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Capitolo 51 : Bodyguard



Quella dannata sfera gialla in cielo seguiva ogni nostro passo, sforzo, azione, fregandosene della fatica duplicata a causa del proprio calore emesso. Le mie braccia si alzavano ed abbassavano a ritmo, ammorbidendo quelle lastre di metallo per poter ricavare poi dei percorsi, delle pareti che avrebbero deviato il cammino dei vaganti. Il martello faceva vibrare quel materiale quasi fosse burro. Se avessi avuto il martello di Thor a quest'ora avremmo già finito. Mi asciugai il sudore, poggiando la fronte al braccio e sospirando per la stanchezza. Eravamo praticamente quasi tutta la comunità a lavorare in questo angolo di mondo definito come cantiere di Alexandria. L'uomo esile ed insignificante che avevo maltrattato, si era rivelato un sostituto di Reg. Ci faceva da capocantiere, disponendo diversi progetti su di un tavolo. Osservavo quelle sue piccole mani, pensando a come tenevano la pistola stamani. Mi sfuggì una smorfia al solo ricordo. Forse avevo esagerato, tutto sommato adesso si era mostrato utile. Ripresi la mazza e continuai a batterla, rintronando quasi per ogni singolo colpo. Michonne era al mio fianco, concentrata più che mai su quell'aggeggio. Tara era seduta accanto ad un albero in compagnia della nostra cara infermiera, entrambe impegnate a sorseggiare una lattina d'aranciata. Conversavano come se fossero amiche da tempo, eppure riuscivo ad intravedere del tenero. Carl arrivò con la piccola fra le braccia, interrompendo la chiacchierata fra il padre, il progettista e Deanna. Erano troppo lontani per poter udire le loro parole, ma tutti sorrisero non appena scorsero il volto di Judith. Era come un concentrato antidepressivo. Spostai lo sguardo più a destra, cercando di ignorare il metallo a me di fronte, e notai Daryl privarsi della giacca di pelle e della camicetta di jeans, in modo tale da restare fasciato da un'aderente canotta nera. L'assenza di maniche metteva in mostra le sue braccia muscolose, sottolineando ogni sforzo fisico. Era grondante di sudore, eppure sembrava uno di quei modelli ricoperti d'olio per mettere in luce il corpo sotto i riflettori delle macchine fotografiche.

-Ti porto un secchio? – domandò samurai, obbligandomi a voltarmi verso di lei – Se avessi saputo che saresti venuta per sbavare, lo avrei portato. 

La incenerii con lo sguardo, tornando a faticare con il martello. Ridacchiò, lanciando un'occhiata a Daryl.

-Allora. – sussurrò a denti stretti – Vuoi spiegarmi cosa diavolo sta succedendo fra voi due?

Avrei tanto voluto saperlo anch'io.

-La tua interruzione non ha certo aiutato. – replicai – E sinceramente non ne ho proprio idea.

Sospirò, interrompendo l'azione per sorseggiare un poco d'acqua. Mi passò poi la bottiglietta, permettendomi di godere di quella fresca bevanda.

-Vi dovreste prendere una casa. – scherzò – O al massimo mettete un calzino alla porta d'ingresso la prossima volta.

Bevvi prima una grande quantità d'acqua.

-Stavamo soltanto parlando. – ribattei – Ma non siamo arrivati al dunque.

