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Capitolo 25 : Acacia



Dei cinguettii arricchirono quel luogo immerso nella natura, simulando una realtà calma e del tutto normale, come se l'epidemia fosse stata solo un brutto sogno. Pregavo a volte di svegliarmi nel mio letto, di apprendere che questo fosse solamente frutto di una fervida immaginazione notturna. Si sa, dopotutto, che il tempo assume altre forme nel sonno. Poteva essere un'ipotesi azzardata ed assurda, eppure ogni tanto mi ci cadeva il pensiero. La gamba sembrava essere in buono stato, anche Kioshi mi aveva esposto il problema del muscolo. Ancora però non mi aveva concesso di alzarmi, preferiva che la tenessi al riposo, almeno per un altro giorno. Speravo di riuscire a camminare decentemente in futuro, non mi importava se sforzarla avrebbe ridotto questa possibilità, non potevo permettermi di zoppicare e rallentare il gruppo. Inoltre, era un peso anche per la mia incolumità. Dopo quelle fantomatiche parole, Daryl se ne era uscito senza aggiungere altro, come se quello fosse stato uno sforzo disumano. Sasha, seppur non la conoscessi ancora, mi aveva portato dei pantaloni larghi di una tuta che avevano trovato in paese. Kioshi mi aveva concesso di indossarli. Mi era poi rimasta accanto, raccontandomi come avesse incontrato Glenn e gli altri nel cammino. Sembrava essere molto grata all'asiatico, a quanto pare l'aveva salvata da una brutta situazione nel bosco. Anch'ella aveva perso la famiglia, ma almeno le era rimasto il fratello. Sapevo bene cosa si provava, quasi tutti ormai lo sapevano. Restavano pochi casi, singole persone ancora baciate dalla fortuna, circondati dai familiari. Rick, ad esempio, aveva ancora con sé i suoi figli. Cosa rara. La ragazza aveva comunque un carattere forte, per quanto quei sorrisi fossero sforzati, ella ci stava provando. Stava andando avanti, e questo contava più di ogni altra cosa. Non si era persa d'animo. Non avevo ancora avuto modo di parlare con Tyreese, l'uomo che aveva aiutato Beth e la piccola per tutti questi giorni. Chissà quale sentimento di gratitudine provasse lo sceriffo nei suoi confronti. Gli altri nuovi membri, invece, erano partiti prima che potessi approfondire la loro conoscenza. Ma il fatto che Maggie e Glenn si fossero fidati, mi dava da pensare che in fondo fossero brave persone. Ero scettica su Eugene, sul loro piano. Preferivo non farmi strane illusioni. Cercai di sgranchirmi un poco, stare su quel letto stava cominciando ad essere irritante. Dal momento in cui mi trovavo sola, mi alzai per avvicinarmi ad uno specchio poggiato sul cassettone della parete di fronte. Zampettai sulla gamba sana, reggendomi ai mobili circostanti. La superficie vitrea era colma di polvere, perciò vi passai la manica della camicetta verde militare. Non appena mi fu possibile specchiarmi, rimasi inorridita dal mio corpo. Spalla fasciata, gamba andata, graffi e lividi sulle braccia. Non facevo in tempo a guarire da una ferita, che subito mi impegnavo per averne altre. Sull'addome erano presenti ancora dei vecchi ematomi. Sembravo un quadro di Pollock. Fortuna che la maggior parte di questi erano facilmente nascondibili. Anche i capelli morivano dal bisogno di essere lavati, ma date le circostanze, nessuno di noi era in vena di criticare i capelli altrui. Ero sicura che puzzassimo alla grande, ma ormai ci avevamo fatto così tanto l'abitudine, da non rendercene conto. La porta si spalancò e prima che potessi voltarmi, capii subito di esser stata beccata proprio dal dottorino, dato che partì una ramanzina lunga e fastidiosa sul benessere ecc. Alzai le mani in cielo, in segna di una tregua, ma egli continuò indicandomi il letto. Rassegnata, lo assecondai, tornando a sedere.

