Capitolo 70 : Ride with Dixon
Non sono particolarmente pignola o fissata con certi aspetti, ma ci sono dettagli che non riesco a digerire. Fra questi, c'è una piccola e fastidiosa situazione che mi fa impazzire, che mi fa venir voglia di gridare e spaccare qualche testa : la luce di prima mattina, l'abbaglio appena apri gli occhi. I raggi bollenti e assassini che si insinuano oltre al vetro con la sola ed unica intenzione di raggiungerti nei sogni per strapparti da essi. Così mi ero svegliata, accecata da un sole opprimente. Disperata, lanciai il cuscino sulla finestra, come se potesse essermi d'aiuto.
-Svegliata di malumore?
La voce di Daryl mi giunse dalla cucina. Sospirai, affondando il volto in quel puzzolente divano, anche se adesso sapeva più di sesso che di muffa.
-Si è fatta mattina. - constatai in uno sbadiglio.
-Beh in realtà è mattina da qualche ora. - spiegò, indossando il gilet - Ma forse eri troppo occupata a contare gli orgasmi.
Mi alzai di scatto. Daryl solitamente non faceva battutine del genere. O forse ero stordita dalla stanchezza ed egli era semplicemente di buon umore. Difficile a dirsi.
-Daryl. - lo ammonii - Evita.
-Ti infastidisce? Tu puoi farmi monologhi sugli orgasmi ed io non posso parlarne?
-Ma cosa blateri? - stiracchiai le braccia - Dov'è il mio reggiseno?
L'oggetto in questione apparve penzolante davanti ai miei occhi, o meglio, ad uno di questi, dato che l'altro non aveva intenzione di alzare la palpebra, troppo infastidito dalla luce importunatrice. La mano di Daryl teneva sospeso il reggipetto, che dondolava lentamente fra due sue dita. Feci una smorfia, strappandoglielo di mano. Indossando le spalline però, rivolsi la schiena all'arciere.
-Ti dispiace?
Non si mosse subito, quasi stesse riflettendo sul da farsi. Ed io lo apprezzavo, credetemi. Insomma, Dixon si era concesso. Forse. Dico forse perché probabilmente ero stata io a concedermi, pur sapendo che fra noi l'unica cosa che potesse funzionare fosse soltanto qualche coito scarica tensione. Ma già il fatto che stesse immobile dietro a me, domandandosi se rispondermi male per liquidarmi o agganciarmi il reggiseno e via, insomma, era una conquista. Quasi mi spiaceva tornare ad Alexandria. Avevo come la sensazione che una volta chiusi i cancelli alle nostre spalle, tutte le solite pesanti stronzate sarebbero tornate a farci visita. Qua, invece, lontani fra i boschi, eravamo immuni. Immuni dalle responsabilità, dai ricordi. Credo fosse la notte di fuoco ad avermi messo certi pensieri in testa. Erano solo fantasie, dopotutto. Noi non avremmo mai potuto essere felici, c'era qualcosa che andava oltre a noi stessi, qualcosa che non potevamo controllare.
-Mh.
Di nuovo le sue mani sulla mia schiena. Chiusi gli occhi d'istinto, giusto per apprezzare e gustare quel tocco innocente. Mi sfiorò delicatamente, unendo i due lembi di stoffa semi pizzata. Al secondo tentativo riuscì ad incastrare entrambi i ganci. Ciò gli permise di allontanarsi all'istante da me. Tralasciai il gesto, anche se morivo dalla voglia di stuzzicarlo con qualche frase provocatoria. Meglio non rovinare la pace apparente. Indossai i jeans di fretta, dato che Daryl si era fiondato verso la moto senza aprir bocca, gli anfibi, allacciandoli alla rinfusa, e la canotta stropicciata. Anche se corti, legai i capelli con il polsino bordeaux ed uscii da quella casa dismessa con il mio solito zainetto, unico vero compagno di avventure. Mentre il motociclista controllava la funzione del veicolo, mi resi conto di aver un certo fastidio al basso ventre. L'operazione non era stata una passeggiata. Più passavano i giorni e più me ne rendevo conto. Stai a riposo, aveva detto Denise, non sforzarti. Se solo avesse saputo quale notte avevo appena passato, credo, mi voglio augurare, che me lo avrebbe concesso uno strappo. Il rombo del motore mi riportò alla realtà. Non appena fui in sella, Dixon diede gas senza indugio. Viaggiavamo in silenzio, accompagnati dall'asfalto e immancabilmente da qualche vagante, i quali non tardavano a fare capolino dal ciglio. Qualche albero aveva ancora le fronde coperte di pioggia, ma il sole già se ne stava occupando. Prevedevo un bel periodo di siccità.
