Non si può ripetere il passato.
You can't repeat the past.
Can't repeat the past?
Why? Of course you can!
Francis Scott Fitzgerald - The Great Gastby
Philip non mi ha risposto. Le prime tre volte ha squillato a vuoto, poi era irraggiungibile. Ho trascorso la notte con un occhio aperto e uno chiuso, a sfamare Darcy, a cullarla, a cercare di farla addormentare, a pensare che diavolo di maledetta fine ha fatto suo padre. Ho pensato le cose peggiori. Che abbia avuto un incidente, che si sia fatto male, che sia caduto dentro il Tamigi, che abbia sbattuto la testa. Poi ho pensato che molto probabilmente è crollato a dormire, anche lui non dormiva in modo decente da troppo tempo. Certo, uno squillo poteva farmelo, anche stamattina. Sono le otto e mezza ed è impossibile che stia ancora dormendo. Non so se provare di nuovo a chiamarlo, non vorrei sembrare patetica. Non riesco a capire la ragione per la quale non ha risposto, insomma, poteva essere successa qualsiasi cosa, non tanto a me, quanto a nostra figlia. Proprio mentre prendo il telefono, giunge un suo messaggio.
"Sto arrivando".
Alla buon'ora. È così che lo accolgo, quando ha la decenza di presentarsi a casa mia. Sono sola con Darcy: Lola è andata a lavorare, Alex a prendere la colazione. La casa è un disastro, ma non ho avuto tempo e nemmeno le forze per sistemare.
«Buongiorno.»
Non mi guarda. Mi supera senza attendere di essere invitato a entrare, ma dopotutto per molti mesi questa è stata casa sua. Il suo distacco mi scombussola.
«Ehi, piccolo amore mio, buongiorno.» Prende in braccio Darcy, con dei gesti lenti e delicati, quasi come fosse fatta di porcellana. La bambina è sveglia e si lamenta per qualche secondo, per poi adattarsi all'abbraccio del padre.
«Fai piano», non riesco a non dire, ma me ne pento subito, quando mi accorgo del suo sguardo torvo.
«So tenere un neonato in braccio.» La sua risposta mi tace. Mordo l'interno guancia con forza.
«Dov'eri finito? Ho provato a chiamarti per ore.»
Philip torna a guardare nostra figlia, che sonnecchia tra le sue braccia. Attende troppo prima di darmi una risposta.
«Ero occupato.»
«A fare che?»
«Che dovevi dirmi?»
Perché non mi guarda negli occhi? Perché non mi risponde e cambia discorso? Stringo le braccia contro il corpo. Il piccolo specchio in soggiorno, accanto alla porta d'ingresso, mi rimanda un'immagine davvero poco attraente. Ho i capelli puliti, lavati ieri dopo una meritata doccia, ma sono senza piega, piatti e appiccicati alla cute, le punte arruffate in una larga coda reduce dalla nottata. Non ho un filo di trucco e il gonfiore delle occhiaie si sposa benissimo con il rossore degli occhi stanchi. Ho avuto la decenza, almeno, di togliere il pigiama e infilarmi un paio di pantaloni e un maglione caldo. Il tutto color crema, per cui sembro uno scone, uno di quegli anonimi dolci che vengono serviti all'ora del tè. Ma dopotutto, come dicono i medici, sono una puerpera, non posso pretendere di apparire come una femme fatale, in particolare agli occhi di Philip. Lui mi ha visto in ogni modo, in ogni situazione possibile. Bella, brutta, stanca, brilla, ammalata, al massimo e al minimo delle mie possibilità. Non dovrebbe interessarmi.
Mi passo una mano sugli occhi, lucidi dalla stanchezza. Anche lui sembra stanco. I suoi jeans sono stati messi un po' troppe volte, il maglione è lo stesso che indossava ieri. Non si è messo le lenti a contatto, porta gli occhiali. Lo trovo bello. Lo trovo sempre bello.
«Dovevo dirti una cosa,» mi decido a rispondere, «una cosa importante.»
Lo è ancora importante? Alzo le pupille e guardo Philip e Darcy insieme. Oh, sì che è importante. Spetta a me fare a pezzi questo muro tra di noi che sembra invalicabile. Sono io quella che deve ingoiare il boccone amaro e l'orgoglio, perché lui non lo farà mai. Non è colpa sua, semplicemente non è capace, non lo è mai stato. E io sono così stanca di fare l'orgogliosa.