-Certo che vi siete proprio trovati! Non ce n'è uno che non sia un testone in questo gruppo. Mai una volta che qualcuno ascolta. No no, dovete sempre far di testa vostra. – borbottava.

Probabilmente aveva la luna storta.

-Chi ti ha risposto male stavolta? – domandai non guardandolo.

Kioshi si lanciò sull'angolo del letto, sdraiandosi ai piedi di questo con le gambe a penzoloni e le mani fra i capelli pece.

-Tu, tutti, nessuno. – ridacchiò sconfortato – Di là non fanno altro che discutere sul da farsi. Dove andare, con chi andare, partire, restare, aspettare. Credo sia una vostra abitudine, non è vero?

-Ne abbiamo, insomma, ne hanno passate molte. Non vogliono fare altri errori. – spiegai.

Sembrò capire.

-Ho detto a Rick che ti sentivi meglio, voleva parlarti. – mi informò – Lo chiamo?

Acconsentii ed egli abbandonò la stanza. Il gruppo faceva bene a scervellarsi sulle prossime azioni. Terminus era stato un terribile sbaglio. Diventava sempre più difficile restare ottimisti, ogni mossa poteva trasformarsi in una lama a doppio taglio. Ultimamente sembrava impossibile trovare una via di fuga, un luogo a noi adatto. Erano uniti fisicamente, ma divisi sulle scelte. Più teste, meno decisioni comuni. Anche se alla fine Rick avrebbe deciso per tutti. La fiducia non era andata perduta. Lo sceriffo si affacciò, mostrandomi ciò che teneva in braccio. Judith era bella come il sole. Si sedette accanto a me, coccolando quella creaturina. Forse ella riusciva a placargli l'animo.

-Come stai? – domandò, schiarendosi la voce – Kioshi mi ha detto che devi tenere la gamba a riposo ancora per un po'.

Gli occhi azzurri cielo della piccola si focalizzarono sui miei. Erano come quelli di Cassie.

-Sto bene, grazie. Mi piego, ma non mi spezzo. – risposi, facendo l'occhiolino.

Mi fece un mezzo sorriso e corrugò la fronte. Era pensieroso, qualcosa lo turbava.

-Qualcosa non va?

Accarezzò la minuscola mano della piccola.

-Non so cosa fare. – spiegò preoccupato – Non possiamo stare qua, questo è certo. Ma non posso nemmeno chiedere agli altri di buttarci a capofitto nell'ignoto. Ne siamo usciti per miracolo e non posso, non voglio metterli in pericolo di nuovo.

Capivo il suo stato d'animo. Tutto ricadeva sulle sue spalle, stava cominciando a sentirne il peso. Judith strinse il dito al padre.

-Ed ora che l'ho trovata, non voglio perderla. – concluse.

La piccola avrebbe frenato ogni sua decisione avventata. Rick sarebbe diventato più prudente. Meglio, dopotutto.

-Rick, quello che è successo non è colpa tua. Guardala da un altro punto di vista. Terminus ci ha concesso di riunirci. Se non fosse stato per quel mattatoio, a quest'ora stavamo ancora girovagando fra la boscaglia, chiedendoci se gli altri fossero vivi o meno. Siamo stati fortunati, forse hai ragione, è un miracolo. –  L'ipotesi del miracolo poteva essere azzeccata, dato il luogo in cui risedevamo – Ma non devi assolutamente colpevolizzarti. Logorarti così non porta a niente.

Mi guardò senza aggiungere altro, scrutandomi con quei suoi occhi cristallini. Judith non poteva essere di un altro, avevano le stesse iridi. Mi posò una mano sul ginocchio, ringraziandomi senza proferire parola. Quel contatto mi stupì. Solitamente non era affettuoso, ma la presenza di Judith probabilmente lo aveva addolcito.

