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Capitolo 42 : Sete



La strada era bollente e il sole sembrava non essere intenzionato ad abbassare i gradi. Il respiro era corto, affannato. Ero debole, quasi mi si chiudevano gli occhi, ma non potevo mollare. Dovevo farlo non tanto per me stessa, quanto per lei, Cassie. La tenevo sulle spalle, reggendo le gambe che avevo intorno. Mi abbracciava, tenendo le mani vicino al collo. Avevo lasciato a mia sorella l'ultima bottiglia d'acqua. Avevo sete, una tremenda sete, ma non potevo essere io a finirla. Ne aveva più bisogno lei. Sentivo che sbuffava di tanto in tanto. Era stanca e affamata. Superai alcune macchine bloccate in mezzo alla strada. Feci scendere a terra Cassie, speranzosa che in qualche vettura potessimo trovare del cibo o qualcosa che almeno gli somigliasse. Strinse a sé il peluche.

-Resta qui. – intimai.

Afferrai il bowie e forzai una bauliera di un'auto sportiva. Notai una ghiacciaina. La aprii, ma vi trovai solo molte lattine di birra. Ne infilai comunque un paio nello zaino. Chiusi lo sportello e mi avvicinai ad una seconda, ma mi bloccai. Cassie era sparita.

-Cass, Cass. – chiamavo, cercando di non attirare i putridi – Perché diavolo non mi ascolti.

Imbracciai l'arco e continuai lungo la strada, sperando di trovarla dietro a qualche auto. Scorsi poco distante dei putrefatti muoversi verso la boscaglia. Non dirmi che sei entrata nel bosco, dannazione. Abbattei quelle tre carcasse scoccando delle frecce che recuperai. Mi diressi in quella direzione, scorgendo fra alcuni arbusti un piccolo store. Percepii alcuni suoni di latta, come se dei barattoli fossero caduti a terra. Sospirai e corsi dentro, sperando di non dover affrontare una delle mie fobie. Mirai una figura ed abbassai l'arco, avvicinandomi a questa. Le tirai uno scappellotto.

-Ahia! – brontolò – Guarda cos'ho trovato.

Mi mostrò un pacco di caramelle. Mi guardai attorno ed effettivamente il posto era ricco di cibo. Non era tantissimo, ma a noi sarebbe bastato. Le strappai il pacchetto dalle mani.

-Perché diavolo ti sei allontanata? – la ammonii – Vuoi capire che è pericoloso?

Quei suoi enormi occhi blu mi fulminarono.

-So cavarmela da sola, smettila di trattarmi come una bambina.

-Ma lo sei! Dannazione Cassie, mi preoccupo solo per te.

-Allora smettila di farlo e dammi una pistola. – si imbronciò, incrociando le braccia.

Sospirai, rendendole le caramelle.

-Va bene, va bene. – mi arresi, non avevo alcuna intenzione di sprecare energie a litigare – Non appena troviamo un posto sicuro, ti insegno a sparare.

Esultò, ma udii alcuni gorgogli provenire da una stanza sul retro. Le feci cenno di fare silenzio e di recuperare tutto il cibo che le sembrasse buono. Speravo che dietro la porta vi fossero strumenti o attrezzi che mi sarebbero potuti essere utili in futuro. Impugnai il bowie. Non appena avessi aperto la porta, i putridi mi sarebbero balzati addosso. Non avrei avuto quindi il tempo di mirare e scoccare frecce. Feci un sospiro ed afferrai la maniglia, abbassandola, ma un grido mi distrasse. Cassie? E i putridi furono su di me.