«Ieri è venuto Matt», esordisco, cercando i suoi occhi. Finora sono rimasti fissi su nostra figlia. Si alzano verso di me. Non riesco a decifrare la sua espressione, ma non mi importa.
«Dopo che te ne sei andato. Ha saputo di Darcy e voleva farmi le congratulazioni.»
Prendo un po' d'aria. La distanza tra noi non è mutata, siamo circa a due metri, lui accanto alla culla che ho portato in soggiorno per avere la piccola sott'occhio, io ancora vicino allo specchio. Mando giù la saliva, ma la gola è secca. Philip rimette Darcy nella culla, è inutile tenerla in braccio quando dorme.
«Te le ha fatte?» Il suo tono è freddo, ma non potevo pretendere altrimenti.
«Sì», ribatto. «Abbiamo chiarito, mi sono scusata per come mi sono comportata con lui. E poi...»
Faccio una pausa. Non mi sta guardando. Le ragioni del suo comportamento mi sono ancora ignote, eppure non demordo.
«Prima di andarsene mi ha baciata.»
L'ho detto con voce quasi tremante e non è davvero una cosa da me. Mi aspetto una reazione, almeno un'occhiata, ma non arriva niente. Philip continua a guardare Darcy, le mani che stringono la culla. Non capisco.
«Phil?» lo chiamo. Voglio che mi guardi. Quando lo fa, i suoi occhi sono gelidi.
«Ti ha baciata?» Il tono che usa, se possibile, lo è ancora di più. Sento un fremito nella gola, un singhiozzo che si è tramutato in dolore fisico che cerco di inghiottire e mandare via. Annuisco.
«Ma non è questo il punto», dico e noto, con orrore, un sorriso sardonico sulle labbra di Philip.
«E qual è, allora?»
Questa distanza non mi piace più. Faccio un passo in avanti e mi trovo a pochi centimetri dal suo viso. Il suo odore raggiunge le mie narici. «Mi sono tirata indietro, Phil. Mi sono spostata. Quando Matt mi ha baciata, ho ripensato al bacio che ci siamo scambiati e ho capito.»
«Che cosa hai capito?» La sua voce è ancora fredda, ma è più bassa. È un sussurro che si perde sulle mie labbra.
«Che voglio te. Che voglio noi e basta. Non ce la faccio più a stare lontana da te, io voglio...» Ho bisogno di prendere aria, non ce l'ho più. Respiro e lo guardo ancora più in profondità. «Voglio stare con te. Philip, io ti...»
Non riesco a dirlo. Non riesco a pronunciare quel verbo così importante, quella parola che anni fa lui disse per primo e io ci misi troppo a rispondere. Sento lo stupore nei miei occhi, quando le dita di Philip si posano sulle mie labbra.
«Ti sei spostata?» domanda, come per chiedere conferma. Non lo dice con scherno o sarcasmo. Sembra quasi... rimpianto? Sbatto le palpebre più di una volta.
«Sì.» La mia voce è un soffio roco. Credimi, Philip. Per favore, credimi.
«A me non sembrava.»
Ci metto un attimo a registrare l'informazione. In che senso a lui non sembrava?
«Come hai detto?»
Ti prego, fa che abbia capito male. Fa che abbia totalmente frainteso ciò che ha detto. Philip resta immobile, la mano che si è spostata sul mio mento.
«Ti ho vista, vi ho visti. Vi stavate baciando sull'uscio della porta.»
Invece ho capito benissimo. La notizia mi lascia di stucco. Mi sconvolge. Sono a pezzi. Perché io lo conosco Philip. Non ci ha solo visto. C'è altro.
«Come hai fatto a vederci?»
«Sono tornato indietro. Volevo parlare con te, volevo... Stare con te. Ma ti ho vista insieme a lui.»
«Per questo non hai risposto alle mie telefonate?»
Non c'è bisogno nemmeno che risponda adesso. Mi allontano, ho bisogno di tornare nella mia zona di comfort, lontano da lui. Mi accorgo di tremare. Guardo Darcy e il suo viso minuscolo mi rassicura. Le metto una mano accanto al naso e il suo respiro quasi impercettibile mi sfiora il dito. Credo di controllare almeno ogni mezz'ora che respiri, mentre dorme. Probabilmente smetterò quando compirà diciotto anni.
«Phil, dannazione, perché fai sempre così?» sbotto, all'improvviso. Philip non ha messo un attimo di guardarmi.
