Capitolo 45 : Punizione
La stanza era debolmente illuminata da un fascio di luce che filtrava timido dalla finestra, quasi non avesse intenzione di turbare la quiete e il riposo dello sceriffo, ancora dormiente e ferito. Poggiai le stampelle alla parete, non volendo svegliarlo, e mi avvicinai al letto. Mi sedetti su una sedia di fronte. Notai sul comodino una serie di cerottini bianchi, i tipici cerotti stretti e corti per piccole lesioni. Qualcuno li aveva portati, ma non aveva avuto il tempo di medicarlo. Ne presi uno, sfogliandolo della carta plastificata, e lo adagiai su un taglio. Ripetetti l'azione per ogni impercettibile ferita che si era procurato. Lo guardai soddisfatta, era diventato un cerotto ambulante. Mi feci seria, non volevo che si svegliasse con me che ridevo. Si sarebbe incazzato più del necessario. Restai a braccia conserte fissando a tratti il soffitto e a tratti il suo bel faccino deturpato. Udii un rombo di motore. Mi affacciai in tempo alla finestra giusto per poter scorgere Daryl uscire in moto accompagnato da Aaron. Quello stronzo. Sbuffai, facendomi cadere all'indietro sulla sedia. Restai scomposta per una decina di minuti circa. Sarei potuta benissimo tornare a casa o farmi un giretto invece che attendere il risveglio di Rick, ma in realtà mi piaceva starmene in quella stanza semi buia e silenziosa. Me ne stavo lì a pensare, a riflettere come mio solito su ogni aspetto e particolare. L'immagine di Daryl mi invadeva spesso la mente, ma mi sforzavo di ignorarlo. Non capivo i suoi ultimi baci, il suo ultimo sorriso. Si stava prendendo gioco di me? Ero diventata una bambola antistress? O erano state le ultime effusioni, stile addio? Ogni volta che pensavo di essermi avvicinata all'arciere, di aver capito i suoi pensieri, le sue emozioni, puntualmente mi ritrovavo con niente in mano, come se testardamente provassi a rincorrere un fantasma. Stavolta mi sarei arresa, era impossibile comprenderlo. Rick assunse qualche smorfia ed aprì gli occhi, corrugando la fronte come se gli dolesse la testa.
-Stai bene? – domandai timidamente.
Le iridi azzurre puntarono immediatamente la mia figura. Riuscì a mettersi a sedere, seppur grugnendo.
-Sei l'ultima persona con cui vorrei parlare adesso. – biascicò, toccandosi la faccia – Chi cavolo mi ha messo tutti questi cerotti?
Feci spallucce, sospirando. Almeno non mi aveva tirato un pugno, per il momento.
-Boh, mi pare ci abbia pensato Daryl. – mentii.
Se ne uscì con un risolino nervoso.
-Gesù Cristo. – mugolò, continuando a toccarsi le bende – Credo di aver esagerato.
Serrai le labbra, lanciandogli un'occhiata affermativa. Guardò il mio braccio fasciato.
-Forse con Pete, sì. – ammise, ripensando alle minacce fatte anche agli abitanti – Ma con te e il Governatore, no.
Mi sporsi dalla sedia.
-Rick, so di aver sbagliato a portarlo, ma so anche di averci visto bene in lui, per quanto possa suonare strana la cosa.
Mi guardava a labbra semi aperte, quasi non volesse credere alle mie parole.
-Lui affidabile? – disse, sottolineando l'ultima parola. – Ti ha fatto il lavaggio del cervello o è ancora il tuo cazzo d'istinto?
Sollevai i palmi al cielo, atteggiandomi.
-Ha mai sbagliato? – risposi, riferendomi all'istinto tanto odiato.
Mosse la testa lateralmente, massaggiandosi l'attacco del naso con indice e pollice.
-Da quando in qua sei diventata una stronza presuntuosa?
-Da quando mi hai sparato. – risposi secca.
Mi guardò con un'espressione mista fra dispiacere e rabbia.
-Non stavo mirando a te. – concluse, senza chiedere perdono – A proposito, cosa ha detto Deanna?
