Capitolo 23 : Non si torna indietro
Il sole scaldava terribilmente la gabbia di lamiera in cui eravamo rinchiusi, facendoci cuocere lentamente. Sebbene avessi ancora qualche linea di febbre, avvertivo comunque l'aria rarefatta e sempre più afosa. Alternavo brividi a gocce di sudore sulla fronte, costringendomi a scoprirmi e a ricoprirmi ogni poco. Sembravo non aver pace. Abraham stava raccontando al gruppo la loro storia, la loro missione. Washington, una speranza. A dirla tutta mi pareva una cazzata, il piano era troppo semplice. Probabilmente non ero dell'umore adatto per credere a quella notizia, ma mi sembrava troppo facile come soluzione definitiva all'epidemia. Oltretutto, Eugene non mi dava molta affabilità. Non saprei dire se fosse per il suo modo di essere, di parlare, di muoversi o se fosse per la faccia affatto furba. Era un tipo, beh, diciamo particolare. Ma come diceva Rosita, i geni sono i più strambi, e in un certo senso aveva una logica.
-Sei troppo sicuro di te. – osservai – Qualcosa non mi convince.
Lo scienziato mi guardò stranito, non sapendo come ribattere su due piedi. Un'espressione tonta.
-Credi che rischierei la mia vita per una missione insensata? – brontolò il rosso.
-Dico solo che non ci state dicendo tutto. In cosa consiste la soluzione?
I tre si guardarono, prima di tornare a scrutare noi.
-E' top secret. – sentenziò Eugene.
Sorrisi incredula. Non potevano sbatterci in faccia una possibilità e poi non fornirci maggiori dettagli.
-Balle! – sputò Daryl.
Abraham sembrò adirarsi, ma Rosita lo trattenne per un braccio. Capii che era un tipo rabbioso, parecchio suscettibile ed incline all'ira. Avremmo dovuto prestare attenzione.
-Non è affatto necessario che lui vi sveli la missione. Più cose vengono dette e più domande sono poste. La questione è semplice, verrete o no a Washington? – dichiarò il sergente.
Rosita cercò di sfidarmi con lo sguardo, sperando che la mia curiosità mi spingesse a volerli affiancare. Lo sceriffo, nel mentre stava separando un pezzo affilato di legno da una trave con una catenella. Piegò la testa, azione che significava una riflessione spinosa e affatto superficiale. In quanto capo, la sua decisione avrebbe influenzato le sorti del gruppo. Ma la questione venne rimandata, quando udimmo alcuni uomini di Terminus avvicinarsi al vagone. Ci affrettammo ad armarci e a prendere posizione. L'adrenalina era alla stelle, compresa un'ansia incalcolabile, almeno per la sottoscritta. Daryl scrutò l'esterno da una fessura.
-Bene. – parlò – Stanno venendo qui quattro bastardi.
-Sapete cosa fare. – ricordò lo sceriffo – Puntate prima agli occhi, poi alla gola.
Per una manciata di secondi, trattenni il fiato, come per prendere coraggio. Aspettavo di veder scorrere il portellone, di essere abbagliata dalla luce del giorno, ma quello che si aprì, non fu la nostra tanto cara e desiderata porta principale, ma uno sportellino sopra le nostre teste. Una granata lacrimogena cadde ai nostri piedi. Subito, ci lanciammo agli estremi della carrozza, ma questo non bastò ad evitarla. Iniziai a tossire come una dannata e così gli altri. Affondai il volto nel lembo della canottiera, cercando di limitare la respirazione di quel gas. Era comunque troppo tardi, gli occhi mi bruciavano mostruosamente. Il fumo bianco si estese fitto come un banco di nebbia, rendendo impossibile la vista. Il portellone fu aperto di colpo e qualcuno mi aggrappò. Tentai inutilmente di divincolarmi, ma fui gettata a terra con rabbia, ed una seconda persona mi legò mani e piedi con delle fascette. Inoltre fui imbavagliata. Recuperai pian piano il campo visivo. Vedevo il pavimento muoversi sotto di me ed un rumore simile ad una sega elettrica mi riempì le orecchie. Non prometteva bene. Quando mi alzarono la testa e fui adagiata ad una vasca, simile ad una mangiatoia d'acciaio, potetti finalmente notare chi avevo al mio fianco. Ero l'ultima della fila. Accanto vi era Rick, seguito da Daryl e Glenn, e poi da altre persone a me sconosciute, altre persone dal destino comune. La testa mi girava vorticosamente, tutto quel trambusto non aveva giovato al mio stato influenzale, ma mi concentrai per rimanere lucida. Dovevo avere la situazione sottocontrollo, non potevo permettermi di tralasciare qualche particolare, qualche via d'uscita. Nell'angolo dell'edificio, due uomini vestiti da macellaio, adoperati quindi di un grembiule plastificato, stavano smembrato un corpo. Distolsi immediatamente lo sguardo. Non appena gli addetti al nostro trasporto si furono congedati, i due carnefici si adoperarono rispettivamente di una mazza da baseball e un coltellaccio.