«Così come?»
«Arrivi sempre alle conclusioni affrettate e sbagliate.»
«Ti ho visto che lo baciavi, Mia! Cosa avrei dovuto pensare?»
«Niente, non dovevi pensare niente! Dovevi solo rispondere al telefono, invece di ignorarmi!»
Sto zitta. Ho alzato troppo la voce, c'è una bambina di nemmeno tre giorni che dorme. Mi asciugo il viso, mi sono messa a piangere. Sono così stanca, maledizione, sono così stanca di tutto. La sua voce mi giunge lontana.
«Quando vi ho visti insieme ho pensato che...» Philip si interrompe, stavolta sono i suoi occhi a cercare i miei, ma non li trova.
«Che ci fossimo rimessi insieme.» Non è una domanda, è un'affermazione. Mi viene da vomitare.
«E quindi che cosa hai fatto? Non mi hai risposto e sei andato a dormire?»
Gliel'ho chiesto apposta. C'è qualcosa che non mi torna. Ho una terribile sensazione che mi attanaglia le viscere. Philip mi guarda. Voglio che mi dica la verità. Me ne accorgo se mi dice una bugia, io lo conosco. Prende aria. Le sue mani, ferme sui fianchi, tremano.
«Quando ho visto quella scena ho rimesso in moto e me ne sono andato», tira fuori, con estremo sforzo. «Poi mi è squillato il telefono... Ma non eri tu. Le tue telefonate le ho viste a notte fonda.»
«E chi era?» sussurro, ma ho paura di sentire la risposta. Perché già la so. Philip non mi sta guardando più.
«Era Simone. È venuta a casa mia.»
Mi fischiano le orecchie. Ho bisogno di sedermi, altrimenti rischio di svenire. Non ricordo di aver mangiato, stamattina, forse ho saltato la colazione. Forse anziché mangiare, dovrei vomitare. Mi tremano le gambe, mi batte forte il cuore. Senza che il cervello dia loro alcun impulso, le mie gambe si dirigono verso il divano. Mi siedo e la mia testa va verso il basso, tra le ginocchia. Respiro a fondo, ma l'aria sembra non bastarmi, come se i polmoni fossero diventati più piccoli. La voce di Philip arriva alle mie orecchie.
«Mia...»
Si sta avvicinando, sento i suoi passi pesanti. Le sue gambe entrano nella mia visuale, ma io chiudo gli occhi con forza. Non voglio piangere. Voglio tornare indietro nel tempo. Voglio tornare a un'ora fa, anzi no, a ieri, a quando Matt era qui. A quel momento in cui ho preso consapevolezza. A quando ho capito di essere follemente innamorata di Philip e di volerlo tutto per me. Di volere noi due, noi tre, la nostra famiglia. Di voler dimenticare il passato, di voler far pace, di volerlo perdonare, di infischiarmene di tutto quello che è successo. Quel momento in cui mi sono lasciata andare, dopo mesi passati a trattenere il mio amore. L'ho recluso in un angolo remoto del cuore, a chiave, con forza, decisa a non farlo uscire fuori, perché non mi fidavo di Philip, non più. L'ho anche detto a mio fratello e alla mia migliore amica, che io di lui non mi potevo fidare. Invece ho deciso di farlo, di lasciarmi andare, ho provato a darci una possibilità. Ma noi non possiamo avere possibilità. Noi ci facciamo del male e basta.
«Quando ho visto Matt che ti baciava, io...»
Ha iniziato a parlare, ma io non alzo la testa. Non lo guardo e vorrei anche non sentirlo.
«Ero così arrabbiato, pensavo che voi due...» Si blocca, mentre cerca delle patetiche giustificazioni. «Poi Simone mi ha telefonato e io ti giuro, non avevo previsto che accadesse...»
«Ah, quindi non avevi previsto di scopartela?» Il tono che uso è glaciale. Ho alzato il volto e lo fisso. Quello di Philip è bianco, sembra quasi malato.
«Lei era lì, e io...»
«Lei è sempre lì.»
Ed è vero. Lei non se n'è mai andata, anche dopo che abbiamo fatto l'amore l'ultima volta, nonostante avessero litigato. Lei c'è stata sempre, l'ho sempre saputo, me la ricordo durante l'ultima visita dalla dottoressa Wickham. Non l'ha mai lasciato andare e ieri sera ha sferrato l'ultimo colpo.
