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1.

Innanzitutto benvenuti!
Sono molto felice di poter condividere con voi questo mio primo racconto che sognavo di scrivere da tempo. Ho scritto tutto questo perché penso che i libri tengano la chiave che incoraggia le persone a fare qualcosa. Per me scrivere è un modo di parlare più apertamente, un modo libero di esprimersi. Vorrei ringraziare da subito ogni lettore e chi dedicherà un po' del proprio tempo alla mia storia. Spero che questa riesca a coinvolgervi e mai deludervi. Sono semplicemente qui per mettermi in gioco, magari entrando nel cuore di qualcuno. Scusate se nei capitoli ci saranno tempi verbali sbagliati che magari non corrispondono, ma appena avrò tempo li correggerò. Non voglio dilungarmi troppo e finire per annoiarvi, quindi vi ringrazio ancora e vi lascio alla storia, spero davvero che vi possa piacere, almeno quanto a me è piaciuto scriverla. Buona lettura, Federica.

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E L I S A B E T H

La luce del sole sorgente iniziava a filtrare attraverso i vetri dell'unica finestrella presente nella piccola stanza e mi illuminava il viso con insana potenza, rendendomi impossibile provare a chiudere nuovamente gli occhi. Un rumore assordante mi destò dal mio beato sonno.

≪Elisabeth, svegliati!≫ Urlò mia madre dalla cucina del piano di sotto con tutta la voce che aveva.

Lei: quarantasette anni, era vestita con una maglietta in seta senza maniche, jeans, capelli spettinati lungo la schiena, indaffarata come sempre. Era quasi impossibile vederla ferma.

Io: lunghi capelli castani arruffati, occhi color nocciola, la mia pelle era sempre bianca, un bianco quasi indefinibile che cambiava tra il rosa e le sue varie sfumature, a volte sembrava addirittura bianca come il latte. Il mio nome rispecchiava il mio carattere, Elisabeth, un nome quasi diverso, poco usato, poco amato. Io era così, ero diversa, nessuno mi prendeva realmente in considerazione, solo nel momento del bisogno. Solo una cosa mi caratterizzava, il mio sguardo. Ero una persona timida e introversa, che preferiva rimanere sullo sfondo piuttosto che stare al centro dell'attenzione. Quando in giro per la città i ragazzi mi osservavano io riuscivo a percepirlo, ma non ero mai capace di guardare negli occhi una persona, sempre per la mia forte paura, quella di incontrare gli occhi di una persona che mi avrebbero fatta innamorare. Quante cose accadevano in un attimo? Come l'amore che colpiva all'improvviso, quello che non se ne andava finché non ti consumava, oppure come il dolore. Era sempre lì, nascosto dietro qualche angolo, ad aspettare che ti ferisca per attaccarti.

Amavo la mia città, l'impotenza del duomo, la folla che popolava corso Vittorio, il verdissimo parco Sempione, il castello Sforzesco. Ma ciò che amavo di più di Milano era disegnarla, ritrarne ogni minimo particolare. Ogni mattina facevo colazione con il solito cornetto, mi sedevo sempre sullo stesso marciapiede, aprivo un blocco da disegno e tracciavo i contorni di qualunque cosa mi capitava a tiro. Facevo ritratti agli sconosciuti seduti al bar di fronte, riportando ogni piccolo particolare del panorama attorno al soggetto. Fin troppe volte avevo disegnato il duomo, almeno un centinaio, ma ciò che ritraevo di più in assoluto era un affascinante ragazzo che esattamente ogni giorno, alla stessa ora, percorreva il marciapiede di fronte al mio. Era sulla ventina, alto e slanciato. I suoi capelli scompigliati sembravano dannatamente morbidi, il suo modo di vestire era eccentrico e bizzarro. Quando lo vedevo con le cuffie alle orecchie mi chiedevo sempre cosa stesse ascoltando, cosa gli piacesse, chi fosse. Non sapevo perché, ma quello strano personaggio mi incuriosiva.