*


Balzai di soprassalto sul materasso, percependo un lamento. Daryl era ancora nel mio letto. Mi asciugai la fronte, privandola del sudore dovuto dall'incubo. Guardai d'istinto la fascia rossa, sospirando. Era mattina e il cielo era privo di nuvole. Le strade erano ancora vuote, forse era presto. Mi voltai per vedere l'ora, ma notai sul comodino un sacchetto trasparente con dentro dei biscotti, quelli di Carol. Bene, Rick era entrato in camera e mi aveva visto con l'arciere, ottimo insomma. Scansai Daryl, il quale sembrava non avere più la febbre, e raggiunsi il bagno cercando di non fare rumore. Mi sciacquai il volto con acqua gelida e mi lavai i denti di fretta. La coscia faceva malissimo, avevo bisogno di quelle pillole. Zoppicai in corridoio e recuperai le stampelle. La camera di Daryl era un vero disastro. Avrebbe dovuto faticare un po' per scrostare tutto quel vomito ormai secco. Aprii comunque la finestra, sperando che quell'odore svanisse. Feci le scale molto lentamente, evitando di inciampare e ruzzolare in soggiorno. Non appena fui in cucina, beccai Rick che si preparava un toast. Mi fece un cenno simile ad un saluto e contraccambiai, sedendomi al tavolo. Tirai fuori due pasticche dai contenitori arancioni.

-Grazie per i biscotti. – parlai, gettando in bocca le pillole.

Prese un bicchiere e vi versò dell'acqua, porgendomelo.

-Di niente. – afferrai l'oggetto – Pensavo di aver capito che fra te e Daryl non ci fosse niente.

Si voltò, dandomi la schiena, tornando ad occuparsi del suo panino. Bevvi due sorsi.

-Infatti è così. – replicai – Ma ieri è tornato a casa ubriaco fradicio.

Mi guardò con la coda dell'occhio, corrugando la fronte.

-Sai perché fa così? – chiese, preoccupato.

Sbuffai.

-No. Sinceramente pensavo che potessi dirmelo tu.

Inclinò la testa di lato e addentò il toast.

-Da quando siamo venuti qui, non abbiamo più parlato. Non so cosa gli passa per la testa, ultimamente si comporta in modo strano.

Si sedette al tavolo, guardandomi come se sperasse che sotto sotto ne sapessi il motivo. Non dissi altro, limitandomi a giocherellare col bicchiere di vetro.

-Dovrei chiedere a Carol la ricetta. – dissi, cambiando discorso.

Finì il toast e si alzò per lavarsi le mani. Feci lo stesso e posizionai il bicchiere ormai vuoto nel lavabo. Poi mi voltai, incamminandomi verso la porta. Volevo farmi un giretto, prendere dell'aria.

-Dove stai andando? – chiese con fare intimidatorio lo sceriffo, afferrandomi il polso.

-Fuori. – risposi, spezzando la morsa.

Mi guardò male, ma mi seguì in strada.

-Non allontanarti troppo. – parlò, andandosene nella direzione opposta.

Feci una smorfia e camminai un poco ad occhi chiusi, percependo il venticello fresco tipico della mattina. Arrivata al cancello principale, Spencer mi salutò felice di vedermi in piedi per la città. Mi fece segno che sarebbe tornato a trovarmi dopo il suo turno. Gli sorrisi e continuai a gironzolare per le strade, godendomi quella pace e il silenzio. Il sogno aveva portato a galla brutti ricordi. Rick come al suo solito mi aveva trattata con freddezza e Daryl, beh fortunatamente non avevo ancora avuto modo di parlarci. Ad un certo punto, sentii un fruscio. Notai in un angolo del perimetro un cespuglio vibrare. Non sembrava a causa del vento, era come se qualcosa gli fosse corso addosso. Mi avvicinai, notando dei rametti spezzati. Continuai a camminare, seguendo le alte mura, finché non mi trovai di fronte ad una ragazzina in procinto di scalarle. Si accorse di me e si bloccò a metà dell'azione.

-Cosa vuoi? – domandò scocciata.

-Assolutamente nulla, passavo di qua. – risposi come se niente fosse – Come ti chiami?

Sbuffò e continuò l'arrampicata.

-Enid. – rispose, una volta in cima – Ti sarei grata se tu non ne parlassi a giro.

Aveva un tono strafottente, ma data l'età della ragazza, era abbastanza comprensibile. Guardai la porzione di parete su cui si era aggrappata. Sembrava davvero fatta a posta per arrampicarsi. Un buon angolo lontano, nascosto da occhi indiscreti. Ottimo per le fughe di soppiatto. Feci retrofronte.