-Stasera ci sarà una riunione, decideranno come provvedere al tuo casino. – esposi scocciata – Noi temiamo che possano espellerti.
Si alzò, camminando su e giù per la stanza. Aveva i nervi a fior di pelle.
-E Pete?
-E' stato allontanato da Jessie, contento?
Non mi rispose, avendo notato il mio tono sarcastico. Rimasi a sedere, evitando di guardarlo muoversi. Mi avrebbe fatto venire il mal di testa, sembrava uno di quegli animali impazziti agli zoo. Speravo si desse una calmata, ma non sembrava esserne intenzionato.
-Se fossi a capo di questo posto. – avvisò – Ti avrei buttata fuori.
Mi alzai, bloccando la sua marcia ipnotica.
-Suvvia, Rick. – ironizzai – Mi stai forse esiliando?
Mi fu addosso con una smorfia affatto simpatica. Strinse fra le dite la spallina destra della canotta, costringendomi a fissarlo negli occhi.
-Ti sto dicendo, che non ne ho il potere. – sibilò – Ma non voglio più vederti fra i piedi. Sta' lontano da me e i miei compagni. Non sei più la benvenuta.
Scacciai la sua mano, fissandolo con odio. Avrei voluto rispondere a tono, spiegarmi, farlo ragionare sulla situazione, ma il cervello era andato in tilt. Quelle parole mi avevano attraversato, pugnalato quasi fossi una bambola voodoo. Ciò che avevo sempre temuto era accaduto. Tornare ad essere sola. Mi ero fottuta con le mie stesse mani, non potevo incolpare nessun altro se non me stessa. Mi sarebbe piaciuto mostrarmi effettivamente dispiaciuta dell'ordine ricevuto, ma l'orgoglio era troppo, tanto che mi fece indossare una maschera di bronzo, apparendo in tal modo apatica e affatto toccata dalle sue parole.
-Sceriffo. – dissi, facendo l'inchino – E' stato un piacere.
Aggrottò le sopracciglia, sforzandosi di capire il mio atteggiamento. Rimase interdetto e non aggiunse altro. Presi le stampelle e mi gettai di corsa per le scale. Glenn comprese che qualcosa non era andato per il verso giusto e provò a fermarmi, ma lo scansai. Aprii la porta e prima di chiuderla, dissi loro addio. L'asiatico aprì bocca, ma non gli diedi il tempo di parlare, che ero già fuori in strada. Non camminavo a testa bassa, non mi mostravo affranta. Avanzavo come se non mi importasse, convincendomi che tutti loro non significavano nulla per me. Spencer mi vide da lontano, ma per mia fortuna non venne ad importunarmi. In un modo o nell'altro ero riuscita ad inimicarmi tutti. Ero una stupida, mi mancava soltanto la scritta sulla fronte. Mi diressi alla mia abitazione, superando Abe e Michonne che erano sempre in cucina. Mi domandarono com'era andata, ma non ricevettero risposta. Spalancai la porta di camera facendola sbattere rumorosamente. Udii alcuni passi per le scale. Sbuffai e mi apprestai a buttare nello zaino tutte i miei effetti personali. Abraham bussò allo stipite, essendo la camera aperta.
-A giudicare dalla fretta, direi che è andata male – suppose – Te ne esci di nuovo?
Agguantai il taccuino e qualche vestito casuale, gettando tutto alla rinfusa.
-No. – risposi sintetica – Cambio casa.
Chiusi lo zaino, mettendolo in spalla.
-Cosa significa? – borbottò confuso.
-Significa, e cito testuali parole, che non mi avrete più fra i piedi. – riferii – E significa anche che mi devi due sigari.
Inarcò le fiammeggianti sopracciglia, incredulo. Tornai in corridoio e scesi in soggiorno con lui al culo.
-Sarebbe a dire che ti ha messo in punizione? – esclamò quasi divertito.
Michonne mi lanciò un'occhiata bisognosa di spiegazioni.
-Ascoltate. – parlai ormai sul porticato – Rick mi ha gentilmente espulso dal gruppo, perciò tanti saluti.
Samurai chiuse il frigo di corsa e mi seguì fuori, sbraitando.