Le diedi la borraccia ed ella mi sorrise scuotendo la testa come se fosse divertita dalle ultime vicende avvenute fra me e l'arciere. Devo ammettere che fossimo peggio di una soap opera. Michonne tornò a lavorare, mentre io mi bloccai a fissare quell'ometto guardarsi intorno intimorito. Sembrava soddisfatto di come erano state organizzate le mansioni, ma al tempo stesso era preoccupato per l'indomani. Mi sentivo terribilmente in colpa per aver discusso duramente con quel tizio. Sentivo il bisogno di dovermi scusare. Feci cenno a Michonne che mi sarei allontanata un secondo e mi incamminai per raggiungerlo. Incrociai lo sguardo di Daryl, ma finsi di non accorgermene. Speravo soltanto che dopo questa occupazione, egli avrebbe finito il proprio discorso. Altrimenti mi sarei logorata in eterno. Superai Abraham, occupato a parlottare con Sasha, la quale mi sembrava stranamente di buon umore, e mi chiesi con quali parole mi sarei dovuta porre. Ero praticamente vicina all'uomo, quand'ecco che qualcuno mi afferrò il polso. Sbuffai scocciata, ancor prima di scrutare di chi si trattasse.

-Che intenzioni hai? – chiese nervoso Spencer.

Cercai di staccare la sua mano, ma egli non volle saperne. Aspettava prima una mia risposta.

-Solo farmi perdonare, parlarci.

-Ora non è il momento. – bisbigliò.

Ritrassi il braccio, sperando che egli lasciasse stare il polso, ma non funzionò.

-E mollami. – esclamai, pur mantenendo la voce bassa.

Non volevo attirare l'attenzione degli altri.

-Credi che ancora non ti conosca bene? – borbottò – Appena ti lascio vai comunque da Carter, ignorando ciò che ho detto.

Bene, ora sapevo il nome di quel disgraziato. Feci per ribattere, ma Daryl apparve alle spalle di Spencer, posizionandosi poi accanto a me. Il figlio di Deanna mollò immediatamente la presa, alzando gli occhi al cielo infastidito dalla presenza dell'arciere.

-C'è qualche problema? – domandò brusco Daryl.

-Cristo. – sogghignò Spencer – Sei la sua cazzo di ombra?  Manco te la scopassi.

Spencer mi guardò ridendo nervoso ed io abbassai lo sguardo. Inarcò allora le sopracciglia e scrutò le iridi dell'arciere che lo puntavano.

-Dio, non ci posso credere. – sghignazzò – Te la sei fatta!

Corrugai la fronte, sbuffando. Se la situazione andava avanti così, presto lo avrebbero scoperto tutti. Daryl piegò le labbra di lato, avvicinandosi alla faccia di Spencer con fare minaccioso. Provai a tirare il lembo della sua canottiera, tentando di farlo allontanare. Rick ci stava già guardando e non volevo che altre persone si accorgessero della nostra discussione, ma Daryl ovviamente non ubbidì.

-Non capisco perché hai questo cazzo di sorrisetto sul muso. – ringhiò – Dato che dovrai continuare a lavorare di mano.

Parlò, emulando il gesto della masturbazione. Tirai nuovamente la canotta di Daryl, spingendo maggiormente indietro, e stranamente mi seguì, pur continuando a fissare male il figlio di Deanna. Spencer serrò la mascella furioso, ma vedendo Rick con lo sguardo puntato su di sé, decise di lasciar perdere. Si diresse però verso Carter, in modo tale da non permettermi di porgergli le mie scuse.

-Odio quello stronzo. – borbottò l'arciere, scrocchiando le dita.

-Anch'io, ma stava solo..

-Non mi interessa. – rispose brusco, tornando alla propria posizione.

