Capitolo 15 : Frantumi
L'odore di olio di motore impregnava l'intero locale, rendendo l'aria pesante e nauseante. Alcune carcasse di auto erano state sistemate come brande. Il pavimento era lercio, ma io mi trovavo lì, seduta e non mi importava. A dir la verità non mi importava più niente, l'unica cosa a cui tenevo in quel momento, era la morte. Ero stanca di combattere, avevo resistito fin troppo. Non ero capace di sopportare altro, ero giunta al limite. Durante quell'orrore, durante lo stupro, la mia mente era coinvolta in un unico pensiero. Ti prego, fa che mi uccidano dopo. E non facevo altro che ripeterlo, come per convincermi che sarebbe successo, come per convincermi che quella tortura sarebbe terminata ed io sarei stata bene, in un'altra dimensione o in qualsiasi merda ci fosse stata dopo il trapasso. Invece mi trovavo ancora lì, in quella dannata realtà infestata da morti viventi. Ma non erano loro i veri mostri, si contendevano il titolo anche gli uomini. Il mondo era degenerato, portando nell'oblio gli stessi individui. In un luogo in cui avremmo dovuto farci forza e lottare assieme, la follia e la violenza avevano primeggiato sull'istinto solidale. Fanculo la sopravvivenza, qua ci si diverte. Questo era il ragionamento. In un posto in cui tutto è andato a rotoli, nessuno può dirti cosa fare e non, vi è libertà, pura e candida libertà d'azione. Addio parole come etica, morale. Questo è l'inizio della fine. Ed io ero stata travolta da questo uragano distruttore. Ci ero finita dritta in mezzo. Cosa restava di me? Niente. Un fantoccio privo di contenuto, questo ero. Un fantoccio inanimato. Sentimenti, emozioni? Nello scarico del cesso. Paura, timori? Anch'essi nel cesso. Mi ero congelata dentro. Viva nella carne, ma morta nell'animo. Joe, dopo essersi divertito, aveva concesso agli altri due una cosa veloce. 'Una sveltina, mi raccomando. Meglio tornare prima che faccia buio' così se l'era sbrigata, appagato dal coito. Non si era allontanato dopo, anzi, era rimasto a guardare. Ma nei suoi occhi non leggevo eccitazione carnale, la sua era di un altro tipo. Eccitato, compiaciuto di aver trasgredito. Come se il caos che si è abbattuto fosse una benedizione, un nuovo inizio per lui e la gente al suo pari. Quando anche i due scagnozzi avevano terminato, Joe non pensò di lasciarmi lì. Ero una rarità, mi aveva spiegato Len, il gruppo ne avrebbe gioito. Così, adesso mi trovavo in un loro covo od una semplice tappa di passaggio. Dopo avermi mostrato con fierezza, quasi fossi un trofeo, mi avevano gettato in un angolo, legandomi i polsi con una fascetta. Avevo i loro occhi puntati addosso, bramosi, vogliosi. Mi spogliavano col semplice sguardo. Percepivo la loro fame. Mi chiusi in me stessa, aggrappandomi alle mie stesse gambe poggiate sul petto. Il dolore fisico che provavo era molto, ma mai straziante quanto il mio essere. Continuavo a fissarmi i polsi. La fascetta di plastica era stata stretta fin troppo, tanto che sulla pelle si era già formata un arrossamento livido. In un primo momento avevo cercato lentamente, senza destare alcun sospetto, di ruotare i polsi, per capire se avessi avuto qualche possibilità di liberarmi. Anche se mi fossi rotta di proposito i pollici, le mani non sarebbero comunque passate. Una volta mi era capitato di essere ammanettata, ma in quel caso era bastato rompersi i primi diti. Stavolta però non vi era margine di spazio. Anzi, ero finita col ferirmi, sporcando di sangue i polsi stessi. Rinunciai. Gli scagnozzi borbottavano fra loro, pregustando la sottoscritta. Joe intavolò qualche discorso, un appunto. Raccomandò agli uomini di aspettare il mattino seguente.