-Quando ho visto Daryl corrermi incontro con te in braccio, ferita e sanguinate, ho temuto per il peggio. Kioshi è stato un altro miracolo.

Abbassai lo sguardo, fissando la sua mano rovinata dalla sopravvivenza forzata.

-Quella dell'armeria è una balla. Non voglio sapere, né mi importa il motivo per cui sei tornata indietro. Mi basta che tu prometta di non fare più una stupidaggine del genere.

Fu allora che strinse la presa, obbligandomi a guardarlo dritto in faccia.

-Hai fatto una cosa stupida. Spero che te ne sia resa conto, almeno. – illustrò serio – Kendra, promettimelo. Sono stanco di perdere persone. Non potrei sopportarlo.

Rimasi interdetta, impietrita dalle sue parole sofferte. Non mi aspettavo una confessione del genere, non mi aspettavo che Rick si sarebbe aperto con me un giorno. Invece era lì, bisognoso di una mia concessione positiva, di una promessa. Non mi capacitavo di ciò, il mio cervello prese a formulare tesi e teorie. Gli importava veramente di me? O si stava solo sfogando, pensando che uno dei suoi avrebbe potuto prendere il mio posto? Era possibile che egli avesse raffigurato la stessa scena con altri del gruppo, immaginandosi quanto ne avrebbe sofferto. Forse si sentiva in colpa per non essersi accorto del mio allontanamento. Forse mi stavo facendo solamente troppe paranoie. Magari ero solo io quella che ancora credeva di non far parte della famiglia.

-Io.. mi dispiace Rick. – sussurrai confusa – Te lo prometto.

Allentò la stretta, tornando ad essere pacato, come se le mie parole lo avessero tranquillizzato. Daryl entrò di corsa nella stanza, avendo forse qualcosa d'importante da riferire, ma appena vide la mano dello sceriffo su di me, si bloccò all'istante. Rick la ritrasse immediatamente e si alzò di scatto, aspettando di udire l'amico. L'arciere mi squadrò con quei suoi sottili occhi, nascosti dai capelli disordinati, e fece cenno a Rick di uscire.

-Abbiamo trovato tutto quello di cui avevamo bisogno giù in paese. – spiegò – Anche per la piccola spacca culi.

Rick mi salutò con un cenno e si apprestò a controllare i vari prodotti. Judith aveva bisogno di pannolini. Daryl, invece, restò immobile a fissarmi, come se fare ciò lo aiutasse a rispondere a qualche suo interrogativo. Poi, si mosse, posizionandosi di fronte a me. Sfilò qualcosa dalla tasca dei pantaloni e me lo porse.

-Ho fatto in modo che nessuno lo vedesse. – disse, mostrandomi il taccuino.

Avrei voluto ringraziarlo, ma d'istinto lo afferrai senza dire nulla, sfogliando le pagine per paura che si fosse rovinato. La carta aveva assorbito la melma, colorandosi di un marrone chiaro, quasi fossero macchie di caffè, ma le scritte erano visibili. Guardai quell'oggetto per cui avevo rischiato la vita, rendendomi conto di quanto fossi stata idiota. Il ricordo di Drake avrebbe sempre vissuto con me, poco importava se avessi dietro quel quadernino. Sospirai, stanca della mia irrazionalità passeggera. Poggiai quello al mio fianco e tornai ad osservare il volto dell'arciere, chiedendomi come avrei dovuto comportarmi ora che sapevo ciò che mi aveva sussurrato da svenuta. Non sono quello di cui hai bisogno. Quella frase mi rimbombava in mente. Cosa significava? Non mi sfiorò minimamente l'idea d'interessargli, ma era possibile che egli si fosse sentito in colpa.

-A che stai pensando? – chiese – Che sono uno stronzo?

Inarcai le sopracciglia.

-Ti risulta di esserlo stato?

Si poggiò con la schiena al mobile in legno, incrociando le braccia al petto.

-Forse. – sintetizzò.

-Mh, allora può darsi. – sbrigai.