Lo guardai allontanarsi, chiedendomi da cosa era dovuto questo suo improvviso cambio di umore. Rimasi per qualche secondo imbambolata e confusa, poi raggiunsi Michonne per finire il mio lavoro. Passarono minuti, ore, e il cielo si oscurò in fretta ricordandoci di dover dar riposo alle membra. I pannelli erano stati costruiti, i percorsi già stabiliti, mancava soltanto l'installazione, ma ce ne saremmo occupati l'indomani mattina alle prime luci del giorno. Disponemmo i nuovi materiali all'interno di Alexandria, vicino ai cancelli, e ci apprestammo a tornare nelle rispettive case. Arrivai di fronte alla mia, ovvero quella del gruppo, ma il mio corpo si bloccò dinanzi a quei due gradini. Osservavo quella porta di legno, domandandomi come avrebbero reagito. Sapevo che Michonne non aveva problemi al riguardo, così come Abe, ma egli dormiva in quella accanto. Avrei dovuto affrontare Rick e forse anche Carl, dato che non avevo la minima idea di cosa pensasse al riguardo. Samurai e i figli dello sceriffo erano già dentro, mentre i due uomini mancavano ancora all'appello. Mi voltai per fissare la casa in fondo alla strada, quella di Philip. Non sapevo come comportarmi nei suoi confronti, come gestire la situazione. Sebbene provassi un istinto omicida al solo scorgere i lineamenti della sua figura, in cuor mio ero consapevole del fatto che non sarei riuscita ad ucciderlo finché non avessi debellato questo senso di gratitudine che ancora covavo nei suoi riguardi, nonostante il suo aiuto risalisse ormai quasi a secoli fa. Forse, sarei dovuta tornare da Phil. Non potevo ridurmi a chiedere a Rick ospitalità, dopo che mi aveva esplicitamente esclusa e avvertita sulla cattiveria del Governatore. Feci qualche passo verso quella dimora, camminando con le mani in tasca.

-Dove credi di andare? – ammonì Daryl, parandosi a me di fronte.

Inclinai la testa di lato e alcuni riccioli scivolarono sul viso.

-Non posso restare, dormire in questa casa. Rick è stato chiaro.

L'arciere aprì bocca per ribattere, ma un'altra voce si aggiunse.

-Kendra ha ragione. – disse lo sceriffo mentre ci scansava – Questa non è più casa sua.

Daryl allora cambiò soggetto, rifacendosela con l'ultima affermazione.

-Non dire stronzate. Questa è la sua casa, l'unica che può chiamare tale. – scandì.

Rick continuò a camminare, quasi non fosse affatto disturbato dalle sue parole. Posò una mano sul pomello, parlando senza guardarci.

-Lo era. – rievocò – Ma ha scelto lui a noi.

Una coltellata al petto avrebbe fatto meno male. Odiavo il suo costante rinfacciare. Per quanto mi sentissi in colpa però, era inutile stare a rinvangare e rinvangare continuamente la faccenda. Avremmo dovuto chiudere la questione, discutere e trovare una soluzione, perché ignorarci non aveva il benchè minimo senso.

-Non ho mai scelto lui a voi. – ribattei – Non sto dicendo di non aver sbagliato, ma pensavo che fosse ovvio il fatto che rischierei la vita pur di salvarvi, che non permetterei a nessuno, compreso il Governatore, di toccarvi.

Daryl mi guardava negli occhi, sebbene i miei fossero puntati su quelli dello sceriffo.

-Rick. – obiettò l'arciere – Noi siamo la sua casa. Ovunque noi saremo, ovunque noi finiremo, saremo sempre e comunque la sua casa.

Quelle parole mi infuocarono il petto, tanto che portai una mano all'altezza del seno, quasi avessi provato una fitta al cuore. Ma era una sensazione piacevole. Rick ci osservò senza ribattere. Daryl forse riusciva a percepire come mi sentissi, cosa provassi in quel momento, tanto che le sue dita sfiorarono le mie. Lo guardai e gli sorrisi. Le nostre mani si unirono.

-Se tanto ci tieni. – borbottò scocciato lo sceriffo – Va' con lei.

La presa si fece d'improvviso una stretta mortale. Daryl stava praticamente stritolando la mia mano dalla rabbia. Fece per abbaiare, ringhiare qualche cattiveria delle sue, ma Rick glielo impedì, precedendolo.

-Non voglio sentire altri stupidi discorsi. – gridò – Soprattutto da te, sei l'ultimo che dovrebbe farli.

Puntò il dito sull'arciere, guardandomi come se già godesse di quello che stava per dire.

-Il tuo caro bodyguard. – sfottè – E' stato l'unico ad urlarmi addosso la sera, a dirmi che se fosse stato lui il capo, ti avrebbe buttata fuori senza riguardi.