-Inutile accanirsi subito, non vi pare? – disse, con quel suo tono pacato. – adesso è debole, sfibrata. Fossi in voi aspetterei domattina.
Non tutti si mostrarono contenti, ma nessuno osò obiettare. Dopotutto sarei rimasta lì, qualche ora non avrebbe fatto la differenza. Len fece l'occhiolino a uno del gruppo, il quale gongolò divertito.
-Ci siete andati pesanti eh? – affermò, indicandomi con un cenno di capo.
-Dovevi vedere come si dimenava! – aggiunse Len.
L'amico mi guardò, leccandosi le labbra.
-Bene, mi piacciono quanto si agitano..
Ma Joe levò le braccia in alto, come per richiamare l'attenzione. Tutti si ammutolirono, portando la propria attenzione sul capo. Questo mi guardò con la coda dell'occhio, sorridendo.
-Ragazzi, vi prego. Non facciamo brutta figura, mica siamo solo belve.
Lo sprezzai per il suo tono ironico. Proprio non capivo dove volesse arrivare con tale atteggiamento. Non ero un'idiota, il fatto che non ne parlassero non avrebbe affatto migliorato il mio stato d'animo. Abbassai nuovamente lo sguardo, poggiando la testa sulle ginocchia. Chiudendo gli occhi, Drake mi apparve. Prima il suo sorriso, poi il suo corpo disteso fra quei fiori che tanto avevo amato. Gli stessi fiori che avevano cinto Hershel, adesso stavano abbracciando quel ragazzo. Non riuscivo a capacitarmi dell'accaduto. Ancora non avevo elaborato la sua morte. Era successo tutto così in fretta. La mente si affollò di ricordi ed immagini di quelle due settimane passate in sua compagnia. Le nostre confidenze, i sorrisi, le risate. Drake mi aveva portato in un altro stato, era riuscito a donarmi della luce. Un briciolo di speranza, una piccola fiaccola luminosa nella più totale oscurità. Ed ora, anche quella flebile fiammella si era spenta.
-Dov'è finito quello stronzo? – domandò Len.
Joe lo guardò torvo, ma uno del gruppo rispose.
-Se ne va sempre a giro con la scusa della caccia.
-Lasciategli del tempo.. – intimò Joe – ..vedrete che si integrerà bene.
Poi la saracinesca si alzò, permettendo al bagliore lunare di illuminare un poco la stanza. Nell'angolo in cui mi trovavo, non avrei potuto vedere di chi si trattasse. Alcune auto mi impedivano la visuale. Ma in verità non avevo la minima intenzione di osservare chi fosse entrato, non volevo guardare altri volti. Soprattutto i loro. Non avrebbe fatto alcuna differenza. Perciò me ne restai con la testa bassa, scrutando il sangue che scorreva lungo le braccia. Udii alcuni passi avvicinarsi all'ingresso. Vidi le scarpe di Joe sparire dalla mia vista e poi la sua voce calda echeggiò.
-Ben tornato! Caccia proficua? – chiese con tono gentile.
Il nuovo arrivato gettò a terra un sacchetto nero della spazzatura, ma dal tonfo che generò, compresi che al suo interno vi fossero delle carcasse. Il tizio rispose con un semplice mugolio, come se non avesse voglia di tanti discorsi.
-Guarda un po' cosa abbiamo trovato in spedizione.. – suggerì Joe.