Mi fulminò, ma divertito. Era felice di vedermi spiritosa, significava che stavo bene e che non ce l'avevo con lui, non più del solito almeno.

-So di essere stata stupida, perfino Rick me lo ha comunicato. – dissi – E ti ringrazio.

Mi guardò torvo, non comprendendo le mie intenzioni.

-Mi prendi in giro? – chiese borbottando – Non merito affatto un tuo grazie, anzi. Dovresti urlarmi contro, una volta tanto.

Feci forza sulla gamba buona e mi alzai, zoppicando verso di lui.

-Che stai facendo? – brontolò – Dovresti stare seduta, Kioshi ha detto che.. –

E lo abbracciai, adagiando delicatamente il mio volto al suo torace. Egli rimase distante in quel contatto, lasciando le braccia sospese in aria, come se non sapesse cosa fare. Né si mosse, né disse nulla.

-Non sei uno stronzo, Daryl Dixon. – bisbigliai – So che quello che fai, in fondo è per il mio bene. Forse ogni tanto sbagli i modi, ma è questo che ti caratterizza. Ed io, sento il dovere di ringraziarti. Anche se non ne capisci il motivo.

Ci fu un minuto abbondante di silenzio, d'imbarazzo. Pian piano mi resi conto di cosa avevo fatto, stupendomi di me stessa. Avevo agito d'istinto, senza ragionarci troppo su. Ne ero felice, sapevo di aver fatto la cosa giusta. Poi, d'un tratto, i suoi arti si posarono intorno alla mia schiena, rafforzando dolcemente quello scambio affettuoso e spontaneo. Mi parve insolito e strano non udire qualche battutina, qualche discorso che ironizzasse sulla situazione o che mi denigrasse per porre fine all'abbraccio, ma fu così.


*


Malgrado quanto avesse ordinato il nuovo dottorino privo di laurea, mi infilai un paio di jeans e raggiunsi gli altri, sparpagliati lungo le varie panchine. Sembravano molto stanchi e insicuri, indecisi su come muoversi l'indomani. Per me non avrebbe fatto alcuna differenza restare in chiesa, per il momento era sicura e poteva servirci per schiarire le idee, anche se all'apparenza sembrasse aver turbato maggiormente le loro menti. Non appena mi videro camminare, Kioshi scosse la testa rassegnato e finse di guardare altrove. Carl mi corse incontro con la piccola in braccio, sorridente più che mai.

-Allora ce la fai a stare in piedi. – osservò.

-Ovvio! – sottolineai – E' Kio che la fa più grossa di quanto sia in realtà.

Michonne sorrise, divertita dall'occhiataccia che Kioshi mi riservò. Carol mi fece l'occhiolino da lontano. A guardarla bene, notai che qualcosa in lei era cambiato. Mi parve più forte, più agguerrita di quanto non fosse alla prigione. Beth finì di legarsi i capelli in una coda e mi raggiunse radiosa.

-Sono felice di vederti. – le sorrisi.

-Sapevo che vi avrei ritrovato. Tyreese mi ha aiutato, è stato paziente a supportarmi. – spiegò, guardandolo con occhi dolci – Mi fa piacere vedere che stai bene.

Detto ciò, Ty si destò dai propri pensieri, richiamato dall'aver udito il proprio nome, e vedendomi, si avvicinò. Più si faceva vicino e più la sua figura si ingrossava. Un bestione.

-Non abbiamo avuto modo di presentarci. – parlò gentile.

-Colpa mia. – sorrisi – Io sono Kendra.

-Quella che si mette sempre nei casini. – esclamò Daryl, impegnato a scheggiare una panca.

Lo ignorammo. Ci stringemmo la mano, ma fu delicato, nonostante quelle dita massicce. Un gigante buono.

-Voi. – dissi, guardando anche Sasha – Eravate alla prigione quel giorno.

-Sì, il Governatore ci aveva accolti e reclutati per la missione, ma quando abbiamo capito che voleva compiere uno sterminio, ci siamo messi contro. – spiegò la sorella.