-Non abbiamo provviste. Zero cibo. Una borraccia d'acqua per due. - illustrò, prendendo gli occhiali da sole dal taschino della camicia - Se facciamo una sola sosta di poco, forse riusciamo ad arrivare alla comunità prima che sia buio pesto.
-No problem, sono un asso nel trattenere la pipì.
Scosse la testa ignorandomi, cosa che fece tranquillamente per buona parte del viaggio. In fin dei conti, con Daryl non si può avere tutto. Non per chissà quale strano motivo, semplicemente perché egli non vuole dare tutto. Puoi prenderti qualcosa, un piccolo pezzo di Dixon alla volta, sperando che un giorno tu possa avere il puzzle completo, ma non puoi assolutamente cedere all'arroganza di averlo nella sua totalità. Ti lascia qualcosa di sè poco alla volta, in silenzio, in modo che tu non possa accorgertene. Ti regala qualche gesto, parola o confessione. Si apre, ma al tempo stesso forgia una barricata di filo spinato. E tu non puoi lamentarti, soltanto apprezzare. Non puoi prevedere niente, ma puoi continuare ad essere presente di fronte a quel muro. Tutto sommato, l'attesa non è fra le peggiori cose che possa capitarti. Perché, in un modo o nell'altro, lui c'è.
*
Qualche ora era già passata e le mie chiappe indolenzite non facevano altro che farmelo ricordare. La sella non era delle più comode. Sbuffando poggiai la fronte alla sua schiena, passandomi poi il palmo sulla pancia. Ora come ora il mio unico pensiero correva ad Alexandria e alla sua scorta immensa di farmaci. Se solo mi fossi ricordata di chiedere ad Aaron gli antidolorifici, se solo non lo avessi cacciato, a quest'ora non avrei avuto nessun tipo di malessere. Ad un tratto, percepii uno spasmo muscolare sotto al giubbotto alato. Daryl divenne rigido e il suo sguardo si fece serio. Tutto il corpo emanava negatività e tensione.
-Abbiamo compagnia. - sibilò, indicandomi lo specchietto.
Mi sporsi oltre alla sua spalla per avere una visione completa. Un'ombra in lontananza, la figura di un pick-up. Eppure il contorno non era lineare.
-Ma.. è corazzato?
Dei pali insanguinati erano conficcati nella carrozzeria. Affatto invitanti.
-Così pare. - un velo di preoccupazione si unì al suo tono di voce naturale.
-Beh, non è detto che ce l'abbiano con noi. - ipotizzai, più per cercare di non andare nel panico e pensare subito al peggio.
Daryl non rispose nemmeno, restando concentrato sull'immagine della vettura che si faceva sempre più grande. Non potevamo fare nulla se non sperare che ci ignorassero, data la disparità numerica. Sul retro, quattro uomini imbracciavano alcuni fucili d'assalto. Lo scenario era tutto fuorché positivo. E con la fortuna che solitamente ci snobbava, non avevamo neanche un briciolo di speranza. Quando ormai il furgoncino ci aveva quasi raggiunto, Daryl cambiò postura.
-Metti le mani sui miei fianchi. - ordinò, senza dare spiegazioni.
-Cosa hai in mente?
Temevo il peggio. L'arciere era praticamente convinto che la situazione avrebbe preso una terribile piega. Almeno sembrava avere un piano.