Attraverso i miei riccioli, vidi aggiungersi un altro paio di piedi. Tutti risero, sorprendendomi. Ridevano di lui e non di me. Da quanto avevo capito dallo scambio di battute fra Joe e Len, questo si era unito a loro di recente. Forse la sua reazione nel vedere una ragazza aveva prodotto l'ilarità degli altri. Presupposi che egli non fosse un bastardo come quelli, ma non potevo esserne certa. Forse aveva solo assunto un'espressione gioconda, felice di vedere carne fresca. Alzai pigramente la testa, per poter studiare gli occhi di questo. Mi bastava uno sguardo per percepire l'animo di una persona. Ma quando permisi a lui di osservare il mio volto, mi sentii gelare. I nostri occhi si incrociarono, gettandoci in uno stato di paralisi. Nessuna emozione apparve, attenti a non trasmettere qualcosa al gruppo.
-Rivendicata. – enunciò Daryl.
Non compresi tale parola, ma questa destò scompiglio fra gli uomini. Len si avvicinò al capo con fare rabbioso, indicando l'arciere.
-Rivendicata un cazzo! Chi ti credi di essere? Non funziona così, bello. – sputò.
Joe portò una mano sul petto del furioso, spingendolo un poco indietro. Inclinò la testa, spostandosi il ciuffo bianco. Guardò in silenzio Daryl, interessato alla sua figura. Len non fu felice di vedere nessuna reazione del capo ed allora continuò ad inveire.
-Non mi frega un cazzo se adesso ha capito la regola, con le puttane non ha significato. E' roba di tutti, ce le siamo sempre spassate.
Il gruppo spalleggiò Len, mostrandosi d'accordo. Capii che erano state emanate alcune regole da rispettare, ma doveva essere sorto un dilemma su questa rivendicazione di Daryl. Ero confusa. Inoltre gli occhi di Daryl continuavano a puntarmi, senza badare i discorsi a lui circostanti. Mi fissava in modo strano, non riuscivo a capire cosa pensasse veramente. Temevo che fosse cambiato. Nel mentre, anche Tony accusò l'arciere, brontolando sul fatto che gli avessero già concesso troppe cose. Joe, pacato, rispose al suo scagnozzo, distogliendo finalmente lo sguardo da Daryl.
-Calma, calma ragazzi. – disse – a quanto pare al nostro amico qua non piace condividere.
Le occhiate glaciali di Daryl mi imbarazzavano. Non riuscivo a mantenere il contatto visivo, abbassavo spesso lo sguardo. Poi ero presa da ciò che stava accadendo, dalla discussione molto viva.
-Che si fotta! – abbaiò Len – io me la scopo come e quanto voglio.
La mano di Daryl si chiuse in un pugno, evidenziando i tendini tesi, ma nessuno se ne accorse. Anzi, Len era irato anche dalla strafottenza dell'arciere, poiché pareva non curarsi delle loro obiezioni. Joe mi lanciò un sorrisino e parlò all'incazzato.
-Suvvia Len, non mi dirai che non ti sei sfogato abbastanza poco fa.
In quel momento, Daryl si voltò ed accostò la faccia a quella di Len, ribattendo a denti stretti.
-Ho detto, rivendicata.
Len si mosse come per assestargli un pugno, ma chioma bianca lo bloccò.
-Comprendo la vostra rabbia – affermò Joe – Ma vedete, noi non abbiamo mai stipulato una regola su questo argomento. Abbiamo sempre condiviso, senza farci problemi al riguardo. Però, abbiamo deciso che con la parola 'rivendicato', potevamo dichiarare nostro qualunque cosa. In modo da non creare litigi e disagi. Adesso, quindi, mi sento in dovere di dar ragione al ragazzo. Non avendo mai trattato di ciò, non posso negarglielo.
Tutti protestarono sdegnati, gesticolando e imprecando, ma si sciolsero raggiungendo le proprie postazioni. Erano dei bravi soldatini dopotutto. Len guardò minaccioso l'arciere, ma poi si arrese, uscendo dal garage. Non riuscivo però ad esser felice. Avevo capito che con l'affermazione di Daryl, ora nessuno poteva più toccarmi, ma l'idea di dover restare in loro compagnia mi schifava alquanto. Sebbene Daryl fosse lì di fronte a me, vivo e vegeto, sano come un pesce, non ero nella condizione adatta per gioirne. Non fraintendetemi, vederlo vivo dopo ciò che mi era capitato, mi aveva addolcito un poco l'animo, ma niente di più. Joe guardava compiaciuto Daryl, come se gli ricordasse qualcosa. Poi prese un borsone verde scuro e glielo porse.