-E ti sei preso cura di Beth e della bambina, pur non conoscendole affatto. – conclusi.

Tyreese sgranò gli occhi.

-Come avrei potuto fare il contrario?

Sembrò stupito, ma non era una cosa spontanea. Insomma, non era da tutti agire così.

-Se solo tutti la pensassero in questo modo. – sostenni.

Baciati dalla fortuna. Ancora non me ne capacitavo. Riesaminando la cappella, notai che non vi era il parroco che ci aveva gentilmente ospitati. Vidi una seconda porta, dalle cui fessure filtrava un'ombra muoversi. Il tizio stava facendo avanti e indietro. Nervoso.

-Mr. 'questa è la casa del Signore, non voglio armi' è un po' su di giri. – parlò l'arciere, come se mi avesse letto nel pensiero – Non gli andiamo molto a genio.

Kioshi soffocò una risatina. Il giapponese era felice, mi faceva strano vederlo così. Avevo visto solo preoccupazione nel suo volto.

-Se sei stato l'ultimo a parlarci, è comprensibile. – risposi ironica.

Daryl affondò il pugnale nel legno ormai rovinato dal tempo e non mi diede soddisfazione. Lo sceriffo nascose un sorriso sotto la fitta barba e mi parlò, inclinando la testa come suo solito.

-A proposito, se volessi parlargli.. ci faresti un favore. – ammise.

-Io?! – esclamai, dubbiosa.

Michonne indicò la porta.

-Vedi, sei l'unica con cui non ha ancora avuto modo di confrontarsi. – espose la samurai – Noi ormai abbiamo già sbagliato l'approccio.

Beh, dopotutto era facile da immaginare. Si erano incontrati poco dopo l'uscita da Terminus. Non credo che fossero calmi e gentili in quel momento, né tantomeno non irritabili. Soprattutto alcuni soggetti.

-E cosa dovrei dirgli? – domandai incerta.

-Mh, tu prova a sembrare una credente che si fida ciecamente di noi. – consigliò Carl.

Feci spallucce, tanto valeva improvvisare e guardare come andava. Poggiai la mano sulla maniglia e mi voltai indietro, giusto per vedere Carol farmi il pollice in su. Bussai, pronunciando il suo nome, ed entrai lentamente, chiudendomi la porta alle spalle. Egli rimase a fissare l'esterno dalla finestra, con fare sospettoso. Indossava ancora gli indumenti da parroco. Era rimasto fedele al suo credo, nonostante la merda piovuta dal cielo. Ammirevole o stupido, dipende dai punti di vista.

-Padre Gabriel. – parlai dolce – Sono venuta a ringraziarla di persona per averci accolto, se non fosse stato per lei, probabilmente la mia ferita si sarebbe infettata.

Allora si voltò, mostrandomi i suoi lineamenti e gli occhi spauriti. Aveva paura. Non di noi, ma qualcosa lo turbava, e non poco. Mi fissò la gamba.

-Ho pregato affinchè il Signore non si dimenticasse di una sua pecorella ferita. Vedo con piacere che stai bene.

A dir la verità davo più merito al lavoro di Kioshi, ma dato le circostanze, non potevo mostrarmi in disaccordo.

-Beh, mi permetta di ringraziarla ancora allora.

La nebbia sfumò dalle sue pupille, tornando lucido e privo di paranoie. Mi sorrise. Forse ero davvero l'unica che si era posta gentilmente nei suoi confronti.

-Dammi pure del tu, siamo tutti fratelli e sorelle indistinti. – raccomandò – Conosci da molto queste persone?

Eccolo già giunto al nocciolo. Probabilmente gli ero sembrata diversa, meno pericolosa.

-E' brava gente. Non so cosa tu abbia visto, ma puoi fidarti. Pensa, che io ero un nemico per loro, eppure mi hanno accolta.

