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XIII

14 giugno 1469

Magnifica filia amantissima, più e più volte te ho scripto che tu me vogli avisare del essere tuo e mai alcuna cosa me hai avisato, benché fin'a hora non me ne sono molto maravegliata, son certa hai habuti altri affanni; per lo avenire non te lo ammetto più. Fai pur che non pare scordassi de me, la qual te son matre. Voglimi avisare de passo in passo di como te paia l'essere de li parenti e de la terra, e chomo te comporta l'aire, e como sei suta bene reciputa de tutti particularmente, e chome anchora habi habuto buono viazo per strada. Avegna che sia stata informata d'alcuni che sono venuti de là da tuti che tu sia stata laudata per fin'a hora, e cussì te conforti vogli far per lo avenire, che maiore consolatione non però havrai che le laude tue. Altro non è, se non fai tu benedicho Lorenzo, e tutti li altri saluta da parte mia. Rome die 10 junii 1469.

Magdalena de Ursinis

Clarice storse le labbra e curvò lo sguardo dalla lettera che teneva in mano a un piccolo scrigno lasciato sul cassone, dove giacevano le missive ricevute nei giorni precedenti e rimaste senza risposta. Il morso della colpevolezza le stringeva la gola, quasi che sua madre potesse ancora rimbrottarla con i suoi modi bruschi e poco delicati ora che città, colline e fiumi le dividevano. La sua voce le arrivava perfettamente nitida, le tirate d'orecchi le sentiva come fossero reali. Deglutì, ripiegò la lettera e si alzò in piedi: avrebbe risposto, stavolta. Promesso.

Si trattava semplicemente di andare di sotto, al pianterreno, dove si trovavano gli uffici della banca. Uno dei segretari avrebbe trascritto il suo dettato, giacché lei detestava scrivere e soprattutto lo detestava lì, a Firenze, dove le fanciulle sue coetanee si dilettavano di leggere poesie e, talvolta, di comporle di proprio genio.

A quel proposito, di scendere e farsi vedere da persone che considerava, errando, alla stregua di servi, Clarice portò istintivamente una mano alla guancia o, più di preciso, alla linea della mandibola, dove un'ombra violacea ancora resisteva sul suo incarnato candido: era uno di quei baci che suo marito aveva voluto imprimerle sulla pelle e, se non fosse stato così manifesto, le avrebbe fatto pure piacere. Ma aveva notato che, immancabilmente, gli occhi dei fiorentini correvano proprio lì, a quel piccolo livido che, se fosse stato con gli altri sulle spalle o sui seni, non avrebbe sollevato tanto scandalo e sarebbe rimasto un tenero segreto coniugale.

«Clarice?»

Lorenzo la scoprì ferma, irresoluta, a lato del letto. Non impiegò un istante a scorgere la lettera ripiegata in fretta e furia tra le sue dita, così, avvicinatosi, gliela sottrasse con un movimento premuroso, la spianò e la lesse sottovoce; non come lei che, per aiutarsi, aveva bisogno di scandire ogni frase parola per parola.

«Mia madre...» cominciò, ma non andò oltre, vedendo che la sua rapida lettura era già conclusa. «Dunque non rispondi alle lettere di madonna Maddalena. Da quando, per l'esattezza?»

«Ormai da che lasciai Monterotondo.»

«Ed è gran tempo, in effetti!» esclamò lui, prendendosi il mento tra indice e pollice. «O come mai?»

Clarice si accorse solo allora di aver stretto una mano nell'altra nervosamente. Le dita dell'una cercavano di sfuggire, allungandosi nel palmo serrato dell'altra; Lorenzo, che non era uno sprovveduto, si mosse istintivamente incontro a lei e, cingendole le spalle con il braccio, esordì con una proposta: «T'accompagno da padre Matteo, cappellano nostro. È l'uomo che fa al caso».

Aveva un modo di fare completamente diverso con lei, di giorno, come se alla luce del sole il suo spirito acquistasse una confidenza che nulla aveva a che spartire con quanto accadeva di notte. Quando la toccava non c'era lussuria, quando le parlava non c'era adulazione, quasi dimenticasse di rivolgersi alla moglie che poi avrebbe posseduto, e che aveva già posseduto, con sincero piacere. Quando per la prima volta aveva notato tale atteggiamento, Clarice ne era rimasta confusa, ma non si era azzardata minimamente a palesargli il dubbio. Anche ora che la sua mano era scesa dalle spalle al fianco e la sospingeva avanti, il suo tocco era casto, rispettoso, si sarebbe detto distaccato.