-E tu glielo hai lasciato fare? – domandò perplessa.
Inarcai le spalle.
-Sappiamo entrambe che ciò che dice lo sceriffo è legge.
Scosse la testa, imbronciandosi. Qualcosa mi diceva che ben presto Rick si sarebbe beccato una bella ramanzina, ma tutto sommato sapevo che anche Michonne la pensava allo stesso modo. Certo, non mi avrebbe esiliata, ma poco ci mancava.
-Quindi, adesso dove te ne vai? – chiese Abe, alla porta.
Diedi loro le spalle, camminando frettolosa in strada.
-E chi lo sa! Ci sarà una casa libera forse. Bye bye. – dissi, facendo loro il segno della pace.
Sebbene mi mostrassi sfacciata e tranquilla, morivo dentro. Non sapendo né cosa fare né dove andare, decisi di raggiungere la casa di Deanna in cerca di consigli. Magari mi avrebbe concesso una seconda abitazione o una camera in un'altra già occupata, mi sarei accontentata di qualsiasi sistemazione. Scorsi Rick parlare con Carol, o meglio, sussurrare quasi stessero pianificando qualcosa, ma li ignorai. Bussai alla porta e la leader apparve raggiante, come se non fosse successo niente. Mi tirò dentro. Philip era in piedi in corridoio, stanco ma stranamente contento.
-Cos'è quella faccia? – domandò preoccupato.
Ancora non mi capacitavo del fatto che fosse vivo.
-Hai già parlato con Rick? – chiese Deanna, senza aspettare che rispondessi alla precedente questione.
Mi indicò la sedia del tavolo da pranzo e ci accomodammo tutti e tre intorno a quello. Poggiai lo zaino a terra, vicino ai piedi.
-Sì, ci ho parlato e mi ha praticamente scacciata dal gruppo.
Philip piegò gli angoli della labbra in basso.
-Non so davvero cosa fare con lui. – parlò Deanna, tamburellando le dita sul tavolo – Sarà difficile convincere la gente a lasciarlo qui.
Phil non sembrava affatto preoccupato per la propria posizione, questo mi faceva pensare che la chiacchierata fra i due era andata a buon fine.
-E di lui, cosa mi dici? – interrogai, indicandolo.
Deanna abbozzò un sorriso.
-Abbiamo parlato tanto. – espose.
-Le ho detto tutto. – aggiunse il Governatore.
Lo guardai dubbiosa.
-Ogni singolo dettaglio?
Deanna annuì e Phil affermò.
-Tutto tutto? – insistetti.
Philip appoggiò le braccia alla superficie legnosa, sporgendosi in avanti pacatamente.
-Chiedile pure qualsiasi cosa, ti saprà rispondere.
Inspirai, arrendendomi ai fatti. Il posto che tanto mi era sembrato idilliaco stava cadendo a pezzi, come ogni cosa del resto, ma stavolta mi sentivo particolarmente responsabile.
-Quindi, cosa hai deciso? – le chiesi, guardando Phil.
-Beh. – sospirò, continuando a giocherellare con le dita sul tavolo – Diciamo che è in prova.
Mi sembrava ragionevole, sebbene fossi stupita. O lui era un bravo oratore, cosa che effettivamente era sempre stato, o lei aveva qualcosa in mente.
-Okay. – dissi, alzandomi – Avresti per caso un'altra sistemazione per me?
Mi sorrise e ci fece cenno di seguirla. Uscimmo in strada e passeggiammo senza dirci nulla. Philip si guardava attorno come un bambino, ma nei suoi occhi scorgevo un velo di malinconia. Forse, la comunità, gli ricordava quella che un tempo era stata la nostra casa : Woodbury. Passammo per la stessa strada in cui vi abitava il gruppo, gran parte del quale fissò la nostra sfilata. Non guardai nessuno, nemmeno di sfuggita. Arrivati in fondo alla via, Deanna indicò una casetta leggermente più piccola rispetto alle altre.
-La trovo perfetta per voi. – sentenziò, quasi fosse un agente immobiliare.
-Per voi? – ripetei allibita.