Sapeva che ero sincera, glielo si leggeva chiaramente dall'espressione, eppure non era ancora del tutto convinto. Forse, essendo egli esterno al gruppo, notava qualcosa che a noi ormai sfuggiva. Egli sembrava essersela passata bene, non aveva mai avuto la necessità di usare un'arma, di difendersi da putridi o da individui. Probabilmente vedeva in noi quella trasformazione a cui ci eravamo piegati per sopravvivere, forse eravamo diventati selvaggi, ottimi cacciatori. Cambiò atteggiamento, accortosi del fatto che lo stavo analizzando, fingendosi allegro e di buonumore.

-Bene, avevo bisogno di una conferma.

Guardai la bibbia posta su un tavolo, i vari ceri, ed il crocifisso sul muro.

-Kendra, ti affidi a Dio? – mi chiese, con fare interrogatorio.           

Non fui pronta a rispondere all'istante, in quanto quella domanda mi scaturì una serie di riflessioni sul tema posto. Non potevo negare di averci creduto in passato, o meglio, di non aver confutato l'ipotesi della sua esistenza. Mi ritenevo al di fuori di ciò, non mi premeva problematizzare sulla questione. Adesso, però, mi era impossibile pensare che potesse esservi qualcosa di superiore a cui andava a genio un'epidemia del genere.

-Sì. – affermai secca.

Sorrise, aggiustandosi il colletto. Mi chiesi come non facesse a morire di caldo con quegli abiti neri.

-A giudicare dall'esitazione nel rispondermi, presumo che tu abbia mentito.

Colpita ed affondata.

-Se non ti affidi al Signore, come fai a sopportare tutto questo? – interrogò.

In quel momento pensai alle persone che mi erano state accanto, che in un modo o nell'altro mi avevano aiutato ad andare avanti, o addirittura salvato da brutte situazioni. Come questo gruppo, ad esempio, a cui mi ero legata molto. Loro mi davano la forza di andare avanti. Ma non feci in tempo a rispondere, che egli parlò nuovamente.

-E non dirmi alla persone. – dichiarò – Ho saputo cosa fanno a Terminus.

Beh, messa così non aveva tutti i torti. Ma non era una regola generale, che si poteva applicare con leggerezza.

-Vi sono sempre le eccezioni. – sentenziai.

-E le eccezioni finiranno con lo sparire, sommerse dalle anime perdute.

Bene, non era un tipo ottimista. Gabriel stava cercando di farmi cambiare idea, di portarmi sulla retta via. Era dell'idea che le brave persone fossero destinare a soffrire, a morire. Spesso, purtroppo, si era rivelata un'ipotesi corretta.

-Un rischio che intendo correre. Padre, questa ormai è la realtà. La vita passata è solo un ricordo. Non abbiamo il tempo di pregare, di chiedere l'aiuto divino. Possiamo contare solo su noi stessi.

-Non c'è bisogno che tu mi renda partecipe del tuo pensiero, ho già capito la tua logica. – chiarì – Ma mi chiedo, in vero, se forse non stai cercando di convincere te stessa.

Scaltro, sapeva bene come rigirare i discorsi. Mi mandò in confusione.

-Stai insinuando che, sotto sotto, io sia credente?

-Se avessi ritenuto la mia supposizione un errore, l'avresti già smentita, invece di pormi una domanda.

Mi venne spontaneo sorridere. Era davvero bravo.

-Perché mi chiedi queste cose? – domandai – Cambierebbe qualcosa?

-Quando il ragazzo giapponese e quell'altro, il burbero, ti stavano pulendo l'escoriazioni sulle braccia, ho notato il polso, la cicatrice. Ho capito che hai vacillato, ma non sei andata fino in fondo. Perché? Mi sono chiesto se avessi mai preteso aiuto da Dio o se ti fossi mai accorta quanto in realtà Lui ti abbia accompagnato fin qua. Rick, il vostro capo, mi ha raccontato un paio di cose sul tuo conto. Pensi davvero sia solo fortuna?

