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My girl, my girl, don't lie to me.

Vorrei dedicarmi con attenzione e caparbietà al controllo del preventivo del catering, ma le parole di quella che dovrebbe essere la mia migliore amica mi rimbombano nel cervello. Come può pensare quelle cose? Ha vissuto gli ultimi mesi insieme a me, insieme a noi, ha visto cos'è successo, dove siamo arrivati, le cose che ci siamo detti, che ci siamo urlati. Io non ho una relazione tossica con Philip, anzi, direi proprio che io non ho alcuna relazione con Philip. Siamo così poco funzionali insieme che tremo al solo pensiero di cosa succederà quando nascerà il bambino. Ripenso a quando gli ho detto che avrei voluto che non fosse suo. Sono stata cattiva, ma non riesco a levarmi dalla testa il fatto che forse sarebbe stato molto meglio. Meno problemi, meno urla, meno sofferenza.

Se Philip non fosse presente, forse sarei più felice, o meglio, forse potrei provare a esserlo, ad avvicinarmi alla felicità. Non ci sarebbe lui a farmi male, a cercare di controllare la mia vita. Allo stesso tempo, però, penso che sarà un padre perfetto, che mio figlio non potrebbe desiderare di meglio, perché è così premuroso, dolce, presente, bravo, è pure ricco e si sa che i soldi fanno sempre comodo nella vita. Forse devo sacrificare la mia felicità per quella di mio figlio, è questo che vuol dire diventare madre. Ci penserò a tempo debito. Mancano ancora tre mesi e ne sono contenta. Non sono ancora pronta, né per diventare mamma, né per avere di nuovo Philip nella mia vita, dopo quello che mi ha detto.

Trascorro il pomeriggio a catalogare i gadget e a parlare al telefono coi fornitori. Alle otto e mezza, Matt mi riporta a casa e non riesco a dire sì al suo invito a cena. Nonostante passare dell'ulteriore tempo con lui potrebbe aiutare a distrarmi, ho bisogno di un po' di riposo. Ho tantissime serie TV da recuperare, ho perso il conto, ma forse mi riguardo "Harry Potter e i doni della morte parte 2" e mi deprimo davanti a una vaschetta di gelato.

Mentre apro la porta mi accorgo di essere in ansia. Sono certa che Philip non ci sia, ma non posso dire la stessa cosa di Lola. Si tratta di casa sua, non credo che se ne sia andata a dormire da Steve solo per non incontrarmi. O forse sì. Oddio, sto cacciando di casa tutti i miei coinquilini! Sto litigando con tutti, finirò per litigare anche con Taylor e Jake e resterò sola come un cane? Non voglio restare sola!

L'appartamento mi rimanda vuoto e solitudine. Lola non c'è, non credo sia nemmeno rientrata. Pericolo scampato. Mi manca già la mia amica. Anche se ha proprio esagerato, oggi a pranzo. Sul serio, non riesco a capire quale similitudine veda tra la sua storia con Steve e quello che è successo e continua a succedere tra me e Philip. È vero, abbiamo fatto sesso due settimane dopo che ci siamo rivisti, ma a chi non è mai capitato di andare a letto con il proprio ex? Andiamo, chi non l'ha mai fatto scagli la prima pietra. Succede, si sa, è così, prima o poi accade di finire a rigirarsi tra le lenzuola con la persona che hai amato. Io sono una persona banale, come potevo non farlo? Poi abbiamo avuto la sfiga, o forse la fortuna, di rimanere "incinti" e basta, finisce qui, le litigate fanno parte del pacchetto, dopotutto siamo ex fidanzati.

Questa storia della casa comprata per me, poi, è assurda. Sono stata molto chiara sul fatto che non andrò a vivere con lui, né ora, né mai. La stanza in più è soltanto una camera per gli ospiti che io potrò usare all'occorrenza quando serve, soprattutto durante i primi mesi di vita del bambino, per praticità e precauzione. Inoltre, ora non ci parliamo, dunque non userò mai questa benedetta stanza. Semplice.

Il campanello suona che sono appena uscita dal bagno. Per un lunghissimo secondo penso che sia Lola, ma poi mi ricordo che ha le chiavi. Non è che è di nuovo Claire Turner? Non so se potrei reggerlo.

«Jesus Christ, la promozione non ti dona affatto.»

Riconoscerei ovunque quel tono di voce e quell'accento così middle class. Con uno sforzo immane, non chiudo la porta e lascio entrare Luke, con il suo volto tranquillo e rilassato. Lo guardo bene e noto qualcosa di diverso.