Il sangue si gelò. Liberai la mia mano, spezzando quell'innocente legame. Rick ci diede la buonanotte ed entrò in casa, sbattendo la porta. Mi discostai da Daryl, il quale si era improvvisamente ammutolito, e mi avviai verso la casa di Philip. Aveva davvero detto quelle cose? Il suo silenzio valeva più di mille parole. Avanzavo ed ogni passo era una sofferenza. Era come se stessi camminando su spilli o su frammenti di vetro tagliente. Mi sentivo completamente svuotata di tutto, pensieri ed emozioni. Daryl aveva lo strano potere di travolgermi come un uragano, una tempesta inaspettata e violenta, e al tempo stesso quello di calmarmi, di donarmi un sentimento paragonabile alla felicità. Se per un minuto era riuscito a scaldarmi il petto, ad accendere una fiaccola nell'oscurità risiedente in me, adesso l'aveva appena spenta. Devo dire che Rick sapeva essere un vero bastardo quando ci si metteva. Avevo trascorso tutta la giornata nella speranza che, una volta arrivata sera, io e quel dannato arciere avremmo chiarito, concluso la nostra piacevole chiacchierata mattutina interrotta. Tentai di aprire la porta, ma questa era chiusa a chiave. Bussai affranta, scorgendo Daryl entrare nella propria furiosamente. La porta oscillò e finalmente si aprì, mostrandomi un Philip ubriaco con in mano un bicchiere colmo di rhum. Faceva davvero di tutto per essere considerato un pirata. Mi osservò stupito e confuso.

-Guarda un po' chi è tornata da papino. – sbiascicò.

Lo spinsi, superando così l'ingresso e il soggiorno. Era un pezzo di merda da sobrio, figuriamoci da sbronzo. Non avevo la benchè minima intenzione di aprire una discussione anche con quest'ultimo, perciò mi diressi immediatamente verso le scale. Mi sarei fiondata in camera, evitando parole o gesti che avrebbero potuto comportare una vivida diatriba.

-Perché sei qui, eh? – urlò ai piedi dei gradini – Il fratellino di Merle ti ha trattato male?

Lo ignorai ed entrai in camera. Sentii i suoi passi nel corridoio. Chiusi a chiave la porta e mi allontanai da essa come se temessi che potesse sfondarla. Come immaginavo, iniziò a tirare pugni su quella liscia superficie, gridando.

-Ehi puttana! Sto parlando con te.

Indietreggiai fino a scontrarmi con il letto. Mi lasciai cadere a terra, poggiando la schiena al materasso e portando le mani alle orecchie, in modo tale da non udire più alcun suono. Le imprecazioni e le offese si fecero ovattate e poco udibili. Avevo dimenticato lo zaino di pelle nell'altra casa, altrimenti avrei aspettato qua a sedere con la pistola fra le mani puntata alla porta, avrei aspettato o desiderato che Phil la buttasse giù, che Phil entrasse e mi obbligasse a sparargli. Ero stanca di tutta questa merda. Forse, se Rick mi avesse davvero buttata fuori, forse sarebbe stata la cosa migliore. Avevo passato così tanto tempo a sopprimere la fobia di restare sola, che alla fine avevo praticamente fatto di tutto per ritrovarmici. Avevo così a cuore la loro compagnia, eppure l'avevo distrutta. Ovunque andassi, portavo solo caos. Non erano gli altri il problema, lo ero io. Feci scivolare la braccia lungo ai fianchi, permettendo così che quelle parole mi scalfissero. Me le meritavo, anzi, non erano abbastanza.

Angolo autrice
C'è poco da dire, la Kendryl che tanto desiderate va e viene 😂
Spencer è sempre in mezzo e Rick non si risparmia le canate.
Tornerà mai la pace ad Alexandria?
Comunque, grazie di cuore a tutti per i bellissimi commenti 💕

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