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Perché ti sento lontana, lontana da me.

Philip

La porta dell'appartamento sbatte con un po' troppa veemenza. Il rumore sordo mi contorce il viso, ma non l'ho fatto apposta, mi è sfuggita. Guardo l'orologio al polso destro. Considerato l'orario, Luke dovrebbe essere al lavoro, mi pare che avesse il turno di sabato.

«Dov'eri finito?»

No, non ha il turno di sabato. Mio cugino si palesa davanti a me, a torso nudo, i capelli arruffati, una tazza di tè fumante in mano. Ha tutta l'aria di essersi appena svegliato.

«Ne fai uno anche a me?»

Luke mi scruta per un secondo, poi annuisce, senza parlare. Va in cucina e io lo seguo. Lo vedo accendere il bollitore e prendere due filtri di Earl Grey, per poi ficcarli dentro due tazze vuote. Mia madre direbbe che preparare il tè così è un abominio da non inglesi, ma non è certo il momento di mettersi a fare gli schizzinosi. Luke si sofferma su di me con gli occhi grigi.

«Latte?»

Faccio di no con la testa. Luke ne versa un altro goccio nella propria tazza, per poi tornare a guardarmi.

«È successo qualcosa? Hai dormito da Simone?»

Prima di parlare, conto fino a dieci. Non so bene come dirglielo. Forse mi conviene essere più schietto possibile.

«Sono andato a letto con Mia.»

Dirlo ad alta voce lo rende reale. Luke si dimentica dell'acqua nel bollitore.

«Che? Quando? Cioè, come è successo? E Simone?»

Tutte queste domande non ce la faccio a sostenerle. Mi alzo e vado a farmelo da solo il tè. Ci metto dentro i soliti due cucchiaini di zucchero e mescolo con lentezza. Resto zitto, come faccio sempre. Mi chiudo in uno dei miei soliti silenzi estenuanti che fanno innervosire chiunque mi circonda, ma non posso farci niente, sono fatto così. Poso il cucchiaino nel lavello e mi volto di nuovo verso Luke, la persona che, dopo lei, mi conosce di più al mondo.

«Ho litigato con Simone, ieri sera», comincio. «Ha parlato con Mia e ha scoperto della casa.»

«In che senso ha scoperto della casa?»

Alzo lo sguardo sul mio amico. «Non le avevo detto di aver comprato una casa.»

Luke inarca entrambe le sopracciglia. Io socchiudo gli occhi. «Sono un idiota, lo so.»

«Perché non glielo hai detto?»

«Non lo so, cercavo il momento giusto, pensavo che poi avrebbe voluto venire a vivere con me e...»

«E tu vuoi andarci a vivere con Mia e vostra figlia», conclude lui per me. Con pochissime parole, ha centrato il problema, prima che addirittura io stesso me ne rendessi conto.

«Maybe. Simone mi ha detto che non vuole stare con qualcuno che non la ama. Volevo tornare qui, ma poi senza pensarci troppo ho preso la strada verso Brixton. Mia era ancora sveglia e... Non so nemmeno io come è successo, Luke, so solo che abbiamo fatto l'amore. Poi stamattina si è presentato l'americano a casa.»

«L'americano?» mi interrompe Luke, a voce alta. «Non mi aspettavo questo colpo di scena.»

Sospiro. Mi sento esausto. Provo a bere un sorso di tè, ma è bollente.

«Sì, è venuto a casa. Mia l'ha mandato via, ma non gli ha detto niente di quello che era successo tra noi. Quindi mi sono incazzato, abbiamo litigato di nuovo, come ogni volta e io me ne sono andato.»

«Che storia avvincente.»

Decido di ignorare il sarcasmo. «Senza aver il coraggio di dirle quello che provo. Sono stato il solito codardo.»

Codardo. Se dovessi utilizzare un termine per descrivermi, probabilmente userei questo. Visto dall'esterno sembro così responsabile, tutto d'un pezzo, il bravo ragazzo che tutti i genitori vorrebbero accanto alle loro figlie. In realtà, appena la situazione si complica e non so più come gestirla, vado nel panico e faccio stronzate, come ho fatto troppe volte durante gli ultimi mesi.

La scoperta della gravidanza di Mia mi ha scombussolato. Sette mesi fa sono andato a letto con la mia ex ragazza sotto le influenze dell'alcol e della voglia di fare di nuovo sesso con lei, ma non prevedevo di certo di farci una bambina insieme. Diventare genitore non rientrava nei miei progetti. Una volta rimesso piede a Londra, la mia unica intenzione era quella di aiutare mio padre, costruirmi una carriera al King's College, ricominciare da capo in Inghilterra. Ironico il fatto che abbia incontrato Mia qualche settimana dopo il mio arrivo, quasi come se il fato avesse voluto farmi riprendere la mia vita esattamente da dove l'ho lasciata prima di scappare a New York. In ogni caso, non mi aspettavo un figlio, non volevo un figlio, non in questo modo, almeno. Tutto il mio mondo è cambiato e ho dovuto affrontare una situazione assurda che nessuno, in particolare la mia famiglia, è riuscita a comprendere, fatta eccezione per Joan. Forse nemmeno lei, dopo le parole che ci siamo scambiati ieri, sembra aver capito. O forse lo ha capito prima di me.