Ridacchiai nervosa, spostandomi i ricci su una spalla. Il mio cervello andò in blackout. Non riuscivo a formulare una risposta adatta, qualcosa per chiudere immediatamente quel discorso. Come aveva osato a chiedere informazioni sul mio conto. E perché Rick me lo aveva taciuto? Mi aveva impietrita. La cicatrice. Chissà cosa gli aveva riferito lo sceriffo. Non volevo espormi.

-Scusami, non era mia intenzione essere invadente.

Abbandonai la stanza senza dire una parola, sconvolta dal suo discorso. Attraversai le panche in cerca di Rick, ignorando palesemente gli altri, i quali si domandarono cosa fosse successo. Probabilmente emanavo un nervosismo tale da elettrizzare l'aria. Spalancai il portone d'ingresso e scorsi lo sceriffo seduto sui gradini. Mi sedetti accanto, pronta ad esplodere. Ma quando l'impulso di sputargli addosso tutta la rabbia implose, ecco che vidi fra le sue braccia la piccola Judith dormire beatamente. Mi frenai, sospirando inquieta. Rick mi guardò interessato dal mio stato d'agitazione e bisbigliò, temendo di svegliare la creaturina.

-Non deve essere andata bene. – ipotizzò correttamente.

-Hai in mente anche il motivo? – risposi brusca.

Capì allora che il prete me ne aveva parlato. Forse non aveva pensato che sarebbe successo, dopotutto poteva tranquillamente tenerselo per sé.

-A proposito, Kendra.. – sussurrò – Non ho menzionato niente di personale. Sono rimasto vago. Lui mi ha parlato della cicatrice, non sapevo nemmeno della sua esistenza.

Mi ero dimenticata di quel particolare, di quel minuscolo errore. Dal momento che ne avevo parlato con Beth, Drake e Daryl, davo per scontato che tutti lo sapessero, come se mi fossi aperta col mondo.

-Permettimi di essere comunque arrabbiata.

Levò gli occhi al cielo in rassegna, era in torto.

-Te lo concedo. – ammise – Ho sbagliato a non parlartene. Che ne pensi di Gabriel?

-Non saprei, non mi piace molto quel tipo.

Già i preti mi andavano poco a genio, lui peggio. Un finto buono, ma finchè ci dava ospitalità, non potevamo certo sputare nel piatto. Rick sorrise guardando la piccola. Era curioso della mia opinione, ma se n'era già fatta una sua. Probabilmente concordante. Corrugò la fronte, dolorante.

-Ti va di prenderla un attimo? – propose – Cominciano a farmi male le braccia.

Mi discostai per ribattere, ma egli fu così veloce che mi ritrovai fra le mani quella bella addormentata. Non avevo la più pallida idea di come tenere una marmocchia. Mi limitai a fissarla, come se fare ciò mi potesse fornire un colpo di genio, un'illuminazione improvvisa. Lo sceriffo rise di me, sorpreso da quanto fossi impacciata.

-Eppure per voi donne dovrebbe essere naturale. – sghignazzò.

Lo incenerii con gli occhi e provai a cullare Judith, tuttavia egli posò le mani sulle mie braccia, mostrandomi i movimenti che avrei dovuto simulare. Pian piano il gesto divenne fluido, eliminando la goffaggine iniziale. Era la seconda volta che mi toccava. Appena si accorse che lo stavo osservando con serietà, si separò da me. Forse stavo esagerando, non era niente, eppure mi trasmetteva strane vibrazioni. Era diverso con me, non si era mai mostrato così affettuoso. Diedi la colpa alla piccola, era possibile che ella lo stesse influenzando, portando alla luce il suo lato tenero. Judith sembrava leggiadra come una piuma, invece era più pesante di quanto potessi immaginare. Tuttavia averla stretta a me, mi calmava, donandomi un senso di pace. Sarei stata ore in quella posizione.

-Come stai? – domandò.