-Iniziamo. – disse uno.
Si posizionarono in cima alla mangiatoia, alle spalle delle vittime. Il primo colpì alla nuca il malcapitato ed il secondo lo sgozzò con un taglio preciso. Il sangue sfociò copioso nella vasca, quasi fosse una sorgente. Avevano intenzione di sgozzarci come maiali. Ma che senso poteva avere? Guardai nuovamente il corpo ben diviso in parti su quel lettino da obitorio. Ed allora compresi, non ci stavano dissanguando come maiali, noi eravamo maiali. Noi eravamo la carne da macello, noi eravamo il loro cibo. Lo stesso cibo che il giorno prima ci avevano offerto. Un conato di vomito mi salì in gola, ma fortunatamente riuscii a trattenerlo. Altrimenti sarei soffocata nel mio stesso rigurgito, avendo la bocca occlusa dallo straccio. L'azione continuò ed altre tre persone furono uccise. Il prossimo era Glenn. Non c'era tempo da perdere, dovevamo pensare a qualcosa. Interrogai Rick con lo sguardo ed egli puntò gli occhi sulle sue gambe. Controllai in basso e vidi che stava cercando di estrarre qualcosa dagli stivali. Ottimo. Avrei improvvisato, qualcosa per distrarre l'attenzione. Non dovevano accorgersi di Rick.
-Ehi ragazzi. – chiamò Gareth, entrando in scena all'improvviso – Quanti proiettili avete usato?
-Trentotto. – rispose secco il battitore.
Ed il bastardo segnò l'annotazione su un quadernino.
-E tu quanti? – chiese allo sgozzino.
Questo titubò un poco, prima di rispondere.
-Merda amico, mi dispiace. Era la mia prima ronda.
Gareth storse la bocca.
-Finito qui, torna alla tua postazione e conta i bossoli.
Il capo fece qualche passo avanti, avvicinandosi. Dovevo distrarlo a tutti i costi. Iniziai a mugolare, chiedendo di essere ascoltata. Daryl tentò di rimproverarmi con gli occhi.
-Quattro dalla A e quattro dalla B? – domandò Gareth, ignorandomi.
Dopo la risposta positiva, insistetti, finchè egli non mi liberò le labbra, ormai scocciato.
-Che c'è? – domandò passivo.
-Non fatelo. – suggerii, dicendo le prime cose che mi venivano in mente – Possiamo rimediare.
-No. Non potete.
Pensai ad Abraham, ad Eugene.
-C'è una soluzione. – dichiarai – Possiamo porre fine a tutto questo. L'intera epidemia debellata. Se ci lasci andare, andremo a Washington. Abbiamo uno scienziato nel nostro gruppo, sa come risolvere tutto questa merda. Tutto tornerà come prima.
Ridacchiò, mostrandomi un sorrisino amaro.
-Non si torna indietro. – rispose.
Posizionò nuovamente lo straccio sulla mia bocca, ma sciolse quello dello sceriffo.
-Siete entrati nel bosco con un borsone e ne siete usciti senza. – chiarì Gareth – Cosa c'è dentro?
Rick non rispose, limitandosi a fissarlo con odio e disprezzo. Il bastardo non fece questioni, estrasse un pugnale e lo avvicinò al mio occhio.
-Armi. – non esitò – Una magnum, Ak – 47 , armi semiautomatiche, arco di precisione.. ed un machete dall'impugnatura rossa. Quello che userò per ucciderti.