Non obiettò e docile si avviò accanto a lui, mentre Lorenzo proseguiva: «Sarà bene che troviamo un momento per parlare anche di madonna Maddalena, sai? È bene che io sappia un po' che donna sia, giacché ho sposato sua figlia, affinché io sia pronto a vederti diventare un po' somigliante a lei».

«Una premura inutile, messere, poiché io non diventerò come mia madre...» bisbigliò imboccando le scale. Lorenzo sbuffò divertito e riprese: «Ho visto mio padre diventare come mio avolo e stimo che mi tocchi la stessa sorte. Per questo mi preoccupo di conoscere da che pianta è nato il frutto che ho colto». E con questa dolce metafora le pizzicò la guancia, facendola arrossire. Nel frattempo, scesa la scalinata, erano giunti nel cortile interno, un quadrilatero delimitato da sedici colonne in una sobria composizione di gusto rinascimentale. Sfilarono sotto lo sguardo seducente del David di Donatello, tacciato dai bigotti di mostrare sembianze eccessivamente effeminate, e avanzarono diretti verso un gruppo di uomini tra cui spiccava, per l'animosità dei gesti, un giovanissimo prelato. Egli stava discutendo con Luigi Pulci, che dalla sua rideva e rideva insieme ai compagni capitati per avventura nelle vicinanze e attratti dalla parlantina sciolta del sacerdote.

«E questi», raccontava egli in quel frangente, «mi vien portando un fiaschetto di vino nero invecchiato e ne versa nel bicchiere lodandolo come fosse ambrosia di dei pagani, al che io modestamente m'accingo a bere...»

Lorenzo si appressò all'orecchio di Clarice. «Bada a non risentirti, se si dovesse eccedere nello spirito: si è fiorentini, e la schiettezza è nostra dote», le disse piano, accostandola un poco a sé. Il sacerdote, intanto: «E io suggo, suggo l'ambrosia!» esclamava, spalancando le braccia come a raccogliere le risate dei compagni. «"Senti tu com'è vecchio!" mi fa l'oste. E io gli ribatto: "A me non pare solo vecchio, ma proprio rimbambito!"»

Clarice corrugò le sopracciglia, non cogliendo l'ironia della risposta. Lorenzo, invece, rise così di gusto che nessuno del gruppo rimase senza voltarsi a lui. Il giovane prete balzò per aria, sorpreso a raccontare di nuovo quella storiella; e il Medici appunto lo rimproverò. «Quando cesserete di far ridere i vostri discepoli e comincerete a istruirli sui sacramenti, buon padre Matteo?» (1)

«Messer Lorenzo, in ogni cosa c'è un insegnamento! Difatti stavo giusto ammaestrando questi miei figlioli a fuggire il vizio della gola!» replicò prontissimo quegli, suscitando nuove risate tutt'attorno. Quindi, volgendosi alla fanciulla novella sposa, chinò il capo e, con voce vellutata, la salutò: «Buondì, madonna, e che il Signore sia con voi!»

Luigi Pulci, che si era inchinato al pari degli altri alla signora, non appena levatosi la salutò: «Madonna, veramente quel che si dice è vero, che voi brillate di beltà più che della stella mattutina la luce, e che per tal motivo vi chiamate Clarice».

«Ohi, Luigi, giù quegli occhi, che pari volermela mangiare», scherzò Lorenzo, avendo avvertito una leggera stretta delle mani di lei attorno al proprio braccio. «Poni mente al poema, piuttosto!»

«Ho giusto bisogno d'una principessa da accoppiare al fiero Orlando, sicché vedi, Lorenzo, che la venuta di madonna Clarice m'apre bene la mente», ammiccò l'altro. Clarice, per non far la parte della vanitosa, volle mostrarsi interessata. «Un poema? Siete voi un poeta, messer Luigi?»

«Pare che i Medici mi considerino tale, ma è una fama immeritata, la mia. Il poema sarà un cantar cavalleresco alla stregua della tradizione francese, così come madonna Lucrezia impera al mio ingegno.» (2)

«E chi è l'Orlando di cui cercate la degna moglie?» domandò ancora, sorridente. Fu un sorriso, invero, di vita breve, che si cambiò presto in un'espressione spaesata quasi a riflettere quelle degli uomini che la circondavano. Anche Lorenzo, ora, la guardava con una faccia sospesa, un sopracciglio inarcato e l'altro teso; Pulci, rimasto imprevedibilmente a corto di risposte, biascicò un poco prima di riuscire a dire: «Orlando, Orlando paladino dell'imperatore Carlo Magno, che morì a Roncisvalle...»

Capendo che la spiegazione cadeva nel vuoto, come una penna che voglia scrivere senza inchiostro o per aria, cessò il discorso a metà, per concludere soltanto con un debolissimo: «Proprio non lo conoscete?»