-Non ho visto niente. – dissi, andandomene.

Non mi preoccupava la sua incolumità, si vedeva che non era la prima volta che usciva. Sapeva come sopravvivere all'esterno e questo mi bastava per avere la coscienza a posto, anzi, le ero quasi grata. Mi aveva mostrato come uscire senza che nessuno se ne accorgesse. Erano giorni che desideravo tornarmene in natura, sfogarmi su qualche vagante. Avrei approfittato dell'ora, del fatto che tutti erano ancora a letto, e me la sarei svignata. Tornai a casa e salii senza fare rumore le scale. Entrai in camera e presi lo zainetto di pelle. Daryl dormiva con la testa sotto il cuscino.  Sorrisi, afferrai il sacchetto di biscotti, e chiusi la porta. Avevo bisogno di un'arma, di qualcosa che potessi usare per difendermi da vaganti o persone. Entrai sicura nella stanza dell'arciere, perlustrando ogni fottuto angolo della camera. Ero convinta che disponesse di qualche arma, dato che poteva uscirsene con Aaron ogni qualvolta che volesse. Avevo passato una settimana ferma in un letto, obbligata ad assumere medicinali, che spesso mi stordivano, su medicinali. Certo, era per il mio benessere, ma ero stanca. Stanca di non essere utile, stanca di non poter aiutare, stanca di non poter scontrarmi con qualche vagante. Era come se d'improvviso mi avessero privato di quello che era una volta la mia vita. In un certo senso, mi sentivo ingabbiata, controllata da tutti ventiquattrore su ventiquattro. Notai nell'angolo dietro la porta la balestra. Sebbene mi fosse passata l'idea di prenderla, sapevo che ciò avrebbe comportato l'ira funesta del proprietario. Abbandonai l'ipotesi ed alzai il materasso. Bingo. Una Smith & Wesson modello 629. Davvero niente male. Misi la fodera alla cintura, inserendovi l'arma. Scendendo in cucina, presi anche un bel coltello affilato e seghettato di circa venti centimetri. Tornai di fretta al punto in cui avevo incontrato Enid, passando per il retro della casa, in modo tale da evitare che Spencer mi potesse vedere. Una volta di fronte alla parete in laminato, sospirai, chiedendomi se fosse la cosa giusta da fare. Non lo era, ne ero ironicamente consapevole, eppure sentivo l'impellente bisogno di evadere. Nascosi le stampelle nella siepe ed iniziai ad arrampicarmi. Rimasi a cavalcioni in cima, osservando tutta Alexandria. Un vero angolo di paradiso, eppure avevo già un piede nell'inferno. Mi calai, gravando il peso sulla gamba sana. Afferrai le spalline dello zainetto e mi immersi nella natura. I vaganti isolati che incrociavo, in passato avrei preferito evitarli piuttosto che abbatterli, adesso invece volevo ucciderli, volevo vederli accasciarsi a terra. Non riuscivo a comprendere il motivo di tanta rabbia che in quel momento avevo in corpo, ma ad ogni putrido a cui sfondavo le cervella, un senso di liberazione mi appagava. Mi stavo sfamando della loro seconda morte. Non saprei dirvi per quante miglia camminai o quante teste sfracellai, ma ad un certo punto riemersi da quello stato furente e accecato, ritrovandomi a sedere su un grosso masso col fiatone. Chiusi gli occhi, sperando di avere un poco di sollievo, ma la gialla sfera in cielo continuò ad alzare la temperatura. Provavo le stesse sensazioni del sogno. Lo stesso caldo asfissiante, la stessa sete graffiante ed uno strano sentore, quasi fossi in pericolo. Eppure, la zona era calma e sicura. Silenziosa e priva di vaganti. Provai ad escludere il rumore delle fronde, il suono di un cinguettio lontano e il mio stesso respiro, percependo così un debole scroscio. Pareva provenire da ovest. Forse vi passava un fiumiciattolo. Mi asciugai la fronte speranzosa e feci qualche passo in quella direzione, ma mi resi ben presto conto che non avrei potuto fare molta strada in quello stato. La gamba cominciò ad avvertirmi dello sforzo con dolorose fitte. Guardandomi i pantaloni, ricordai le parole di Pete. Erano troppo stretti e la zona operata ne soffriva. Presi il coltello dallo zainetto ed iniziai a sfilacciare i blu jeans, riducendoli in shorts più o meno ben fatti. Almeno erano pari. Osservai lo scarto a terra. Fortuna che non sono quelli neri. Gettai ciò che restava nello zaino. Sarebbero potuti tornarmi utili. Se c'era una cosa che avevo imparato nel sopravvivere, era che qualsiasi tipo di materiale può essere importante, tutto poteva essere riciclato e trasformarsi in una risorsa necessaria. Camminai per quella che mi parve una mezzora circa, scoprendo con gioia un rivolo d'acqua fresca scorrere da una fonte incastonata fra le rocce, ai piedi di una montagna. Era pura, non infetta, dissetante. Mi bagnai collo e braccia, riempiendo fino all'orlo la borraccia. Poi, mi sdraiai, intenta a riposare fra quelle umide ciocche di erba.