-Sh. - grugnì nervoso - Fallo e lentamente.
Obbedii, cingendogli la vita senza dare nell'occhio.
-Senza movimenti bruschi, adesso afferri il calcio della mia pistola e togli la sicura. - continuò, tenendo lo sguardo immobile sull'orizzonte - Preparati a fare fuoco, ma lasciala nella cinta per il momento.
Voleva che fossi pronta a sparare nel caso ce ne fosse stato bisogno. Egli, essendo alla guida, non poteva fare altro che garantirci la fuga. Non che la sua misera pistola contro le loro armi potesse fare chissà che cosa, ma almeno qualche colpo piazzato speravo di assestarlo. Il veicolo accelerò, spostandosi sulla corsia di sinistra fino ad affiancarci. Nessuno disse o fece qualcosa, ci limitammo ad osservarci finché non decisero probabilmente che non eravamo niente di interessante. La vettura aumentò la propria velocità, superandoci fino a svanire, mentre Daryl decelerò.
-Dici che siamo fuori pericolo? - domandai, pur restando aggrappata a quella maledetta pistola.
-Tutt'altro.
E, come al solito, egli aveva ragione. Quando giungemmo al capolinea della strada, più precisamente ad un incrocio a T, ciò che ci attendeva non ci stupì più del solito, sebbene ovviamente non ne fossimo entusiasti. Non appena la moto curvò a destra, notai il furgoncino fermo con il paraurti nella nostra direzione. Daryl non si fermò, anzi, con un colpo di gas fece slittare la motocicletta in una inversione ad U disperata. Gli uomini, d'altro canto, fecero immediatamente fuoco. Fu così che diventammo all'istante il topo e loro il gatto. L'inseguimento partì all'istante. Sfoderai la pistola, sparando più a casaccio che altro, dato che ero più impegnata a tenere bassa la testa. I proiettili volavano a noi intorno, come violenta pioggia orizzontale. Daryl controllava la guida in modo serpentino, non consentendo loro di averci nel mirino con facilità. Non facemmo comunque molta strada prima che iniziassimo a perdere terreno. Una pallottola si schiantò nel polpaccio dell'arciere, il quale grugnì prima di imprecare. Una seconda colpì il mio braccio, mentre una terza si insinuò nello pneumatico anteriore. Con la ruota che si sgonfiava, facendo diminuire l'aderenza all'asfalto, e i mitra puntati, non avevamo molto scampo. Presto, saremmo stati presi.
-Tieniti forte.
Furono queste le parole che udii prima di vedere lo scenario di sfondo cambiare completamente. In un nanosecondo, non eravamo più in strada, ma avanzavamo ad una velocità folle nella foresta. Daryl aveva agito prontamente. L'unica speranza che avevamo, era proprio questa. Ma fra rami, buche, sassi e terreno dissestato, la moto era tutta un tremito costante. Rimbalzavamo sulla sella come bambolotti a molla. Scansava gli alberi con un controllo maniacale, eppure non riuscivo a tenere gli occhi aperti. Non che avessi paura. Ormai questa emozione era diventata praticamente assente. In una situazione di pericolo, qualunque fosse, mai era presente la paura in sè, al massimo tensione. Mi ero abituata ad affrontare ciò che questo mondo ci offriva e, visto che pareva intenzionato a servirci solo morte e disperazione su un lucidissimo vassoio d'argento, non c'era spazio e tempo per offuscare l'autocontrollo con il panico. Le palpebre restavano abbassate solamente perché la visione di tronchi su tronchi non mi metteva proprio a mio agio, temevo che presto ci saremmo schiantati. Ma, a discapito di quanto immaginassi, non ci scontrammo contro un albero. Daryl non perse il controllo in una buca profonda ed improvvisa, o in una radice particolarmente spessa emersa. Fu un vagante a sbarrarci la strada, fu un vagante a sfracellarsi contro la moto, fu un vagante a farci cappottare. Il tutto, avvenne così velocemente che non mi resi conto di niente. Dopo qualche minuto di buio, di dolore alla testa, di orecchie bombardate da un fischio insistente, finalmente aprii gli occhi. La prima cosa che vidi furono le fronde, le foglie degli alberi mosse da un delicato venticello. Fu il cielo perfettamente azzurro in contrasto col verde della natura ciò che vidi come prima immagine. Dovevo aver sbattuto la testa molto forte, perché non riuscivo a sentire. Nessun suono, nessun rumore. Era tutto piatto. Il secondo dolore che avvertii, fu al ventre. La caduta non aveva sicuramente giovato all'operazione subita. Voltai la testa di lato, cercando di vedere Daryl nelle vicinanze. A sinistra nulla, ma a destra ecco che lo vidi. Ricoperto di terra e fango neri come le pece, l'arciere era già riuscito a mettersi seduto.