Blocchi da disegno di diverse dimensioni erano spinti un po' a forza all'interno della mia valigetta nera, altri poco più piccoli lasciavano spazio all'estremità. Ero una di quelle ragazze troppo sincere, sincere quasi da dar fastidio, una di quelle che faceva fatica ad innamorarsi, ma quando amava, ci credeva fino in fondo. Andavo pazza per il caffè insieme a un buon libro, e perché no, una sigaretta. Leggere era ciò che mi rendeva più felice. La sera prima di addormentarmi, mi sdraiavo sul letto con una strana voglia, quella di mangiare ogni storia che, senza alcun timore, mi scivolava tra le mani. Aprivo la pagina sulla quale era poggiato il segnalibro e io leggevo, leggevo ed ero talmente concentrata a fare bene ciò che facevo, ad assaporare più storie possibili, che mi perdevo tra la fantasia di un mondo meraviglioso. Amavo l'arte e la fotografia e pensavo che quest'ultima fosse importante perché aveva la magia di ricordati che in quel preciso momento avevi sorriso, quando forse adesso non ne saresti più capace. Dunque, in quell'istante qualcuno o qualcosa ti aveva reso felice, facendoti dimenticare tutta la negatività che ti circondava. E amavo i fiocchi, i gatti e i maglioni caldi. Detestavo il freddo, la pioggia e l'umido che mi arricciava i capelli. Mi piaceva sapere subito il finale di un film, o un libro, perché solo così riuscivo a cogliere ogni singolo particolare della storia. Credevo che l'ultima possibilità fosse sempre la penultima e che bisognasse lottare fino in fondo per ciò che si voleva veramente. Ero una ragazza dolce e acida allo stesso tempo, difficile da capire, ma ancora più difficile d'amare.

≪È troppo presto per andare a scuola.≫ Borbottai con voce impastata.

≪Stamattina non andrai a scuola. Dai, scendi. Io e tuo padre dobbiamo parlarti.≫ Rispose seria.

Non capivo ancora cosa stesse succedendo, in quel momento ero confusa, mi stava scoppiando la testa. Da una buona mezz'ora stavo girando e rigirando nel letto, senza trovare una posizione abbastanza comoda. Poco dopo alzai la faccia dal cuscino, sbuffai e mi stropicciai gli occhi. Con molta fatica appoggiai i piedi giù dal letto, toccando il pavimento freddo, un brivido mi attraversò il corpo. Un profumino di caffè appena pronto dominava la piccola camera. Corsi in salotto per capire ed avere spiegazioni, aggiustando i miei capelli allo specchio con un'espressione preoccupata.

≪Ecco vedi noi..≫ Iniziò a parlare papà, colmando quei pochi minuti di silenzio interminabili.

≪Domani ci dobbiamo trasferire a Pomezia.≫ Concluse mia madre con decisione.

≪Lì ci aspetterà una nuova e bellissima casa, la tua stanza è già pronta, arredata. Semmai tutto ciò che ti servirà lo potremo ricomprare nuovamente.≫ Cercò di convincermi mio padre.