Gareth scosse la testa, quasi per farci intendere quanto fossimo ingenui. Era sicuro che saremmo morti, che non avremmo potuto liberarci, eppure il destino parve essere per una seconda volta dalla nostra parte. Il pavimento vibrò. Alcuni spari echeggiarono in lontananza. Il capo abbandonò immediatamente il mattatoio ed uscì in strada. Un'esplosione. Qualcuno stava attaccando il rifugio. Era la nostra occasione. I due macellai corsero ad osservare dalle finestre cosa stesse avvenendo. Scorsi del denso fumo nero scorrere nell'aria. Rick si mosse lentamente, acquattandosi alle loro spalle. Pugnalò il primo ad un ginocchio, obbligandolo a cadere all'indietro. Così gli trafisse il cranio. Prima che il secondo sparasse allo sceriffo, Glenn aveva già impugnato l'arma della vittima, e colpì lo stronzo con la mazza. Un colpo preciso, tanto da lasciarlo steso a terra esamine. Gli spari aumentarono. Rick prese il coltellaccio e ci liberò dalle fasce.
-Cosa cazzo fanno in questo dannato posto? – domandò Daryl inorridito.
Glenn cercò di calmarsi, avendo sfiorato la morte, e borbottò qualcosa indicando il cadavere smembrato.
-Quell'uomo a pezzi.. prima dissanguano, poi smembrano .. ma non ha senso, non possono usarli per cibare i vaganti.. non credo che piacciamo senza sangue. – poi si voltò a guardarci, sbiancando in volto, come se avesse compreso l'orrida realtà.
Mi avvicinai al tavolo operatorio e ne rubai un'accetta.
-Le vittime non sono cibo per i putrefatti, ma sono le loro scorte. Noi siamo il cibo. Non attirano i sopravvissuti per derubarli, ma per avere la dispensa piena. – illustrai con una certa freddezza.
Rick si guardò intorno, quasi non volesse credere a quel dato di fatto, e si avvicinò ad una porta. Uscimmo dalla stanza ed attraversammo altri locali, adibiti proprio a quello che avevo intuito. Delle carcasse erano appese ad alcune catene, come carne da macello messa ad essiccare. Glenn continuava a non volerci credere. Era impensabile immaginare un luogo del genere. Come potevano essersi ridotti a tanto? Si cibavano di persone, semplici persone, alleandosi in questo modo coi putridi. Non vi era alcuna differenza. Si erano trasformati in cannibali.
-Non è possibile.. tutte queste carcasse.. cazzo. – commentò Daryl.
Rick osservò tutto quell'ammasso di carne, assumendo un'espressione da folle. Il suo corpo fremeva dalla voglia di compiere una strage, di vendicare tutte quelle persone. Non avrebbe mai permesso che qualcuno di loro sopravvivesse. Delle grida risuonarono nella strada. Dovevamo sbrigarci, liberare i nostri compagni e fuggire seduta stante. Una volta fuori dall'edificio, ci sporgemmo per osservare il caos che si presentò ai nostri occhi. L'aria era calda, pregna di fumo, tanto che mi irritava la gola. Delle altissime fiamme si liberavano in cielo ed un'orda di vaganti aveva invaso Terminus. I cannibali si erano sparsi per il rifugio, armati fino ai denti, sperando di contenere l'intero attacco. Una cisterna di gas era esplosa, frantumando completamente la recinzione principale. Qualcuno li stava sabotando. Non appena un uomo apparve di fronte a noi, Daryl gli assestò un pugno nel muso, prima che questo potesse reagire. Lo sceriffo e l'arciere si armarono di un AK – 47 e di una pistola. Ci muovemmo a quadrato, posizionandoci ai vertici. In testa vi erano Rick e Daryl, equipaggiati da armi da fuoco, pronti ad abbattere qualsiasi cannibale, mentre io e Glenn sfoltivamo gli zombie che arrancavano nella nostra direzione. Alcuni di questi, nonostante fossero carbonizzati, continuavano ad avanzare affamati.
-Questi bastardi non mollano mai! – esclamò l'asiatico, spaccando il cranio ad uno.
L'accetta era pesante, ma riuscivo comunque a brandirla, decapitando facilmente quelle membra molli e marce.