Philip ignorò la discussione che ebbi con la donna, limitandosi ad osservare la struttura perfettamente curata. Mi bloccai, quasi stessi provando le sue stesse emozioni. Egli, a quanto aveva detto, si era trovato solo a camminare e camminare senza meta. Boschi, vaganti, possibili persone pericolose, situazioni minacciose e quanto altro. In poche parole, era stato costretto a vivere l'incubo che ci accomunava contando solo su se stesso. Vita che avevo provato sulla mia stessa pelle. Lasciai perdere la discussione ed accettai di convivere con Phil. Dopotutto, non gli avrebbe fatto male un poco di compagnia, e così facendo avrei potuto tenerlo sempre d'occhio. Al primo movimento sospetto, l'avrei freddato. Salutai Deanna ed aprii la porta, ma Philip rimase ai gradini immobile. Tornai indietro e gli presi la mano, quasi fosse un anziano timoroso od un bambino stupito, e lo accompagnai dentro. Non sapeva dove guardare, tanto ai suoi occhi tutto sembrava perfetto. Ormai per me era diventata la normalità, ci avevo fatto inconsciamente l'abitudine, sebbene non avessi affatto dimenticato l'esterno.
-È passato così tanto tempo. – sussurrò, toccando ogni superficie.
-All'inizio è un uragano di emozioni. – ammisi, guardandolo.
In un certo senso mi divertiva scoprire un altro lato del suo carattere. Avevamo vissuto per più di un anno insieme, ma a Woodbury non era mai stato se stesso al cento per cento. Troppo occupato a portare avanti la baracca e a farsi trasportare dal ruolo di leader.
-Mi dispiace. – proferì d'un tratto – Di averti fatto separare dai tuoi amici.
-Lascia stare. Dopotutto ero sempre stata in più.
Si immobilizzò davanti allo specchio, squadrandosi sconvolto. Si toccava impercettibilmente il volto, quasi sperasse si trattasse di un miraggio. Lo affiancai. Riuscivo a percepire il dolore che provava, tanto da spezzarmi il cuore. Non capivo il motivo per cui fossi ancora così empatica nei suoi confronti, ma era come se quel sentimento di gratitudine non fosse mai svanito del tutto. Dopo quello che era successo alla prigione, lo avevo completamente maledetto, ma adesso che lo avevo vicino, mi faceva pena. Era una vittima, anch'egli era come tutti noi. Posai le mie mani sulle sue, facendole allontanare dal quel volto scarno.
-Va' pure a farti una doccia, cambiati, tagliati la barba. Qua c'è tutto quello che puoi immaginare. – cercai di metterlo a suo agio – Nel mentre magari ti preparo qualcosa da mangiare, che ne dici?
Si voltò, distogliendo lo sguardo dal mio riflesso e adagiandolo su di me.
-Kendra, ti giuro che mi farò perdonare.
Scossi la testa. Mi sarebbe stato impossibile perdonarlo per le sue vecchie e terrificanti azioni, ma gli avrei dato comunque una chance per farsi riscattare. Salì le scale lentamente e si diresse al bagno. Ricordai la mia prima doccia calda ad Alexandria. Una sensazione indescrivibile.
-Ti avverto. – esclamai, affinché potesse sentirmi – Giù le mani dalla camera più bella.
Lo sentii ridacchiare.
-Quella spetta a te, come sempre.
Sorrisi, felice che ricordasse quei piccoli dettagli passati. Udii la porta del bagno chiudersi a chiave e tornai seria. Ero indubbiamente bipolare. Stargli accanto mi comportava parecchio sforzo. Era come se la mano destra volesse ucciderlo e la sinistra sorreggerlo. La mia stessa personalità si era divisa in due parti, le quali non sembravano andare affatto d'accordo. Mi diressi ai fornelli, pensando al gruppo. Quelli avrebbero pranzato assieme ed io non ne avrei fatto parte. Non erano più la mia famiglia, ma soltanto colleghi d'avventura.
Angolo autrice
E insomma, Rick l'ha messa in punizione 🙈 Daryl se ne è uscito e Philip sarà il suo nuovo coinquilino.
Divertimento a più non posso 😂
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