L'amore che strappa i capelli è perduto, ormai.
Philip
Aeroporto Internazionale JFK, New York, gennaio 2019
«Philip, muoviti, dai, tra dieci minuti apre il gate!»
«Sì, faccio solo una telefonata!»
Gli aeroporti mi sono sempre piaciuti. Sono dei luoghi di passaggio, in cui ognuno ha una propria storia. C'è gente che parte per lavoro, chi per raggiungere la persona amata, chi per cambiare vita, chi per scappare qualcosa, chi per divertirsi con gli amici, chi per capire se stesso, o per scoprire se stesso. Afferrai il mio cellulare, mettendo una manciata di metri tra me e i miei colleghi. A breve sarei partito per una operazione umanitaria, per dare supporto ai medici già sul campo in Siria, dove la guerra stava distruggendo qualsiasi cosa. Vite, case, famiglie, speranze. Era la cosa giusta da fare in quel momento, era l'unica cosa che volessi fare. Mio padre non era d'accordo, aveva pronto quel posto per me in quell'ospedale da anni, ma io avevo bisogno di quello, in quel momento. Stavo partendo con il gruppo americano, quello del Presbyterian Hospital di New York dove lavoravo da più di un anno, ormai. L'imbarco sarebbe stato a momenti. Dovevo fare quella telefonata. Cercai il numero, sperando che fosse sempre lo stesso. Il mio non lo era. Rispose dopo qualche squillo.
«Hello? Pronto?»
Non la sentivo da un anno e mezzo. Sapevo cosa faceva nella sua vita, non avevo mai smesso di seguirla sui social tramite gli account di Luke, che non era mai stato bloccato, a differenza mia. La conoscevo, sapevo che l'aveva fatto di proposito, non era mai riuscita a staccarsi del tutto da me, nemmeno dalla semplice idea che potessi vedere le sue stupide storie su Instagram. La sua voce era sempre la stessa.
«Ciao.»
Lo avevo detto in italiano. Silenzio. Mi aveva riconosciuto. Non sapevo per quale ragione la stessi chiamando, sapevo solo che avevo dovuto farlo, altrimenti non sarei riuscito a prendere l'aereo.
«Che cosa vuoi?» fu la risposta di lei, a bassa voce, sempre nella stessa lingua. Il suo tono era monocorde, quasi non volesse far trasparire alcuna emozione. O forse non ne provava più, almeno non più per me.
«Vado in Siria», le risposi, e sentii la voce tremare. «Sto partendo adesso.»
«In Siria?»
«Operazione umanitaria.»
«Hai sempre voluto farlo.»
«Già. Torno tra sei mesi.»
«Se torni.»
«Farò di tutto per farlo.»
Silenzio, di nuovo. Mia stava piangendo, lo percepivo. Scappò una lacrima anche dai miei occhi, senza che lo volessi.
«Scusami», dissi, senza specificare per cosa. Per il passato, per il presente, per il futuro. Per tutto.
«Stai attento», parlò Mia, la voce rotta. Annuii.
«Starò attento. Te lo prometto.»
I colleghi cominciarono a chiamarmi. Dovevamo imbarcarci.
«Devo andare. Ciao, Mia.»
Mia non rispose subito. Quando la udii, la sua voce sembrava lontanissima.
«Addio, Philip.»
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