Inutile negare che non abbia pensato di tornare insieme a Mia, quando l'ho rivista. L'amavo tanto, quando me ne sono andato, ormai tre anni e mezzo fa, nonostante il terrore di non saper gestire una relazione a distanza mi abbia portato ad allontanarmi da lei e a chiudere quella storia così importante. Mi ero illuso che la frenesia di New York potesse distrarmi dal dolore di averla lasciata, ma non è andata così.

"Non ti perdonerò mai" ha detto, sottolineando quel mai, che è stato come una coltellata. Forse non ho mai smesso di amarla, ecco perché il suo odio mi fa così male. Mia può accettare di avermi come coinquilino, amico, padre di sua figlia, amante occasionale, ma non può perdonarmi e, manco a dirlo, amarmi ancora e tornare con me. E questo mi fa stare male, mi fa arrabbiare, mi fa fare cose senza senso. Come urlarle contro e aggredirla, come non aver detto nulla della casa a Simone, o forse, ancora peggio, iniziare una relazione con lei. La mia intenzione era solo che tutto sembrasse normale, che la mia vita potesse prendere una piega lineare. Ho creato solo danni.

Dopo aver fatto l'amore, Mia è sempre più bella, l'ho sempre pensato. In fondo, è sempre bella, anche quando è in pigiama, è appena sveglia, è stanca, dopo una giornata stancante di lavoro, perfino dopo la palestra. Non ho mai condiviso tutte le sue fissazioni sull'aspetto fisico, come il suo maledetto complesso d'inferiorità nei confronti di Lola, o quei difetti che non ho mai notato. Ho pensato che fosse bella la prima volta che l'ho vista, quasi sette anni fa, quando l'ho trovata nel letto nella mia vecchia casa da studente e ci ho litigato di brutto, e non ho mai smesso di pensarlo. Nonostante cerchi di negarlo a me stesso, Mia mi è mancata, in quegli anni e in questi mesi di convivenza sotto lo stesso tetto, mi è mancato il suo corpo, mi sono mancati i suoi baci, la sua voce, i suoi grandi occhi chiari, il suo sorriso. Eppure, ho rovinato tutto. Come sempre.

«Perché devi sempre fare tutti questi casini?»

Luke sa sempre come tirarmi su di morale, non c'è che dire. Bevo il tè ormai tiepido e mi siedo di nuovo. Appoggio la testa sul tavolo.

«Che cosa vi siete detti?» domanda mio cugino.

«Abbiamo parlato di tre anni fa.»

«Era ora.»

«Mi ha chiesto perché non ho voluto che venisse con me.»

«E tu che le hai risposto?»

«Che non volevo che cambiasse di nuovo tutta la sua vita a causa mia. Lei però ha capito che pensavo che non avrebbe trovato un lavoro decente a New York e ha detto tipo "non volevi portarti dietro una che al massimo può lavorare da Starbucks".»

Luke arriccia il naso. «Ahia.»

«Eh.»

«Ma lo ha capito lei o gliel'hai fatto intendere tu?»

Beccato. «Potrei aver detto che era "senza qualifiche"», confesso, una fitta di vergogna che mi perfora lo stomaco. Come diavolo mi è venuto in mente di dire una cosa del genere? La pensassi, poi. Sbircio il volto di Luke. La sua espressione è un miscuglio tra l'avvilito e lo schifato.

«Sei proprio un coglione», mi insulta, lapidario, e io non trovo argomenti con cui controbattere. Mi stropiccio gli occhi doloranti.

«Lo so. Il succo è che mi ha detto che non mi perdonerà mai per averla lasciata tre anni fa.»

«Immaginavo.»

«Quindi le ho detto che se non mi perdonerà mai non ha senso parlare di nulla.»

«Sempre molto diplomatico, tu.»

«E me ne sono andato.»

A Luke cadono le braccia, nel vero senso del termine. Le aveva sui fianchi e le ha lasciate andare verso il basso. «Come te ne sei andato?»

«Sì.»

«Così, senza nemmeno provare a farle cambiare idea?»

«Perché avrei dovuto? Mi è sembrata abbastanza sicura della sua opinione.»

Luke scuote la testa. Si alza e butta quel tè che ha a malapena assaggiato. Secondo me c'ha messo troppo latte.

«Però tra tutti e due vi ci mettete d'impegno a fare i cretini!» esclama, a voce molto più alta. Sembra davvero arrabbiato ed è strano, perché non si arrabbia mai. «Perché non hai insistito?»

