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Ma dammi la mano e torna vicino, può nascere un fiore nel nostro giardino.

Philip

Quando la barella scompare in sala parto, il mio primo istinto è quello di seguirla, anzi, è la mia prima azione. Faccio un passo avanti, pronto a entrare, ma trovo l'opposizione di Luke. Il mio migliore amico, ancora in smoking, si piazza davanti a me.

«Tu resti qui.»

Rimango a guardarlo, il volto immobile. Sta scherzando.

«Dai, Luke, fammi entrare.»

«No, adesso entro solo io, tu aspetti qui, tutti e due aspettate qui.»

Lola è accanto a me. Forse vuole dire qualcosa, ma ci ripensa. Incrocia le braccia e fa un passo indietro. Io non demordo.

«Non esiste, ho il diritto di entrare! Sono il padre e pure un medico!»

«Invece fai quello che ti dico io, va bene?» La voce di Luke si è alzata di un paio di toni, ma non mi fa paura. «Adesso io entro dentro, mentre tu resti qui fuori!»

«Non posso restare qui fuori.» Volevo rispondere a tono, ma la mia voce sembra scomparsa. Mio cugino mi mette una mano sulla spalla.

«Per ora sì. Fammi controllare la situazione, parlo con il ginecologo di turno e l'ostetrica. Ti faranno entrare, stai tranquillo.»

Nessuno parla. Annuisco, mentre lui chiude la porta. Resto solo con Lola, che si è seduta sulla panca vuota. Appoggio la schiena contro il muro. Mi fa molto male nella parte bassa, ho trascinato Mia per tutto il tempo e quasi completamente da solo. Il corridoio è deserto, nonostante siano appena le nove di sera. Guardo Lola e mi sembra davvero preoccupata.

«Come è successo?» mi chiede, ricambiando lo sguardo. Io mi sento la gola secca. Vorrei solo un bicchiere d'acqua gelida.

«Aveva le doglie da ieri pomeriggio», rispondo. Lei non accenna ad abbassare gli occhi.

«In che senso?» è la sua domanda, del tutto scontata. «Ieri siamo state tutto il pomeriggio insieme, stava bene.»

«Evidentemente no.»

Il mio tono nasconde una leggera accusa, ma se la coglie non lo dà a vedere.

«Credeva fossero le contrazioni di Braxton Hicks,» continuo, «invece a quanto pare erano vere.»

Silenzio, ancora. Le braccia di Lola sono ancora incrociate, strette contro il seno.

«Avete litigato?»

«Cosa?»

«Tu e Mia, avete litigato? Vi ho visti discutere, all'evento.»

Preferisco non rispondere a questa precisa domanda. Al contrario, ne pongo un'altra.

«Sapevi di New York?»

Lola mi trafigge con lo sguardo. Non so se l'ho mai vista così arrabbiata. Almeno non con me.

«Sì, che lo sapevo», conferma le mie supposizioni. «Ora lo sai anche tu. Immagino che tu le abbia urlato addosso.»

«Cosa avrei dovuto fare?» mi difendo, non ho intenzione di farmi accusare di niente proprio adesso.

«Piantarla di comportarti così ogni maledetta volta, Philip!» grida, di nuovo in piedi. «L'hai fatta impazzire in questi mesi, vuoi negarlo?»

«Quindi adesso sarebbe colpa mia? Matt la invita ad andare a New York con lui e io devo rimanere zitto?»

«È la sua vita, Philip! È la sua stramaledetta vita e tu gliel'hai resa un inferno mentre era incinta, durante quello che dovrebbe essere il periodo più bello della vita di una donna!»

Quelle accuse mi travolgono. Mi sento annientato. Non so che cosa dire.

«Sei ingiusta. Le sono sempre stato vicino. Abbiamo litigato qualche volta, ma...»

«Già, qualche volta!» Il sarcasmo di Lola è tagliente. «Era proprio necessaria la relazione con Simone?»

Mordo l'interno guancia con troppa forza. «Che cosa c'entra Simone?»

«Mia aveva bisogno di te e tu hai passato gli ultimi sei mesi con quella.»

«Io non... Lei ha avuto Matt!»

«Solo perché voleva qualcuno che le stesse vicino.»

«Io...»

Distolgo lo sguardo da Lola. Ho le guance in fiamme e non trovo una risposta adeguata. Le sue accuse mi travolgono e non posso negare, almeno a me stesso, che abbia ragione su tutto.

«Non volevo farla stare male, non...»

Direi altro, ma la porta della sala parto si apre di nuovo e ne esce Luke, un camice e una mascherina addosso.

«È quasi ora. Vieni, Phil, puoi entrare.»

Mi fa segno di entrare, sbrigativo, ma io non mi muovo. «No, forse è meglio che entri Lola.»

Mio cugino inarca un sopracciglio. «Perché?»