-Beh ragazzo, ti sei guadagnato anche l'arsenale che quella aveva con sé. Avevi detto di aver perso la tua balestra, giusto?
Daryl annuì, afferrando l'oggetto donato.
-Allora è il tuo giorno fortunato. La ragazza ha proprio un bel modello. – aggiunse.
L'arciere non aprì bocca, limitandosi a squadrarmi nuovamente. Stavolta, però, non si bloccò unicamente sulle mie pupille, ma mi scrutò con attenzione, scrupolo. Si gettò il borsone sulla spalla e mi raggiunse con grandi falcate. Rannicchiata nell'angolo, non sapevo come comportarmi. Egli mi agguantò privo di delicatezza e mi strattonò fino ad una porta, senza rivolgermi parola. Sembrava furioso. Spalancata la porta, mi spinse dentro e poi la chiuse, adagiandovisi con la schiena. Con fare minaccioso, lanciò il borsone su un tavolo logoro. Feci qualche passo indietro, finchè un armadietto non mi bloccò la strada. Il cuore partì in una corsa assennata. Mi spaventava, per qualche strano motivo Daryl mi spaventava. La sua freddezza, il suo silenzio. Avevo le mani sospese all'altezza del seno, ancora costrette in quella fascia tagliente. Dopo qualche minuto di tensione, passato a fissarci come due estranei, Daryl si mosse, avvicinandosi velocemente. Chiusi gli occhi d'improvviso, stupendo me stessa di quanto fossi diventata insicura e timorosa. Ma non appena avvertii una stretta morsa, mi lasciai andare fra quelle braccia che mi cingevano. Ero al sicuro, adesso ero al sicuro. Quel dolce contatto sciolse i rovi del mio animo, rassicurandomi. Poggiai la testa al suo petto ed egli mi avvolse maggiormente. Avrebbe potuto dirmi qualsiasi cosa, ma non era uno stolto, sapeva che niente sarebbe stato adatto. Ad una ragazza vittima di stupro, non ci sono vocaboli che possano cancellare o reprimere quella violenza subita, annebbiandone le immagini ed i ricordi. Quell'abbraccio per me, significava di più. Superava di gran lunga qualsiasi possibile discorso. Ma forse erano solo miei stupidi pensieri, probabilmente Daryl si era limitato a tale azione perché aveva agito con spontaneità. Ad ogni modo, poco importava. Lui era lì, questo mi bastava. Non saprei dire quanto restammo in quella posizione, un tempo che mi parve infinito e che non avrei voluto terminasse, ma ad un certo punto ci separammo, cadendo in una specie di imbarazzo. Compresi che Daryl si era calato in una parte, aveva recitato. Aveva finto di non conoscermi, di voler una cosa soltanto. Io ero stata ingenuamente al gioco, limitandomi a seguirlo senza controbattere. Gli altri nell'altra stanza immaginavano che egli stesse abusando di me. Avrei voluto dire qualcosa, ringraziarlo, ed invece me ne stavo lì come una deficiente a cui avevano tagliato la lingua. Estrasse il suo pugnale e lo utilizzò per tagliarmi la fascetta. D'istinto mi massaggiai i polsi. Notando il sangue, liberò uno straccio rosso dalla tasca posteriore dei pantaloni e la premette sulle ferite. Quel semplice gesto, quella premura. L'abbraccio di prima. Tutto riportò a galla il dolore interno. Drake, l'abuso. Fui travolta. Un oceano in tempesta. Piansi, pur restando in silenzio. Le lacrime solcarono le mie guance. Daryl non se ne accorse subito, impegnato com'era a pulirmi le ferite. Poi le sue dita si bloccarono, essendosi accorte di una cicatrice. Alzò lo sguardo preso alla sprovvista e non appena vide quelle salate gocce d'acqua, si sentì inutile. Con un cenno gli dissi di non preoccuparsi e mi sedetti a terra, chiudendomi in me stessa. Certo, c'erano delle sedie ed un divano scassato, ma in quel momento non mi importava del comfort. Ero crollata. Daryl si affiancò a me, sedendosi anch'egli a terra. Piombò di nuovo il silenzio. Era una situazione irreale, confusa. Un susseguirsi di avvenimenti terribili e solari nel giro di qualche settimana. Un alternarsi di alti e bassi. Ed ora mi dovevo trovare sicuramente al limite, però il fatto che avessi trovato Daryl mi portava ad una postazione di stallo.