«Insistito a fare cosa?»

«A dirle che la ami! Che vuoi stare con lei, che vuoi che ti perdoni. Perché è questo ciò che provi e che vuoi, no?»

Silenzio. Mi passo una mano sul viso stanco. Che sia giunto il momento della verità?

«Credo», mormoro, ma per Luke non è sufficiente.

«Credi?»

«Non lo so, io... Non so se quello che avevamo è recuperabile, Luke.»

«Aspettate un figlio.»

«E da quando aspettare un figlio è garanzia di amore e felicità finché morte non ci separi?»

Non trova una risposta adeguata. Sta zitto per qualche secondo, poi mi guarda ancora.

«Come è stato, Phil?»

Ho cercato di non pensarci fino a questo momento, ma adesso è inevitabile. Alzo la testa e incrocio gli occhi grigi di mio cugino.

«Hai presente quando trattieni il respiro sott'acqua? Quando vorresti solo tirare fuori la testa e respirare, ma non lo fai perché vuoi vedere quando resisti? Poi non ce la fai più, torni in superficie e finalmente respiri, l'aria ti entra nei polmoni e ti senti bene? È stato così. È come se avessi trattenuto il respiro per giorni, mesi, anni, negando a me stesso la sola idea di poter di nuovo baciare, toccare, fare l'amore con Mia, ma poi non ce l'ho fatta più e ho ceduto, sono tornato a respirare. È stato così.»

Vedo il mio amico trattenere un sorriso. Mi stringe il braccio. Sta per dire qualcosa, ma io non so se voglio ascoltarlo.

«Posso rimanere un'altra settimana qui?» lo anticipo. «Domani inizio il trasloco a casa nuova.»

Luke socchiude gli occhi. «Domani?»

Annuisco. «Ho temporeggiato troppo, aspettando chissà cosa.»

«Philip...»

«Ormai mi sono abituato al divano.» Sorrido, anche se capisco subito che mi sto sforzando. Luke ha capito il mio gioco, ma non aggiunge nulla.

«Perché non compri una casa decente anche tu?» parlo ancora, lieto di aver cambiato discorso. «Non stai stretto in questo bilocale?»

Il mio amico arriccia il volto in una smorfia. So che è molto affezionato a questa casa, nell'elegante quartiere di Paddington. Apparteneva ai suoi nonni paterni, ci vive dal primo anno di università, ma è piccola, ne è consapevole anche lui. Un soggiorno minuscolo, una stanza, una cucina, un bagno. Molto vicina al centro, per carità, ma a trentaquattro anni forse dovrebbe trovarsi un posto più grande e più comodo.

«Quando troverò la donna della mia vita... O quando faccio un figlio random, come te.»

Gli do una gomitata e sorrido per la prima volta da troppe ore.

«E Lola?»

Il volto di Luke è forzatamente inespressivo, quasi come si stesse impegnando a non mostrare alcuna emozione all'udire quel nome. «Lola cosa?»

«Dopo quel salvataggio romantico di ieri...»

Non ribatte alla mia ironia e rimane in silenzio per qualche secondo. Io attendo che parli.

«Lola, niente», dice infatti, dopo qualche secondo. «A parte il fatto che forse la amo.»

Le mie sopracciglia si inarcano. Non me lo aspettavo. «La ami?»

«Forse.»

Vorrei ridere, ma mi trattengo. Il volto di Luke sembra quasi rassegnato.

«Ti conosco da una vita e non mi hai mai detto di amare qualcuno», osservo. Un sentimento di tenerezza sfiora il mio stomaco.

«Lo so.»

«E non hai intenzione di fare nulla?»

«Ci sto lavorando, dammi tempo.» Luke si volta a guardarmi. «E poi senti chi parla.»

Touché. Alzo le mani dichiarando tregua. Guardo di nuovo l'orario.

«Io vado, devo passare in ospedale.» Mi alzo in piedi, anche se non ne ho alcuna voglia. Simone è di turno. In momenti come questi, mi piacerebbe essere un fumatore, una sigaretta potrebbe aiutarmi a gestire lo stress.

«Io ho il turno di notte, quindi penso di rimettermi a letto.»

Lo invidio. Faccio per andarmene, quando Luke parla ancora.

«Phil?»

Prima che la porta si chiuda, mi volto.

«Devo tagliarmi questi baffi?» chiede, un'espressione seria sulla faccia che gli ho visto poche volte nella vita. Accenno un sorriso.

«A Lola non piacciono, eh?»

Beccato. Luke annuisce con mestizia.

«Allora, direi di sì. A dopo, amico.»

Mentre scendo le scale, mi accarezzo la barba. Forse è troppo lunga, forsedovrei tagliarla, come hanno detto mia madre e Joan, come ha detto Mia. Forsedovrei smettere di dare così tanta importanza all'opinione di Mia. La mia vitasarebbe molto più facile.

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