-Laggiù. – gridai – Il nostro vagone.
-Muoviamoci, prima che i vaganti ci possano sopraffare! – consigliò lo sceriffo.
Corremmo al portellone ed io spaccai il grosso lucchetto. Il gruppo si scaraventò fuori, confuso ed allarmato allo stesso tempo.
-Che finimondo è questo? – osservò il rosso, notando la pila di cadaveri lungo le strade – Siete stati voi?
Michonne partì subito in quarta, evitando di chiedere cosa stesse avvenendo, e si occupò di alcuni vaganti, utilizzando la fodera della sua amata katana.
-No. – riposi secca – Non c'è tempo per le spiegazioni, dobbiamo andarcene.
-Frugate fra quei corpi ed armatevi. – ordinò Rick.
Kioshi mi guardava impaurito, ma non se lo fece ripetere due volte.
-Da che parte andiamo? – domandò Rosita, spostando un cadavere.
-Dobbiamo raggiungere l'entrata secondaria, così recuperiamo il borsone che abbiamo nascosto. Ci servono quelle armi. – risposi, scavalcando inconsciamente il ruolo di Rick.
Mi voltai infatti per notare se si fosse indispettito, ma egli parve d'accordo.
-Buona idea. – confermò – Stiamo compatti e muoviamoci velocemente.
Abraham annuì ed avanzammo vicini come una vera squadra. Maggie teneva la mano all'amato, impugnando con l'altra un coltello seghettato. Eugene seguiva il rosso quasi fosse la sua ombra. Essendo egli, colui che rappresentava la speranza, optammo per inserirlo in mezzo al gruppo. Nessuno avrebbe permesso che si ferisse. Diventammo i suoi scudi umani.
-Puntate alle gambe! – esclamò Daryl.
Chi era riuscito ad avere fra le mani delle armi da fuoco, eseguì all'istante quel suggerimento, non obiettando una virgola. Rick e l'arciere avevano pensato di utilizzare i cannibali come esche, facendo in modo che i vaganti si gettassero su quelle prede urlanti che si dimenavano dal dolore. Vederli divorare ancora in vita, mi turbava alquanto. Sebbene sapessi che si meritavano questa fine, quelle ruvide grida mi straziavano. Ciò non sfiorava minimamente Rick, il quale sembrava essere completamente a suo agio, appagato. Quando si trattava della sua famiglia, di porre vendetta, non aveva limiti. Correndo, passammo vicini ad alcuni edifici, riparandoci dai cecchini sui tetti. D'un tratto notai una struttura in mattoni rossi con una saracinesca aperta. Quando la superammo, per una frazione di secondi potetti sbirciare al suo interno. Zaini, borse, indumenti, oggettistica varia. Quell'ammasso di cose apparentemente inutili, non erano altro che le lapidi del bestiame, delle vite perdute per pura cattiveria. Continuai a seguire il gruppo, ma ogni tanto guardavo indietro per capire quanto ci stessimo allontanando da quel magazzino. Era probabile, anzi, ero sicura che lì si trovassero anche i nostri affetti. Indi per cui, anche il mio zaino, le mie armi, e soprattutto il taccuino di Drake. Non potevo abbandonarlo lì, non potevo lasciare che questo si trasformasse in cenere. Rallentai, spingendomi alla coda del gruppo. Kioshi capì che avevo qualcosa in mente, forse a causa di un'espressione incerta ma determinata.
-Cosa vuoi fare? – chiese con affanno.
Lo guardai, invitandolo a non protestare.
-Devo tornare indietro. – parlai – Vi raggiungo dopo, non aspettatemi.
Prima che potessi alzare i tacchi, mi strattonò per la canotta.
-Sei matta? Non stai neppure bene.
-E' importante. Devo prendere una cosa – sentenziai - Non dire niente a loro, ma solo che mi hai persa di vista.