-Eri sola? – domandò.
Spalla contro spalla, fissavamo entrambi la parete di fronte.
-Sì. – risposi coincisa.
Non volevo parlare di Drake, nemmeno nominarlo. Daryl sospirò. Anch'egli doveva trovarsi un poco incasinato. Era rimasto solo, aveva perso tutti i suoi amici, la sua famiglia. Si era poi aggregato a questa gentaglia, Dio solo sa per quale dannato motivo. Avrà pensato, come me, che tutti fossero morti. Vedermi, forse, gli aveva scombussolato le idee. Insomma, non credo che mi ritenesse un'amica, ma sapere che fossi viva aveva causato istintivamente la speranza dello stesso destino per gli altri. Ma alla felicità passeggera, si era subito accostato il disdegno e la tristezza. Il suo nuovo gruppo aveva abusato di me e se non ci fosse stato lui, la cosa sarebbe durata a lungo. D'altro canto però, fu grato del fatto che fossi sola. Se avessi avuto come compagno qualcuno della prigione, ciò significava la morte di questo per mano dei bastardi. Quindi, in sostanza, non potevo sapere come si sentisse in realtà.
-Non sono affatto contento di vederti.. – sussurrò.
-Ah..
-Nel senso.. – aggiunse, accortosi di avermi offesa –..avrei preferito che non ti avessero trovata.
-Sarebbe piaciuto anche a me..
Si alzò per prendere il borsone e poggiò tutte le armi sul tavolo, compreso il mio zainetto. Accarezzò la sua amata balestra e la impugnò, come per osservarne lo stato. Mi ringraziò con lo sguardo.
-Non l'ho mica presa per farti un piacere.. nella fuga ci sono semplicemente inciampata sopra. – affermai, come se volessi allentare quella tensione.
Non volevo che si trovasse in difficoltà, vedevo che non sapeva bene cosa dire e come comportarsi. Non mi piaceva esser trattata con delicatezza o esser compianta, volevo che mi considerasse come al suo solito, come se niente fosse accaduto. Mi asciugai le guance, ricomponendomi. Anche se stavo una merda, avrei finto di esser me stessa, combattiva e determinata.
-Dobbiamo andarcene da qua.. – incitai.
Daryl mi rispose, continuando ad aggeggiare con le mie cose
-No. – rispose, senza alcuna spiegazione.
Mi feci più vicina, notando che vi era anche il fucile di Drake.
-Cosa scusa? Vorresti dirmi che ti va bene restare con loro? – domandai incredula.
-Non ho detto questo.
Provò anche il fucile, fingendo di dover mirare a qualcosa. Controllati tutti gli oggetti, levò gli occhi dal tavolo, guardandomi.
-Avevi detto di essere sola. – sibilò.
Scrutando il tavolo, compresi che effettivamente le armi erano troppe per potersi trattare di un equipaggiamento di una singola persona.
-Se vogliamo andare d'accordo, la devi piantare di dire stronzate. – disse, velando un briciolo di nervosismo.