«Pensavo che ti fossi rimessa con Matt, d'accordo?» alza la voce Philip, all'improvviso arrabbiato.
«Come potevi pensare una cosa simile?» Faccio lo stesso, ma la mia rabbia è dolorosa.
«Vi stavate baciando!»
«Potevi rispondere al telefono! Volevo dirti che ti amavo, Philip e tu ti stavi scopando Simone!»
Non le riesco a fermare le lacrime. Mi fanno male gli occhi, mi fa male ogni parte del corpo. I singhiozzi cominciano a scuotermi e io non ho le forze per bloccarli. Mi stringo le ginocchia, mentre piango, senza riuscire a smettere. Vorrei levarmi di dosso le braccia di Philip, ma non riesco a fare nemmeno questo.
«Mia, non ha significato niente. Te lo giuro, non ha significato niente.»
Mi parla all'orecchio, mentre mi stringe e io non posso togliermelo di dosso, perché non ce la faccio.
«Scusami. Perdonami, ti prego. Dammi un'opportunità, non aspettavo altro...»
«Non aspettavi altro? Ed è questo il modo di dimostrarmelo?» La mia voce è acuta, tanto che mi fa male. Gli occhi di Philip sono lucidi, credo stia piangendo anche lui.
«Tu non mi volevi, Mia. Sei stata molto chiara, vuoi negarlo?»
No, non posso negarlo, questo è vero. Ma questo era all'inizio, adesso è diverso, adesso... Adesso fa male.
«Pensavo che non ne valesse la pena,» continua lui, «che sarebbe stato tutto inutile. Mi sono messo con Simone per dimenticarti, per andare avanti.»
«Quindi non sei stato un pezzo di merda solo con me, ma anche con lei. Complimenti, Philip, davvero...» Il mio sarcasmo tocca anche me. Mi stringe ancora di più.
«Mia, per favore...»
Scrollo le spalle, per togliermelo di dosso. Non voglio più sentire la sua pelle sulla mia. Mi alzo di scatto e mi asciugo gli occhi. Adesso basta.
«Forse è il caso che tu vada.»
Voglio che se ne vada. Adesso, ora. Voglio che si allontani da me e da mia figlia, perché non lo voglio qui, attorno a me. Non voglio sentire più la sua voce.
«Mia, per favore...»
Philip si alza e si avvicina di nuovo a me. Non l'ho mai visto così devastato. Sta soffrendo. Sta male, è pentito, vuole che io lo perdoni. Forse vuole davvero stare con me. Forse mi ama veramente. Ma ormai è troppo tardi. Ho già detto basta. Sono tornata indietro. Ho resettato tutto, rewind, è di nuovo ieri pomeriggio, prima che Matt arrivasse. L'ho rimesso in un cassetto, in fondo al cuore. Quell'amore non c'è più.
«Vattene, per favore, ho bisogno di stare sola.»
«C'è mia figlia, qui, io non vado da nessuna parte.»
«Maledizione, Philip, hai capito che non ti voglio vedere?»
L'ho urlato. La mia mano finisce sulla mia bocca, i miei occhi verso la culla. Darcy non si è mossa di un millimetro. Mi rilasso. Respiro con calma e cerco di calmarmi.
«Tanto tu non ti fidi di me, no?»
Non mi aspettavo le parole di Philip. Mi blocco. Mi volto a rallentatore e punto gli occhi sulla sua faccia. Adesso è di nuovo arrabbiato.
«Scusami?»
«Lo hai detto a tuo fratello e a Lola. Non mi hai mai perdonato, non ti fidi di me e hai addirittura paura che me ne vada di nuovo e che ti lasci sola con Darcy! Di cosa stiamo parlando?»
Oh mio Dio.
«Mi hai spiato in ospedale?»
Philip solleva le spalle. «Non siete famosi per parlare a bassa voce.»
Inghiotto a vuoto. Ci guardiamo negli occhi per dei secondi che sembrano infiniti.
«Bene, mi hai dato conferma di quello che pensavo: tu mi deludi sempre, non posso fidarmi di te. Mi hai baciata tre giorni fa», concludo.
«Lo so.»
Non ho più altro da dire. Ho bisogno di stendermi. Mi massaggio le tempie, mi sta scoppiando il cervello. Senza accorgermene, me lo ritrovo di nuovo davanti.