«No...» ammise Clarice, intimorita dal silenzio che si era imposto impietoso alla sua innocente domanda.

«E che cosa piace leggere alle fanciulle romane, madonna?» intervenne Matteo Franco. «Leggete il Decameron? O forse vi garba di più qualche altra raccolta di novelle d'amore?»

«In verità, mia madre non voleva che leggessi queste cose sconvenienti...» sussurrò, sentendo la vergogna pioverle addosso come una cascata d'acqua gelida. La sincerità era una delle sue virtù più decantate, anche se le era valsa più guai che onore: così fu anche allora poiché, non appena proferita la confessione, Luigi e gli altri laici si ritrassero un poco, mortificati. Padre Matteo, che non aveva studiato granché oltre gli studi necessari a prendere gli ordini, la guardò invece con simpatia e, unico tra tutti, affermò: «Tanto meglio! Così potremo insegnarvi tutto noi, e massime il marito vostro che si diletta di poesia come e più di noialtri. Siete venuta nella miglior scuola d'amore e lettere che poteste desiderare, madonna».

Pulci, ripresosi intanto dal colpo, anzi forse proprio da ciò fomentato, si rivolse allora a Lorenzo. «Sei tu giunto alla pratica prima di passare per la teoria, o sbaglio?»

«Modo migliore non v'è per educare all'amore chi ne è digiuno, perché una volta che si assaggia il frutto non si desia che un altro morso, e poi un altro, e un altro ancora...»

«Ti do ragione, birbone. Procura solo d'insegnarle bene.»

«E tu tieni il naso lontano dalla mia camera o creperai d'invidia!»

C'era chi sorrideva del battibecco, chi ne rideva senza pudore, e i duellanti davano a vedere di star semplicemente affilando le rispettive lame. Clarice, sbigottita, s'aggrappava via via di più al braccio di Lorenzo, come potesse trattenerlo dal dire qualcosa che lei non avrebbe voluto sentire. Quel Luigi non le andava, decisamente, ma come interrompere la schermaglia?

«Bada che ti conosco, Lorenzino!»

«Lo so, lo so bene!» ammiccò. «Ma ti rinfresco ugualmente la memoria.»

E detto così, Lorenzo si volse alla giovane moglie e, posata una mano sul suo collo, si protese a baciarla appassionatamente; il suo movimento fu così rapido e imprevisto che ella non poté sottrarvisi. Poté bensì strabuzzare gli occhi, poi serrarli e trattenere il respiro. Le sue dita ormai non premevano soltanto, affondavano nel tessuto leggero della sua manica, facendole percepire chiaramente sotto di esso il muscolo teso nell'atto di stringerla a sé. Prima che potesse rilassarsi e corrispondergli senza più preoccuparsi degli sguardi altrui, Lorenzo si ritrasse e, inclinando il capo verso Luigi, si dichiarò soddisfatto della dimostrazione data.

Il suo ghigno beffardo, però, sparì al battito di ciglia successivo, quando Lucrezia sua madre mise piede nel cortile rientrando dall'adiacente giardino. Il giovanotto, persa ogni baldanza, tentennò, si morse il labbro ancora umido del bacio e piegò lo sguardo di lato sospirando.

«Figliolo,» esclamò la matrona, esagerando il tono per apparire più sconcertata di quanto in realtà non fosse, «tuo padre ti cerca per quella missione a Milano e tu te ne stai costì a che fare?»

Lorenzo, schiarendosi un po' la gola, si sbrigò a troncare la burla. «Ser Matteo, vogliate per favore mettere in iscritto ciò che mia moglie vi detterà e poi spedite la lettera immediatamente. Clarice...»

«Vi prego, raggiungete messer Piero, è cosa più urgente che una lettera...» lo anticipò lei, chinando la testa mentre si avviava dietro al sacerdote; scambiò uno sguardo con la suocera, che le sorrise benevola; infine, scomparve al di là di una porta.

Imitandola, Lorenzo accennò un saluto rispettoso alla madre, poi fece un passo in direzione delle scale per rimontare al piano superiore, dove suo padre lo attendeva. Luigi, però, aveva un'ultima voglia da saziare, e lo rincorse finché non gli fu a portata; allora lo afferrò per il braccio e gli si avvicinò per parlare piano e non farsi udire da madonna Lucrezia, troppo poco distante.

«Non c'hai detto niente della sposa e noialtri ce la prendiamo a male! Suvvia, raccontami qualche cosa!»