Un braccio, però, risultava sconnesso. Lussazione, non c'era dubbio. La testa omerale era fuoriuscita. Lo vidi parlare, le sue labbra si muovevano, ma nulla arrivava al timpano. Daryl si alzò, reggendosi il braccio destro, e mi venne incontro seppur barcollante. Disse qualcosa di nuovo, ma stavolta cercai di concentrarmi sul labiale.
-Kendra, riesci a sentirmi? Adesso cerco di liberarti.
Da cosa? Non capivo. Provai a muovermi, ma dalla vita in giù il mio corpo non rispondeva. Tentai di nuovo, finché Daryl non mi fece cenno di star ferma. Abbassai lo sguardo fino a quando le pupille non visualizzarono il profilo della moto. Ottimo, sempre meglio. Cercai di spingerla con le mani, ma questa non si mosse di uno sputo. Daryl afferrò il manubrio con la sinistra, ma per quanto tirasse, riusciva a sollevarla di poco. Si asciugò la fronte inveendo e poi si abbatté su un albero. Adagiò la spalla lussata al tronco, facendo dei respiri profondi, e poi diede la spinta, il colpo di reni. Fu il suo grido a restituirmi la lucidità, le redini di ciò che era avvenuto e di ciò che stava avvenendo.
-È rientrata in sede? - chiesi, vedendolo mugugnare col volto stampato sul fusto della quercia.
Rispose in un grugnito più grave del solito. Non ero tanto preoccupata delle gambe, anche se per il momento non avevo sensibilità di queste, era la testa a martellarmi di dolore. Temevo un trauma cranico. Sono effimeri, spesso letali, ed io non avevo certo intenzione di morire in un cazzo di spiazzo nel nulla come una cretina. Mentre Daryl tornava sulla moto, tastai la fronte. Appena percepii la pelle bagnata, sospirai scocciata. Le dita mi mostrarono una chiazza scarlatta, che quasi brillava alla luce del sole. Non vi nego la voglia di imprecare che mi assalì in quel preciso istante. Mai, dico mai, una volta che ci andasse bene. Daryl provò nuovamente ad alzarla, ma non appena sfruttò il braccio malandato, la presa fu mollata.
-Evita di usare il braccio destro. Rischi di farlo fuoriuscire di nuovo. - lo ammonii, riprovando ad alzare la motocicletta.
-Porca puttana. - ringhiò, lasciando la moto.
Mentre stavo per ribattere, per farlo calmare, mi accorsi che l'imprecazione non era rivolta a me, alla moto o alla condizione generale. All'improvviso, distinsi dei rantoli. Non uno, non due, ma diversi.
-Cazzo, cazzo. - borbottò, correndo ad imbracciare la balestra con la sinistra.
Un gruppo di vaganti era alle mie spalle ed io ero completamente impotente. Non riuscendo a vederli, pregavo almeno che non fossero in troppi. Probabilmente lo schianto li aveva attirati, o forse, il tizio che avevamo investito era un loro amichetto, un compagno del loro affamato gruppo. Due dardi furono scoccati e, a giudicare dal tonfo, fecero centro. Gli altri due non ebbero le stesso esito. Daryl si lanciò su di loro, brandendo la balestra come una mazza.