«Che ti sta crescendo in faccia?»

La sua mano destra va in automatico sopra le sue labbra, sulla cui parte superiore sta crescendo una mostruosa peluria rossiccia.

«Luke, tagliati quei baffi, fai schifo.»

Ma quando se li è fatti crescere? Non lo vedo da troppo tempo. Mi fulmina con gli occhi grigi.

«Ehi! I baffi sono eleganti e virili!»

«Certo, nel diciannovesimo secolo.»

«Non capisci niente. Si avvicina novembre e come ogni anno mi faccio crescere i baffi per sostegno alla ricerca contro il tumore alla prostata.»

Ah. Questa mi mancava. A Luke, invece, non sfugge la mia espressione.

«Sei ignorante, ma ti perdono.»

Pure. Si mette a ridere, mettendo ancora più in evidenza i baffi nuovi di zecca. Per quanto mi faccia innervosire, la sua presenza qui mi tranquillizza. Luke mi sa di famiglia. È rassicurante, in un certo senso.

«Cosa vuoi?» chiedo, un po' scorbutica. Mica posso fargli capire che lo trovo familiare. Lui rotea gli occhi.

«Sapere come stavi.»

«Perché ti interessa?»

«Perché non ti vedo da un po' e verrei meno al giuramento di Ippocrate se non mi preoccupassi dell'andamento della tua gravidanza.»

Certo, come no. Incrocio le braccia. «Quindi non stavi cercando Lola?»

La risata più falsa della storia si apre sulle sue labbra. «Cosa? No!»

«E non sei nemmeno in missione per conto di Philip?»

«Hai dei seri problemi di fiducia, Mia, fattelo dire.»

Forse ha ragione, ma non è questo il punto. Ci guardiamo per qualche secondo, poi decido di sotterrare l'ascia di guerra. Gli prendo una birra, senza che me la chieda, e verso per me un bicchiere d'acqua.

«Sto bene, grazie dell'interessamento.»

«Sei sicura?

Lo sguardo del mio medico di fiducia è preoccupato, ma non capisco perché. «Luke, ti ho detto che sto bene.»

«Ti vedo stanca», continua, e fa un passo avanti verso di me. Io mi sento vulnerabile e sotto processo.

«Ho lavorato tutto il giorno, è normale che lo sia.»

«Tutto il giorno?»

«Come ben sai, ho avuto la promozione, mi occupo io dell'evento dell'agenzia e puoi immaginare quante cose ho da fare.»

«E nel dettaglio che significa?»

Ma cos'è, un interrogatorio? «Luke, che cosa vuoi? Qual è il problema?»

Ho alzato il tono della voce, in proporzione al nervosismo che sento aumentare. Non ho bisogno che il dottor Hamilton mi faccia la morale. Sono stufa di farmi fare la morale.

«Il problema è che sei al terzo trimestre, Mia.» Mi guarda dritto negli occhi e mi sento in soggezione. Mi sta rimproverando e io odio essere rimproverata. «Devi darti una calmata. Non puoi correre avanti e indietro, sollevare pesi, lavorare dodici ore e dormire poco. Qualcosa mi dice che a volte salti anche i pasti.»

Ma magari saltassi i pasti, mangio come un bue. «Chi te l'ha detto che faccio queste cose? Lola?»

«Allora è vero che le fai.»

Maledizione, mi ha fregato. Sbuffo. Luke sta zitto e rimane a guardarmi. I suoi occhi familiari mi scrutano, seri, e di nuovo preoccupati. Io sono sfinita. Dormirei per dieci ore. Mi sento in colpa, come quando mia madre mi beccava a mangiare i biscotti di nascosto.

«Non posso lasciare il lavoro, sai quanto mi serve», mormoro. Le labbra di Luke si curvano in un sorriso.

«Lo so, ma non puoi nemmeno stancarti così tanto. Sei incinta, non puoi far finta di niente.»

Ma va.

«Grazie per ricordarmelo, lo stavo per dimenticare.»

«Mia, il sarcasmo non ci aiuterà in questo momento.»

«Questo lavoro è importante per me, avere uno stipendio è fondamentale. Tra due mesi e mezzo diventerò una ragazza madre.»

«Non diventerai una ragazza madre, hai Philip accanto che ti aiuterà.»

Questo non doveva dirlo. La sento salire dallo stomaco, la rabbia, la sento arrivare dritta nel mio cervello e uscire fuori dalla mia bocca.