La risata del giovane Medici rimbombò attraverso la rampa delle scale che salivano in una chiocciola attraverso il mezzanino. Aveva già cominciato la salita e non aveva alcuna intenzione di fermarsi a chiacchierare. Il viaggio a Milano cui Lucrezia aveva accennato era faccenda di primaria importanza: nel giro di qualche settimana, sarebbe venuto alla luce il primogenito del duca Galeazzo Maria che, in segno di gratitudine e riconoscenza per il sostegno dei banchieri di famiglia, aveva offerto a Piero l'onore d'essere padrino del nascituro. Sarebbe stato Lorenzo, però, a presenziare alla cerimonia in rappresentanza del padre, impossibilitato a muoversi dalla malattia. Luigi non voleva tenere in considerazione la politica, non in quel momento in cui materia più pruriginosa, e quindi più affine al suo animo burlesco, era messa così in bella mostra davanti ai suoi occhi.

«Ti facevo generoso, garzoncello mio. Uno prende moglie e manco si premura di farne due parole con gli amici di una vita!» lo pungolò, sapendo di avere in comune con lui la passione per certi discorsi. Lorenzo si stava rivelando, al contrario dell'usato, piuttosto reticente; e la curiosità di Luigi si faceva di secondo in secondo più famelica.

«O com'è lei? La ti piace?»

«Sì, sì! Mi garba assai, anche se manca d'iniziativa.»

«Egli è buona cosa che le manchi, ché significa che è tutta tua.»

«Sarà, ma m'auguro che la diventi più audace!»

Procedevano fianco a fianco, attraversando stanze mirabilmente affrescate su cui i loro sguardi passavano veloci, sbadati, presi da tutt'altre immagini che non quelle dipinte sulle pareti. Ognuno viveva dei propri pensieri, desideri e timori. Come gli capitava sempre, Lorenzo si immalinconiva all'idea di far visita al padre; Luigi, intuendo il suo stato d'animo dalla piega delle sue labbra ora serrate, rimandò ad altra occasione, dispiaciuto di non essere stato capace di trattenere un poco l'amico a parlare. Prima di accomiatarsi, comunque, aveva un'ultima domanda da porre, una domanda maliziosa che gli bruciava sulla punta della lingua.

«Quante volte l'hai messa incinta? Mmh?»

L'altro si volse appena indietro e si fece scudo alla bocca con la mano. «Una decina di volte come nessuna; mi pare un peccato farla già ingrossare, se tu m'intendi.»

Subito si avviò schiacciandogli un occhiolino di complicità; il poeta, immobile dove si era fermato, alzò appena la mano per ringraziare. Considerò se fosse giunto il momento di sistemarsi a propria volta, di sposare una buona fanciulla e dare un futuro alla sua stirpe decadente, ma il vincolo lo opprimeva anche quando solo figurato dalla fantasia. Fece spallucce, Luigi Pulci: debiti e libertà sarebbero stati suoi compagni ancora per qualche tempo.



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La lettera di Maddalena Orsini riportata in apertura di capitolo è autentica e autografa; la trascrizione è mia.

(1) I biografi sostengono che Matteo Franco entrò a far parte della corte dei Medici nei primi anni '70 del Quattrocento. Egli era quasi coetaneo di Lorenzo (era nato infatti nel 1448) e, come si vedrà in seguito, rivestì un ruolo importante all'interno della brigata. Ma se arrivò negli anni '70 e noi siamo al 1469, che c'entra lui? Beh, curiosando nelle carte dell'Archivio mediceo ho trovato un elenco di famigli dei Medici (ossia persone che vivevano sotto il tetto di famiglia: segretari, stallieri, servitori e, sì, anche cappellani!) dove un cappellano Matheo de Francho figura a servizio di Piero de' Medici. Potrebbe trattarsi di un'omonimia, tuttavia ho deciso di includere il personaggio per ragioni di trama :)

(2) Il Morgante è l'opera con cui Luigi Pulci è rimasto famoso fino a oggi. L'opera fu avviata sotto l'impulso di Lucrezia Tornabuoni, che aveva una particolare predilezione per Pulci poeta irriverente. Anche in questo caso, gli studiosi dicono che la composizione sia iniziata negli anni '70. Io ipotizzo che l'idea fosse nell'aria già da qualche tempo e che Pulci, semplicemente, rimandasse l'impegno. Tra l'altro, nel proposito iniziale il poema sarebbe dovuto essere un'opera seria, al pari degli esempi francesi, uno per tutti La chanson de Roland: fu l'innata tendenza di Pulci alla beffa e allo scherzo a piegare i toni verso il comico, l'aspetto che più di tutti rende l'opera veramente indimenticabile (oltre al fatto che in numerosi passi sfoci nella blasfemia, ma di questo credo si parlerà più avanti!)

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