Detto questo, me ne separai. I putrefatti avevano occupato il viale da cui eravamo passati, quindi mi infilai in una traversa stretta. Da poco distante, scorsi il traguardo, ma quand'ecco che pensavo di esser ormai giunta, qualcosa mi colpì la spalla sinistra. Mi gettai immediatamente a terra, riparandomi dietro una pila di bancali di legno. Poggiai la mano sulla ferita, osservandone il sangue fuoriuscire con ingordigia. Bruciava da fare schifo, come al solito. Non ci si abituava mai al dolore dei bossoli. Mi sporsi per capire chi mi avesse sparato e notai Gareth sdraiato su un tetto, abbracciato ad un fucile di precisione. Fortuna che non aveva una buona mira. Vicino a me si trovava un cadavere mezzo morsicato, completamente pregno di linfa rossa. Fui costretta ad allungarmi un poco e a trascinarlo velocemente a me, prima che Gareth potesse far fuoco nuovamente. Recuperai un M16 da sotto quello che restava del suo ventre. Non era un bottino molto adatto, essendo un fucile d'assalto garantiva fuoco di supporto fino ad una distanza di circa trecento metri, quindi sarebbe risultato poco preciso, ma sarebbe comunque bastato per distrarlo. Il mio piano era quello di scaricargli contro una bella raffica, costringendolo a ripararsi, e nel mentre spostarmi sull'altro lato della strada per raggiungere il mio obiettivo. Non appena premetti il grilletto, Gareth nascose quella sua testa di cazzo, ed io potetti correre al magazzino. Come se non bastasse, quando ormai ero a pochi metri di distanza, vidi una granata scivolare ai miei piedi. D'istinto la calciai, senza badare a dove lanciassi quell'ordigno, e questo esplose violentemente, scaraventandomi al suolo. La terra tremò e delle impalcature del locale accanto caddero con voracità al suolo, ricoprendomi in parte. Dal rumore che avvertì, ma soprattutto, dalla terribile fitta che percepii, compresi che qualcosa mi aveva trafitto la gamba. Mi liberai da quell'ammasso di ferraglia, graffiandomi le braccia, e scrutai una grossa fetta di lamina conficcata nella carne della mia coscia destra. Sanguinavo, sanguinavo molto. Il dolore era così forte che il bruciore alla spalla scomparve. Riuscivo a percepire solo quella terribile fitta, quell'indescrivibile strazio. Indossando i jeans scuri, non capii subito se mi fossi lacerata un'arteria. Controllai allora l'asfalto, notando una pozza che si stava estendendo lentamente. Rosso scuro, quasi pece. Tirai, in un certo senso, un sospiro di sollievo. Si trattava di sangue venoso, quindi non ero in pericolo di un'emorragia grave, ma restava il fatto che la ferita fosse alquanto brutta. Provai a muovere la gamba, ma non appena l'alzai leggermente, un'ondata di dolore m'invase. Nessun tendine strappato, potevo ancora camminare. Finita la diagnosi, afferrai con entrambe le mani quel pezzo di lamiera, provando ad estrarlo. Ma ne uscii con un lamento atroce. Ero stordita, ferita, e fisicamente a pezzi. La febbre mi causava un giramento di testa continuo e l'esplosione mi aveva messa ancor di più in uno stato confusionale. Le orecchie mi fischiavano e di conseguenza i suoni mi giungevano ovattati, come se fossi immersa in acqua. Ero immobilizzata. Dovevo ad ogni costo separarmi da quell'affare. Tentai di nuovo nell'impresa, riuscendo a sollevarlo di qualche centimetro, ma nuovamente fui costretta a mollare la presa, digrignando i denti. Soffocai le grida. Il sangue continuava a scorrere indisturbato e mi resi conto di sentirmi sempre più fiacca. Quando mi accorsi di svenire, qualcuno mi afferrò alle spalle, prendendomi da sotto le braccia e trascinandomi all'indietro in qualche struttura. La vista si fece confusa, caratterizzata da qualche alone nero. L'ultima cosa che vidi fu la striscia di sangue che stavo lasciando e dei mattoni rossi.
Il magazzino.
Angolo autrice
Premessa: essendomi iniziati i corsi all'università, temo che non potrò aggiornare tutti i giorni, a meno che non mi sia possibile. Quindi, per ora, credo che posterò un capitolo ogni 2 giorni, non voglio farvi attendere troppo 😂
Considerazione: l'AMC si crede simpatica?
Lasciamo perdere, che è meglio.
Piaciuto il capitolo? ❤️
Un bacio xx
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