi a capire quello che sento. Ora non so cosa voglio davvero, ma so che vorrei che tu restassi qui con me, stanotte. Non so cosa vorrei che facessimo, forse l'amore, o forse solo parlare. Purtroppo, non sono in grado di decidere nemmeno questo.
«Niente, ci vediamo domani.»
Non riesco a decifrare il suo sguardo. Mi sembra vuoto, freddo, senza emozione. Annuisce, in modo quasi meccanico.
«A domani», sussurra. Si volta verso Darcy, le dà un bacio e la guarda con tutto l'amore di cui è possibile. Poi se ne va. E io resto di nuovo sola. Ma non per molto.
«Mia?» mi chiama Taylor, dopo circa quindici minuti in cui sono di nuovo morta sul letto a vegetare a riflettere sulla miserabilità della mia vita. Volto la testa e la guardo.
«C'è qualcuno per te.»
«Chi?»
Taylor esita. Chi è venuto a trovarmi, o meglio, a trovarci? Per un lunghissimo secondo, penso che Philip sia tornato.
«Credo sia meglio che tu lo veda da sola.»
Ringalluzzita dalla notizia, mi metto in piedi, la stanchezza che sembra andata via. Vado in soggiorno e mi viene un tuffo al cuore.
«Matt!»
Non mi aspettavo di rivederlo, non subito, almeno. Se ne sta lì, stretto nella sua giacca a vento nera, i capelli inumiditi dalla pioggia londinese, le guance arrossate dal freddo. Una volta mi ha detto che nonostante l'inverno di Boston sia terribile, l'umidità di Londra gli entra nelle ossa e non si è ancora abituato.
«Ciao.»
Ci guardiamo e per un attimo sembra che non ci sia nessun altro, in questo soggiorno. Poi, però, l'ingombrante presenza dei miei amici si fa sentire.
«Noi andiamo a farci un giro, che dite?» propone Jake, e io mi accorgo che sono qua. Ci sono tutti, tranne Luke che se n'è andato con Philip e penso che sia meglio così. Uno alla volta, escono dalla porta e ci lasciano soli. Rimaniamo occhi negli occhi. I nostri sono diversi gli uni dagli altri.
«Me la presenti?» mi domanda, a voce bassa.
«L'hai saputo.» Accenna un sorriso.
«Non dimenticare che lavoriamo insieme e che c'ero anche io a quell'evento.»
Già. Ho detto proprio una cosa cretina. Gli faccio segno con la testa verso la mia stanza.
«Vieni, sta dormendo.»
Darcy non lo guarda nemmeno, tutta presa a restare completamente immobile nel suo mondo dei sogni. Chissà cosa sognano i bambini. Sognano, vero? Solo che poi non ricorderanno mai quello che hanno sognato, come non ricordano quello che fanno durante i primi anni di vita. Il primo ricordo che ho risale ai quattro anni, mese più, mese meno, anche se è un po' triste, ho quest'immagine di mio padre che mi rimprovera perché stavo facendo i capricci e non volevo sedermi composta in macchina. Chissà se qualcuno ha mai fatto degli studi sui sogni dei bambini. Dovrei chiederlo alle mamme. Anzi, no, a quelle svitate non chiedo più niente, dato come è andata a finire con le contrazioni di Braxton Hicks.
«È bellissima, Mia», sorride Matt. «Ti assomiglia.»
«Grazie», riesco a dire. Mi sento a disagio, parecchio. Fino a tre giorni fa, io e Matt lavoravamo gomito a gomito per quel benedetto evento, intercalando l'organizzazione con dei baci poco casti, e ora siamo due estranei. Troppe cose sono cambiate tra di noi e una è lampante: l'assenza della mia pancia. Ancora non mi sono abituata ad avere un ventre relativamente piatto. Non voglio pensare a quanta palestra e dieta dovrò fare per provare a tornare in forma e di certo non è questo il momento adatto. La vicinanza con Matt mi innervosisce. Sento un peso in fondo allo stomaco, un lento e perenne fastidio che mi sale fin sopra la gola, una nausea che spero tanto non si trasformi in qualcos'altro. Non so se è ansia o senso di colpa, forse entrambi. L'ho trattato molto male, eppure lui è qui. Matt è qui, a farmi gli auguri, bello come è sempre stato, gentile e dolce come non l'ho mai meritato.
«Posso offrirti qualcosa?» Torniamo in soggiorno, dopo aver consumato di sguardi mia figlia addormentata. «Caffè, tè, birra, coca cola, ho un po' di tutto.»
Matt fa segno di no con la mano. «Sto bene così, grazie.» Accenna un sorriso, mentre mi guarda con quel suo modo intenso che conosco bene. «Come stai?»
I "come stai" di Matt non sono mai buttati lì. I suoi "come stai" sono quelli di uno a cui interessa davvero.
«Bene. Sono in pace. È un'emozione così travolgente che non trovo le parole giuste per descriverla.»
Gli angoli delle sue labbra vanno di nuovo su, in un sorriso sincero che mi contagia.
«Sono davvero contento per te», commenta e io, di nuovo, mi sento in colpa. Tiro dentro più aria possibile, sentendomi accaldata. Lola ha di nuovo alzato il riscaldamento oltre il livello di normale tollerabilità. Cerco i suoi occhi
«Mi dispiace», riesco a dire. «Mi sono comportata male, ho sbagliato tutto. Scusami, scusami davvero.»