-Bene, davvero. Non sento dolore grazie agli antidolorifici.

Fece scrocchiare le nocche, giocherellando nervosamente con le mani.

-No, dico sul serio. – insistette – Sicura di stare bene?

Mi agitai.

-Lo dici per via della cicatrice, non è così? Sto bene, dannazione Rick. Quel che è stato, è passato oramai.

Storse la bocca di lato, aggrottando la fronte.

-Sempre sulle difensive. – sottolineò – Non mi riferisco a quella. Dico in generale.

Non me la raccontava giusta, c'era qualcosa sotto.

-Perché me lo chiedi?

Sbuffò, iniziando a muovere compulsivamente la gamba sinistra.

-Perché io non sto bene. – disse bruscamente – Non sto bene per niente.

Strinsi a me la piccola, come se potesse rendersi conto che il padre fosse arrabbiato.

-Rick, spiegati.. – consigliai – Se può esserti d'aiuto parlarne.

Fissò un vagante impigliarsi in lontananza in una tagliola per orsi. Questo si accasciò al suolo, lamentandosi sebbene non provasse dolore. I soliti lamenti gutturali.

-Non mi do pace. – chiarì – Sapere che quei bastardi possono essere ancora vivi, mi fa impazzire.

Pensai a cosa avrei potuto dirgli, ma non vi erano frasi che potessero alleviare quel senso di vendetta ed odio. Lo capivo, fin troppo forse. Anch'io avrei desiderato tornare indietro e far piazza pulita. Scappare, aveva permesso loro di poter continuare con la farsa del rifugio per tutti. Ma non avevamo potuto agire diversamente.

-So bene cosa provi. – ammisi sincera – Fosse per me, avrei piantato loro un'accetta nel cranio senza batter ciglio. Uno ad uno, senza eccezioni.

Mi scrutò colto alla sprovvista, non si aspettava tale rivelazione.

-Un'altra persona qualsiasi mi avrebbe detto di accantonare l'odio, di guardare avanti, perché anche se mostri, quegli individui laggiù erano comunque persone, vite umane.

-Si da il caso che tu l'abbia chiesto a me, forse perché sapevi che non ti avrei dato quella banale risposta. Sbaglio?

Fece spallucce, comunque contento di apprendere di non essere l'unico pazzo.

-Avranno ciò che si meritano.

-Un giorno. – aggiunsi.

Sembrò più tranquillo, come se si fosse liberato di un peso. La sua gamba smise di muoversi freneticamente e i muscoli si rilassarono.

-Kendra.. – parlò – Ti chiedo scusa.

Spalancai gli occhi, sorridendo. Cos'aveva fatto adesso?

-Per quale assurdo motivo? – chiesi curiosa.

Si voltò, limitandosi a fissarmi negli occhi per qualche secondo, come se non avesse il coraggio di dirmi qualcosa. D'un tratto percepii il sangue raggelarsi. Non volevo crederci. Rimasi ferma nella mia posizione, come se mi fossi cementificata. Non avevo il coraggio di muovere un dito. Il suo volto si avvicinò lentamente al mio, fin tanto che potetti avvertire la sua barba ruvida sul mento. Le sue labbra carnose premettero quasi sulle mie, sfiorandole delicatamente con incertezza. Vedevo la scena a rallentatore, come se non potessi sottrarmi da quello che stava avvenendo. Poi, senza nemmeno rendermene conto, la mia bocca si spalancò, permettendo alle nostre lingue di abbracciarsi e gustarsi.

Angolo autrice
Ho assegnato al capitolo il titolo "Acacia" , poichè il significato di tale fiore è : amore segreto.

Ora nasce il KENDICK? oddio, come nome ship è ai limiti della decenza 😂😂
Forse KENDRICK è meglio!

Comunque in questi giorni sto pregando che l'AMC non abbia seguito il fumetto. Glenn è un personaggio fantastico, l'unico sempre calmo e riflessivo che è rimasto.

#prayforglenn

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