Per un attimo il mio cuore smise di battere, come se si fosse fermato, non riuscivo a credere a quelle parole. I battiti, soffocati, erano flebili e impercettibili. Non sentivo più niente intorno a me, solo silenzio. Tra poche ore avrei lasciato quella casa, la mia casa, dove ero cresciuta ed avevo affrontato paure e tanti ostacoli. Non volevo andarmene via, sparire dalla mia città, trasferirmi, cambiare casa, scuola, amici, rimanere sola, magari con il mio carattere non farò amicizia con nessuno e rimarrò in disparte, non volevo iniziare una nuova vita, ricominciare tutto da capo, ripartire da zero. In fondo i cambiamenti erano sempre i più difficili, perché bisognava abituarsi alle cose nuove, riuscire ad entrarci dentro, con tutta l'anima, o forse erano solo di passaggio come il momento dei capelli viola o quello dei tormentoni estivi. Ma quando un cambiamento diventava una parte integrante della tua vita, poteva essere definito quotidianità? Ancora non potevo pensare che tutto questo stava per finire. Tornai in camera mia sbattendo la porta, mi sedetti sul letto e guardai fuori dalla finestra con le mani impegnate a torturarsi a vicenda mentre osservavo indifferente i ragazzi che camminavano lungo il marciapiede. Continuai a guardarmi intorno, ogni oggetto mi ricordava un momento speciale. Volevo tenere tutte le mie piccole cose che avevo creato con il passare del tempo, vivendo ormai da tanto in questa casa. Mi ricordavano la mia vita. Magari una volta trasferita dovevo cambiare il mio stile, lasciare i miei soliti jeans a vita alta, i vestiti con i fiori colorati, oppure quei colori tenui? Con queste rose e margherite sembravo una bambina. Preferirei mantenere questi vestitini e magliette con colori accesi e fantasie floreali. Solitamente, quando ti devi trasferire in una nuova città sembrerà tutto fantastico, per una volta potrai cambiare completamente look, provare ad essere una persona totalmente diversa da ciò che sei realmente, potrai conoscere nuove persone che entreranno e faranno parte della tua nuova vita. Ma cosa potevi fare se eri una ragazza timida ed impacciata? Potevi semplicemente fare il minimo indispensabile: alzarti alla mattina, andare svogliatamente a scuola, non rivolgere la parola a nessuno, mangiare da sola e infine ritornare a casa, chiuderti nella tua nuova camera, il tuo nuovo regno. I giorni trascorreranno lentamente, tutti uguali, finché qualcosa non cambierà. E a quel punto cosa farò? Cambierò o rimarrò sempre la solita? Ognuno di noi reagirebbe in modo diverso. Mi risvegliai ancora con le lacrime agli occhi, debole, incredula di tutto, ascoltando una dolce voce sussurrare vicino al mio orecchio.

≪Elisabeth, ci dispiace per prima. Noi non volevamo dirtelo così in fretta, magari potevamo anticipare tutto ciò, raccontando tutto con calma.≫ Parlò mia madre dispiaciuta, trattenendosi le lacrime con un piccolo sospiro affannato.

≪Non volevo fare questa scenata, piangere interrottamente come una bambina, senza smettere nemmeno un secondo di versare una lacrima. Però, ora mamma non ci pensiamo più, vieni qui.≫ Dissi sorridendo, ancora con gli occhi rossi e gonfi.

Mi piaceva sentire il suo calore, il suo amore, mi sentivo protetta, al riparo. Afferrai il cellulare e mi trascinai svogliatamente verso il bagno, mentre i miei occhi si facevano sempre più pesanti. Mi sciacquai il viso con l'acqua gelida e mi buttai sotto la doccia fredda. Uscii con l'accappatoio e un asciugamano legato in testa, dirigendomi in camera mia. Aprii l'armadio, cercando qualcosa di decente da mettermi. Indossai una semplicissima maglietta grigia a mezze maniche e un pantaloncino di jeans strappato, il tutto abbinato con le mie inseparabili vans nere. Pettinai i miei lunghi capelli castani, per poi creare una sottile linea di eye-liner sui miei occhi marroni e finire con un po' di mascara. Ad un certo punto però mi fermai davanti allo specchio, rimasi ferma, immobile ad osservare la mia immagine riflessa pensando che da domani tutto sarebbe cambiato.

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Angolo autrice:
Cari lettori,
Ho finalmente deciso di aggiornare questa storia una volta per tutte. Il primo capitolo, lo ammetto, non è un granché, non ho esperienza, ma nonostante questo spero vi piaccia o vi incuriosisca un minimo. È la prima storia perciò non ho molta dimestichezza, ma intendo migliorare. Sono molto emozionata perché ci tengo davvero tanto a condividerla con qualcuno. Cosa ne pensate del personaggio di Elisabeth? Spero che vi abbia fatto sorgere un pizzico di curiosità. Aggiornerò gli altri capitoli molto presto. Se vi piace "Quando l'amore chiama" mettetela in biblioteca e riceverete gli aggiornamenti. Se vi è piaciuto cliccate la stellina, per me sarebbe molto importante.
/pianetadidelusioni

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