*


La posizione del sole mi indicava di essere stata fuori per tre ore. Probabilmente il gruppo si era accorto della mia assenza. Sgranocchiai qualche biscotto. Potevo inventarmi di aver passato la mattinata in chiesa. Quello era l'unico luogo dove sicuramente non avrebbero mai controllato. Mi ero incamminata verso casa. Di tanto in tanto mi controllavo le gambe scoperte. I segni dei morsi erano praticamente svaniti, lasciando il palco ad alcuni lividi ancora belli brillanti. Se avessi continuato ad avanzare con questa velocità, secondo i miei calcoli approssimativi, sarei dovuta arrivare alla comunità precisa per l'ora di pranzo, sebbene avessi lo stomaco pieno delle delizie sfornate da Carol versione casalinga. Più proseguivo e più il sole si alzava in cielo, irradiandomi con quei suoi maledetti raggi incandescenti come lava. Di nuovo assetata, mi accucciai restando con le piante dei piedi completamente adagiate al terreno. Mi attaccai alla borraccia e, notando un anfibio slegato, riallacciai i lacci, stringendoli in un doppio nodo. I lunghi capelli ricci mi scivolarono sul viso, riducendomi la visuale. Nel mentre ero occupata in quella azione tanto comune, udii dei passi strascicati ma lenti. Sbuffai, scocciata, pronta ad afferrare il coltello quando il putrefatto si fosse fatto abbastanza vicino, ma non fu un vagante a farmi visita. Non appena i miei occhi inquadrarono un paio di scarpe marroni sfinite e caviglie umane affatto marce o maleodoranti, posai lentamente la mano sul calcio della pistola. Dall'ombra potetti notare che l'uomo in questione era disarmato.

-Ehi, signorina. – parlò, quasi fosse all'estremo delle forze – Avresti un po' d'acqua?

Non appena quella calda voce invase le mie orecchie, percepii il cuore raggelarsi e fermarsi.

-Sono giorni che cammino. Non ho cattive intenzioni. – aggiunse, avendo notato probabilmente l'arma.

Ignorava chi avesse dinanzi.

-E' la pura verità. – finì.

Non avevo dubbi, era lui. Il tono profondo, sebbene graffiato dalla gola secca, l'accento inglese. Mi alzai di scatto, puntando la pistola alla sua fronte, senza che egli potesse rendersene conto in tempo. L'iride del suo occhio azzurro si allargò e le sue labbra non mascherarono un sorriso. Era felice?



Angolo autrice
Sbam gente, eccovi il Governatore tornare sullo schermo. Cioè, sul libro digitale. Pensavo di aggiornare domani, ma visto che siamo arrivati a 6mila e dati tutti i vostri auguri, come potevo ignorarvi? Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento. Vi avverto, la mia fantasia non ha limiti. Ad Alexandria se ne vedranno delle belle ✌🏻️

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