«Ah, quindi dato che ho Philip che finanzia, chi se ne frega di avere una carriera e di crescere professionalmente, no? Anzi, sai che ti dico? Ora chiamo la Smith e mi licenzio, tanto ho Philip!»

Forse ho esagerato. Tiro fuori l'aria e mi maledico. Perché devo scattare sempre così quando si tratta di questa storia, perché? Vorrei tanto vivermela in pace e tranquillità. Luke mi guarda con attenzione.

«Mia, non volevo dire questo, non ti agitare», dice, dopo troppi secondi.

«E allora che volevi dire?»

Non risponde. Respiro con calma, mentre tanti, troppi pensieri mi vorticano nella testa. Lo so che mi sto stancando troppo, ma come posso dire alla Lady Boss che devo rallentare, ora che mi sta dando sempre più responsabilità? Non posso mollare adesso. Per la prima volta da quando ho scoperto di aspettare un bambino, questa pancia troppo grande mi sembra un ostacolo.

«Ho scelto male le parole, lo ammetto.» Luke fa un passo verso di me e lo sento sfiorare il mio braccio. «Ma lo sai, non sono una persona teorica, sono sempre stato più bravo con le diagnosi e con il corpo umano in generale.»

Gli rivolgo uno sguardo patetico, mentre lui nasconde un sorriso.

«Quello che volevo dire è che non sei sola. Anche se litigate in media una volta ogni dieci giorni, Philip ci sarà per te e per la vostra bambina, anche economicamente, nonostante per te sia difficile accettarlo. Capisco che tu voglia una carriera e te la meriti, ma a breve avrai una figlia.»

«E devo rinunciare a qualcosa», concludo io per lui. Luke sorride.

«Per un po', solo per un po'. Dove la ritrovano una come te in quell'agenzia?»

Ovunque, vorrei rispondere, ma mi trattengo. Ho appena realizzato una cosa.

«Un momento, hai detto figlia

Luke sbianca. Il terrore si spande sul suo volto. «Shit

Voglio picchiarlo. Sei mesi a cercare di non scoprire il sesso del bambino e lui me lo spiattella nel giro di dieci secondi.

«Sei un guastafeste», lo insulto, dedicandogli un dito medio. «Anzi, sei un coglione.»

Lui solleva le spalle, non sembra per niente pentito di avermi rivelato questo segreto. Lo odio.

«A Philip lo hai già detto?» Vuoi vedere che lo sapevano tutti tranne me? Si lascia scappare un sorrisino.

«Allora lo vedi che un po' ti interessa di lui? Ancora no, però potresti dirglielo tu!»

Lo sapevo che il suo interesse medico era solo una finta per parlare di Philip. Incrocio di nuovo le braccia.

«Io con Philip non ci parlo.»

Luke rotea fastidiosamente gli occhi. «Ancora, Mia? Quando la finirete con questa storia?»

«Mai. Tu lo sai cosa mi ha detto?»

«Lo so. Non ti ha chiesto scusa, vero?»

Mi scappa una risata sardonica, o forse dovrei dire triste.

«Secondo te?»

«Strano, io avrei preso molto sul serio le minacce di Lola.»

Inarco un sopracciglio. «Quali minacce?»

La birra di Luke ormai è quasi terminata. Finché non confessa tutto non gliene do un'altra. «Il giorno dopo il vostro litigio, Lola è venuta a casa mia a fare una sfuriata a Philip, ma a quanto pare non è servita a niente.»

Provo dei sentimenti ambivalenti. Da una parte il mio odio per Philip aumenta in modo esponenziale, dall'altro mi viene da piangere di nuovo per quanto bene mi vuole Lola. Non riesco a pensare che abbiamo litigato.

«A proposito, dov'è?» chiede Luke, con un tono che vorrebbe sembrare disinteressato. Eccolo là.

«Sapevo che eri venuto soltanto per vedere lei», rispondo, ma non riesco a essere seria. Lo guardo e la sua espressione offesa mi fa ridere.

«Non è vero! Sono venuto per sapere come stavi.»

«E non potevi telefonarmi?»

«Avresti trovato una scusa. Ormai ti conosco.»

Touché.

«Beh, non c'è e non so dove sia.» Faccio una pausa. «Abbiamo litigato.»

«E perché?»

Impiccione.

«È tornato il suo ex Steve e io le ho detto che disapprovo questa cosa e che dovrebbe disintossicarsi da lui. Per tutta risposta, lei mi ha detto che anche io ho una relazione tossica con Philip», spiattello tutto. Durante un interrogatorio a Scotland Yard durerei cinque secondi scarsi. Luke inarca entrambe le sopracciglia.