-Merda. - sussurrai.
Merda. Merda. Merda. Sentivo l'arma sbattere sulle loro membra, percepivo ossa spezzarsi e sostanza cerebrale affrescare gli alberi, oltre ovviamente al respiro ansimante dell'arciere. Pregavo, mi aggrappavo a tutti gli Dei creati, sperando che egli non venisse graffiato o morso. Fu allora, mentre ero occupata a temere per la sua incolumità, che udii un fruscio. Fu allora, che vidi un putrefatto strusciare da dietro un arbusto. Fu allora che scorsi alla mia sinistra un corpo putrido avanzare come un serpente nella mia direzione. Aventi le gambe mozzate, questo ammasso di carne consumata e maleodorante, sguisciava sul terreno con gli arti protesi per afferrarmi. Le fauci spalancate già pregustavano il mio corpo fresco, scattando come se masticassero già i miei fasci di muscoli e nervi. Più si avvicinava e più cresceva in me la consapevolezza che sarei morta, che al massimo sarei stata morsa e condannata. La scena prese a scorrere poi in modo così maledettamente lento da mandarmi in totale blackout. Chiamai Daryl, ci provai, ma dalla mia gola non uscì altro che un suono strozzato ed insulso. Vedendo inspiegabilmente a rallentatore, ebbi tutto il tempo di osservare il volto, un tempo umano, dell'essere che avrebbe pasteggiato di me. I capelli erano corti, scuri e aggrumati da qualcosa, sangue, pus o melma che fosse, davano l'idea che si trattasse di un uomo esile. Ma quegli zigomi pronunciati, in passato dovevano appartenere ad una bella donna. Fissavo quella bestia assaporarmi con quegli occhi opachi ed iniettati di sangue. Fissavo quella cosa, restando immobile. Tutto sommato, però, io non volevo morire così. Daryl si stava battendo, Daryl stava lottando per garantirci una speranza, mentre io mi stavo abbandonando alla sorte. Dovevo fare qualcosa a tutti i costi, pur non avendo mezzi a mia disposizione, avrei tentato il tutto per tutto. Ormai era così vicina che con un'ultima spinta avrebbe dilaniato il mio collo con i suoi artigli. Potevo solo bloccarla, tenerla lontana dalle parti vitali. E l'unica cosa con cui farlo, non era altro che la mia mano. Avrei dovuto sacrificare qualcosa per restare in vita. Dopotutto, per ottenere qualcosa è necessario dare in cambio qualcos'altro. Dovevo agire in fretta e soprattutto con intelligenza, cercando di limitare il danno al minimo. L' ipotesi era una e avrebbe dovuto funzionare, altrimenti, nel migliore dei casi, avrei detto addio al braccio. Appena mossi l'arto, tutto tornò a scorrere nella giusta velocità. Infilai l'anulare dritto nelle fauci del vaganti, permettendogli di azzannarmi. Non passarono molti secondi prima che le fauci si chiudessero intorno alla mia carne. Il dolore che ne derivò fu atroce. Percepii ogni singolo centimetro di pelle che mi veniva strappato, ogni millimetro di muscolo che veniva masticato. In un secondo momento, indice e pollice attraversarono i bulbi oculari, accecandola. Ora che avevo una buona presa, potevo sfruttarla come se avessi fra le mani una marcia palla da bowling. Feci scattare il braccio di lato, obbligando il suo cranio a sfracellarsi sul terreno. Una, due, tre volte. Continuai a farlo e a gridare a denti stretti finché fra le dita non mi rimase altro che schifosa ed insulsa poltiglia.
Angolo autrice
Giù di offese per aver troncato il capitolo a questo punto. Già sento che arrivano! 😂 In realtà in principio era esageratamente lungo, quindi ho tagliato e fatto qualche modifica. Cercate di vedere il lato positivo, avrete più aggiornamenti sulla Kendryl ahaha No davvero, fidatevi, ce ne sarà anche troppa forse.. nel bene e nel male.. morsicate a parte lol.
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