«Non credo che Mia voglia vedermi.»

Gli occhi di Lola ruotano verso il soffitto. «Io invece credo che tu sia veramente un idiota, Philip.»

Ho sempre apprezza la sua spietatezza. Luke scuote la testa.

«Concordo. Vieni a metterti il camice e la cuffietta, muoviti.»

Non mi lasciano molta scelta. Dopo aver lanciato un ultimo sguardo a Lola, supero Luke ed entro.

Mi trema ogni parte del corpo. Mia figlia sta per nascere. Sto per diventare padre. La mia vita sta per cambiare. Sto per diventare grande.

***

Luke&Lola

Gli altri due si guardano.

«Come sta?»

«Urla, ma è normale.»

«La bambina sta bene?»

«Sembra di sì. È un po' in anticipo, ma credo sia in ottima salute.»

«Ok.»

Quell'"ok" sussurrato non tranquillizza affatto Luke. Fa un passo in avanti e le sfiora i capelli con la mano destra.

«Ehi, devi stare tranquilla» le sussurra. Lola sospira.

«Sì, non ti preoccupare, lo sono», mente, ma Luke fa finta di crederci.

«Vorrei farti entrare, ma poi siamo troppi e...»

La ragazza scuote la testa con decisione. «No, va bene, è giusto ci sia Philip. Adesso chiamo i genitori di Mia e chiedo a Jake e Taylor se riescono a raggiungermi.»

«Ok.»

«Ok.»

Si guardano negli occhi. Luke ha ancora la mano sui capelli di Lola, lei gli accarezza lo zigomo con un dito.

«Luke?»

«Sì?»

Fa un passo avanti e le loro labbra si sfiorano, senza pretese.

«Niente. Ci vediamo dopo.»

Luke sorride. È costretto a tornare dentro e Lola resta sola. Avrebbe voluto entrare anche lei, ma non è il suo posto, quello. Afferra il telefono e comincia il suo giro di telefonate, prima alla mamma di Mia con il suo italiano stentato mischiato a spagnolo, poi a Jake che dice che arriverà subito, mentre Taylor non risponde. Lola non è mai stata molto cattolica, con grande rammarico della sua abuela Dolores, ma quando si siede di nuovo e i suoi occhi incrociano quell'immagine sacra in alto davanti a sé, quasi vicino al soffitto, si ritrova a pregare che vada tutto bene.

Il ricordo delle labbra di Luke brucia ancora sulle sue.

***

Mia

«Voglio l'epidurale! Ho detto fatemi l'epidurale!»

«Mia, non possiamo farti nessuna epidurale, è troppo tardi, tua figlia sta per nascere!»

«Luke, fammi questa cazzo di epidurale!»

Mi sembra che qualcuno mi stia strappando l'utero a morsi. Non sto scherzando: mi sento come gli scialacquatori spediti da Dante nel settimo cerchio dell'Inferno, i quali, avendo distrutto e sperperato i propri averi in vita, subiscono lo strappo delle proprie carni da parte di feroci cagne fameliche. È esattamente questa la sensazione che provo mentre mia figlia tenta di uscire dalla mia vagina: di qualcuno che stia mangiando le mie viscere.

«Mia, preparati, è quasi il momento di spingere.»

È l'unica cosa che sogno di fare da quelle che ormai mi sembrano ore. Non appena Luke pronuncia queste parole, vicino all'ostetrica – ma quale camice si è messo? Non è il suo ospedale, questo, non c'è un ginecologo di turno? E lui poi non fa il pediatra? Ma perché mi sto facendo questi problemi, a me cosa importa di chi è quel camice, voglio solo espellere la mia bambina dal mio utero, non vuole proprio starci più e me lo sta facendo capire nel modo peggiore del mondo.

«Luke?»

L'ho sussurrato, ma ha capito lo stesso. Il mio amico mi guarda.

«Vuoi che faccia entrare Philip?»

Vorrei dire di sì, ma riesco solo ad annuire, mentre una nuova fitta mi divide in due. Luke mi dice ancora una volta di stare tranquilla e di respirare, per poi sparire. Non so quanto tempo passa, ma quando vedo Philip entrare mi sento meglio. Si avvicina a me, piegando le ginocchia per raggiungere la mia altezza e mi stringe la mano sinistra con entrambe le sue. Mi guarda e i suoi occhi sono lucidi.

«Sono qui», dice soltanto ed è tutto quello di cui ho bisogno. Non mi serve altro, solo che Philip sia accanto a me. Ci guardiamo, per un lungo attimo che sembra durare un'eternità. Non so come succede, so solo che sento le sue labbra sulle mie. Ed è come se tutto andasse al proprio posto.

«Sei pronta, Mia?»

Socchiudo gli occhi e prendo il più profondo respiro della mia vita.

«Sono pronta.»

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