«È tornato il suo ex Steve? Il cantante?»

Ovviamente, è l'unica cosa che ha recepito.

«Musicista», lo correggo, ma la domanda mi suona strana. «Ma tu come fai a sapere di Steve?»

«Me ne ha parlato quando siamo andati a letto insieme.» Le sue orecchie sono diventate rosse, ma mi sforzo di non ridere. «E l'ho stalkerato sui social.»

La sua confessione ha un non so che di comico e tenero allo stesso tempo. Non mi sta guardando più, ha gli occhi puntati verso il basso. Si gratta la guancia destra, mentre non riesce a stare fermo sul posto. Ma allora gli piace sul serio.

«Steve, eh?» La sua è una domanda retorica, alla quale vorrei rispondere in modo negativo.

«Già.»

Mannaggia, quanto mi dispiace. Luke annuisce. «Sono contento per lei. Insomma, spero che sia felice con quel... Da dove viene? Canada?»

«Oh, no, non è canadese, viveva solo in Canada. Steve è australiano, ma non chiedermi di quale città, non me lo ricordo.»

La sua espressione muta ancora. Da imbarazzata e triste diventa sconvolta.

«In che senso è australiano?», mi domanda a voce alta.

«Nel senso che viene dalla terra dei canguri?»

Non capisco cosa ci sia di così sconvolgente. Certo, anche a me fa strano che sia australiano, insomma, è davvero lontana l'Australia, ma dopotutto anche gli Stati Uniti lo sono, e io mi frequento con uno che viene proprio da lì.

Lasciandomi più confusa che mai, Luke si alza e impreca in un modo parecchio volgare che non ho mai sentito dalla sua bocca così inglese. Si mette le mani sui fianchi, l'aria che esce fuori dalle sue narici come un toro dei cartoni animati.

«E dai, no! Ma non si può!»

Io continuo a non capire. «Non si può cosa, Luke?»

«Come posso competere con un australiano!? Quelli sono tutti alti e palestrati!»

Ma è serio? Non so se essere più sconvolta o divertita.

«Ma smettila, non è vero!»

«Lui com'è?» domanda ancora. Credo che stia per avere una crisi di nervi.

«In che senso?»

«Steve, com'è? È tipo un australiano alla Russel Crowe o...» si ferma, quasi come se avesse timore a dirlo. «Alla Chris Hemsworth?»

«Vorrei tanto dirti la prima opzione, ma...»

Lascio la frase in sospeso. Luke ha l'aria di uno che vorrebbe buttarsi dal Millennium Bridge. «Dio, come posso competere con Thor?»

Nonostante la indiscutibile ilarità della situazione, mi si stringe il cuore di tenerezza.

«Senti, perché non glielo dici?»

«A chi?»

«A Lola.»

«E che cosa dovrei dirle?»

Gli rivolgo uno sguardo eloquente. Lui si limita a ricambiare. Credo che la conversazione sia conclusa.

«È meglio che vada», dice infatti, un paio di secondi dopo. Si rimette la giacca e mi guarda un'ultima volta.

«Fai pace con qualcuno. Almeno con Lola. Ne hai bisogno.»

Si avvicina alla porta e mette la mano sulla maniglia. Faccio un paio di passi in avanti e mi ritrovo alla sua destra.

«Luke?» sussurro, senza guardarlo. Lui si volta e non dice nulla.

«Grazie.»

L'ho detto piano, ma lui mi ha sentito lo stesso. Le sue labbra si posano sulla mia guancia e un sorriso si apre sul mio volto.

«Non devi ringraziarmi. Sei mia amica. Mi preoccupo per te.»

Apre la porta e prima di scappare via mi guarda ancora.

«Chiama Lola!» esclama, un piede già sul primo gradino. «A quel cretino di Philip ci penso io!»

Lo guardo andare via, scendere veloce le scale, il vento freddo autunnale che cerca di entrare dentro casa. Chiudo la porta a chiave e poggio la mia schiena affaticata sul freddo legno. Luke è forse la persona più stramba e curiosa che abbia mai conosciuto, ma ha ragione. Tiro fuori il telefono dalla tasca dei jeans e apro WhatsApp.

"Mi dispiace", digito, nella chat di Lola. "Ti aspetto a casa".

Vado a farmi una doccia, senza attendere che la mia amica mi risponda. La aspetto a casa.

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