Matt stringe le labbra. È teso, riesco a percepirlo. Ho imparato a conoscerlo. Sono tesa anche io, mi sento la persona più sbagliata sulla Terra, in questo momento, mi sento nel posto più sbagliato.
«Sì, beh...» parla lui, abbassando gli occhi. «Non mi hai trattato nel migliore dei modi.»
Direi che è un eufemismo, ma sorvoliamo.
«Però,» continua, «forse era un po' tutto sbagliato dall'inizio. Tu aspettavi un bambino e io ho voluto provarci lo stesso.» Fa un'altra pausa e il suo imbarazzo mi fa tenerezza. «Non sto dicendo che mi sono meritato le corna...» E ci mancherebbe altro. «Ma ho questo vizio di correre quando mi piace una persona. Mi butto nella relazione, salto le tappe e la maggior parte delle volte resto fregato. Pure questa cosa di New York, insomma...»
Tace di nuovo. Vorrei abbracciarlo.
«Tu mi piacevi davvero, Mia, mi piaci ancora. Ho corso troppo. Eravamo su due lunghezze d'onda diverse, due piani differenti e me ne sono accorto troppo tardi.»
Silenzio. Sono totalmente d'accordo con lui. E allora lo faccio. Azzero quel metro di distanza tra noi e lo stringo forte. Matt resta qualche secondo fermo, poi mi circonda a sua volta. Premo il volto contro il suo petto, la sua testa si appoggia sulla mia. Restiamo così per un po' ed è bello. Quando ci sciogliamo dall'abbraccio, mi sento meglio.
«So che non dovrei chiedertelo, ma... Come va con Philip?»
Domanda di riserva? Non so se voglio parlare con Matt di Philip, ma forse è giusto farlo.
«Va che la conversazione più lunga che abbiamo avuto è stata quella per scegliere il nome», faccio, senza riuscire a non risultare indispettita. «Continuiamo ad avere dei seri problemi di comunicazione.»
«Prendi tu l'iniziativa e diglielo.»
«Dirgli cosa?»
«Che lo ami, Mia. Smettila di negarlo a te stessa.»
Matt mi rivolge uno sguardo che non riesce a soffocare una punta di risentimento. Mamma mia come mi sento un escremento umano.
«Non ne sono sicura», provo a difendermi, ma lui scuote la testa.
«Sì che ne sei sicura.»
Sì, eh? Oh, maledizione. Mando giù la saliva e mi accorgo di avere la gola secca. Vado a versarmi dell'acqua, mentre il silenzio resta sospeso tra noi. Matt è rimasto in piedi, nella stessa posizione, con le mani in tasca. Da quando è arrivato non si è nemmeno tolto la giacca. Vorrei dire altro, ma non so cosa. È lui a togliermi l'incombenza.
«È meglio che vada.» Si muove verso la porta, voltandosi con troppo zelo. Poso il bicchiere sul tavolo e mi avvicino, un po' perplessa da questa scelta così repentina. Ma forse è meglio così. Abbiamo finito le cose da dire.
«Ti auguro il meglio, Mia.»
Ha aperto la porta. Ci troviamo sull'uscio, con il freddo che entra dentro. Il buio di Brixton nasconde la strada, illuminata a intermittenza dai soliti lampioni rotti. Le poche macchine che passano lo fanno in silenzio.
«Anche io.» Accenno un sorriso. Voglio che sia felice, in un modo o nell'altro. Matt prova a sua volta a sorridere. Il suo indice destro mi sfiora la guancia. Prima che capisca e me ne renda conto, le sue labbra sono sulle mie.
Oh, mamma, mi sta baciando. Matt mi sta baciando, perché diavolo mi sta baciando? Noi ci siamo lasciati, noi... Forse è un bacio d'addio, anzi, è sicuramente un bacio d'addio. Dopo quello che gli ho fatto ha ancora voglia di baciarmi. In realtà, anche io ho una discreta voglia di farlo. Un bacio, solo uno. Un bacio per dire addio a questo ragazzo meraviglioso che avrei dovuto incontrare prima che tutto capitolasse. Non è andata così, l'ho incontrato dopo aver rivisto Philip.
E all'improvviso penso a lui. Penso a Philip, penso al nostro bacio mentre bacio Matt, penso a quel leggero sfioramento di labbra che abbiamo avuto due giorni fa, mentre Darcy stava per nascere. E capisco che è tutto lì, in tutto quello che ho provato in quei cinque secondi. E allora tiro la testa all'indietro e abbandono le labbra di Matt. Lui resta fermo per qualche attimo, poi apre gli occhi. Capisce.
«Ciao, Mia.»
Lo guardo andare via, nel buio, e non voltarsi. Chiudo la porta a chiave e vi appoggio la schiena. Ho il cuore che mi batte forte, fortissimo. Il respiro è affannato, ma devo riportarlo alla normalità. Ho bisogno di altra acqua, la bevo in fretta, cerco con lo sguardo il mio telefono. Lo individuo sul divano e vado a prenderlo. Cerco il nome di Philip tra le ultime chiamate e premo il tasto verde, mentre mi dirigo con ampie falcate verso la mia stanza. Guardo Darcy dormire, il telefono che cerca di contattare suo padre. Ho bisogno di parlargli.
Devo dirgli che lo amo. Finalmente l'ho capito.
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