«Mia...» ci riprova, e sento di nuovo le sue mani sulle braccia.
«Io ti amo.»
Strano organo, il cervello. Senza il benché minimo senso, mi viene in mente quella scena della seconda stagione di Gossip Girl, quando Blair dice a Chuck "Tre parole, sette lettere, dille e sarò tua". Mi viene da ridere. Non mi interessa delle parole, non ne ho bisogno. Quelle sette lettere per me sono vuote.
«Non me ne frega un cazzo.»
L'ho detto in italiano, ma Philip mi ha capito. Le sue pupille si dilatano e la sua mascella si irrigidisce. Il suo pomo d'Adamo trema, ma non dice una parola. Abbandona le mie braccia. Si avvicina alla culla e guarda al suo interno. Con tutto l'amore del mondo.
«Dobbiamo organizzarci,» afferma, senza alzare il volto, «con Darcy. Adesso deve stare con te perché devi allattarla, io posso venire...» Si ferma, non mi guarda ancora. «Non lo so, quando non la devi allattare.»
Mi metto le mani in tasca. Stanno tremando di nuovo e non voglio che lo facciano. Stringo la stoffa con forza.
«Tutto come prima, quindi», commento, il tono più piatto che riesco a mantenere. Philip annuisce.
«Sì, ma credo che meno ci vediamo...»
«Meglio è», concludo per lui. Adesso mi tremano anche le labbra. Tremo e basta. Voglio di nuovo mettermi a piangere, ma resisto.
«Già.» Philip si allontana dalla culla, come se avesse fretta. Fretta di andarsene. Mette la mano sulla maniglia della porta e la apre. «Ti scrivo dopo, per capire quando venire per stare un po' con Darcy.»
«Ok.»
Non mi ha più guardato, da quando ho pronunciato quelle parole. Se ne va via, senza dire altro. Cosa volevo che dicesse, dopotutto. Mi avvicino a Darcy e mi sento vuota. Non ho niente dentro. Sento freddo. Sta dormendo, non si è accorta di niente. La invidio molto. Prima che possa lasciare le lacrime andare, mi squilla il telefono.
«Mia?»
È la Lady Boss, proprio adesso.
«Buongiorno, Signora Smith.»
Mi chiede come sto. Mi fa gli auguri, si fa promettere una foto della bambina, vuole sapere se può fare qualcosa, cerca di darmi consigli da mamma. Non so se provenga tutto da lei o se c'è lo zampino della moglie, ma lo apprezzo molto.
«Grazie, Jane», mi sfugge, ma non importa, so che non le dà fastidio, non in questo momento.
«Mia, ho una buona notizia per te.» La sento sorridere dall'altro capo del telefono, ma le mie antenne si rizzano all'istante.
«Che notizia?»
La Signora Smith fa una piccola pausa. «Voglio che diventi la nostra nuova Event Planner. A partire dal giorno in cui tornerai dalla tua maternità.»
Non voglio mettermi a piangere, ma è molto difficile trattenere le lacrime. Le sento pungere agli angoli degli occhi.
«Mia, sei morta?» sbotta la Lady Boss, qualche secondo dopo. Ah, Signora Smith, quanto mi mancherà in questi tre mesi.
«Sono viva», ribatto, provando a tenere ferma la voce.
«Allora? Qual è la tua risposta?»
«Accetto volentieri. Non poteva darmi notizia migliore. Farò del mio meglio per non deluderla, Signora Smith.»
La sento ridere appena. «Oh, lo so che non mi deluderai, Mia. Altrimenti non ti avrei scelto.»
Quando riattacco il telefono potrei mettermi a piangere. Avrei tutte le ragioni per farlo. Non lo faccio. Non voglio più piangere per Philip, non voglio più piangere per nulla, mi sono stufata. Dovrei piangere per la felicità. Ho appena avuto una bambina bellissima e ho ottenuto la promozione che agognavo. Sarò la Event Planner della Smigth Communication, organizzerò qualsiasi tipo di evento, matrimonio, festa, meeting dell'agenzia. Avrò più responsabilità, uno stipendio molto più alto, avrò soddisfazioni lavorative che non provo da troppo tempo. E non fa niente se non avrò più Philip, perché non l'ho mai avuto. È andato tutto esattamente come sarebbe dovuto andare dall'inizio.
E va benissimo così.
Il dolore, quello, prima o poi passerà.
E se non passerà, farò finta che l'abbia fatto.
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