Quella frase mi ferì. Si riferiva anche a Philip. Ma non lo biasimai, aveva tutto il diritto di fidarsi poco.
-Il fucile, il machete e quel taccuino.. appartenevano a Drake.
-Un amico?
-Qualcosa di più. – ammisi.
Non l'amavo, questo era certo. Né mi ero infatuata di lui. Drake però non aveva ricoperto un semplice ruolo d'amico, per me era stato di più. Un'ancora, una speranza. Un ventata d'aria fresca in un mondo opprimente. Daryl fece una smorfia, dispiaciuto di avermi accusato.
-Ascolta, non ho intenzione di restare in loro compagnia. Avevo già pensato di mollarli, ma se adesso lo facessi, la rivendicazione non avrebbe più alcun significato. – illustrò.
-Quindi, cosa pensi di fare?
-Ce ne andremo, quando sarà il momento giusto.
-Cioè? – chiesi con insistenza.
Non avevo la minima idea di dover passare molti giorni al loro fianco. Ogni qual volta che Len, Tony o Joe avessero aperto bocca, avrei rivissuto quel momento.
-Sono sulle tracce di altre persone, qualcuno che ha ucciso dei lori compagni. Quando saremo vicini e loro attaccheranno, lì sarà il momento di separarci. Saranno troppo occupati dallo scontro per pensare a noi.
Il piano non faceva una piega, ma avrei preferito una soluzione più veloce.
-Non potremmo semplicemente uscire da quella finestra e scappare?
-So quello che faccio.. – sentenziò –.. capisco che possa essere dura per te, ma ti prego di stringere i denti. Se adesso fuggissimo da quella finestra, non passerebbe molto prima che questi ci trovino. Sono cacciatori, li conosco bene. Sono come me, seguirebbero le tracce senza alcuna difficoltà.
Affranta, sospirai. Aveva ragione, inutile illudersi di fuggire immediatamente. Avrei dovuto farmi forza e sopportare, attendere quel momento. Sarebbe stata dura restarmene in silenzio e pacata ad ogni loro parola, occhiata. Avrei voluto ucciderli.
-Va bene Daryl, faremo come hai detto tu.
-Okay.. io e te non ci conosciamo, non ci siamo mai visti. E' vero che adesso sei 'mia' , ma non posso consegnarti le armi. Questo non lo accetterebbero. Quindi nascondi questo pugnale negli anfibi. Nel caso dovesse succedere qualcosa, almeno puoi difenderti. Sta al gioco, fa' quello che faccio io. Evita di spaccare la faccia a Len. Lo so, ho visto come lo guardi. Non ti nascondo che anch'io vorrei massacrarlo.. ma se vogliamo che il piano funzioni, segui le istruzioni. – spiegò.
Mi parlò delle loro abitudini, del regolamento che si erano imposti, dei loro caratteri. Illustrò ogni singolo particolare che riteneva importante. Non lo interruppi, lasciai che esponesse quel sapere. Dopotutto già era di poche parole e vederlo lì a conversare, mi aveva stupita. Certo, non era una vera e propria chiacchierata, ma almeno stavamo dialogando. Lo ascoltai senza distrarmi, apprendendo il necessario. Per qualche strano motivo, piaceva molto a Joe. Questo gli avrebbe concesso di non tenermi legata. Sarei stata al loro pari, anche se sicuramente non tutti ne sarebbero stato elettrizzati. Sebbene Daryl fosse impegnato a spiegarmi le mosse future, osservavo il suo volto. Era cambiato, qualcosa in lui si era spezzato. Quando saremmo stati soli, ero sicura che sarebbe venuto fuori l'effettivo Daryl. Adesso era occupato a pensare ad altro, ad integrarsi al nuovo gruppo. Ci guardammo, dicendoci con lo sguardo che eravamo pronti. Feci per avvicinarmi alla porta, ormai era passato molto, il tempo poteva reggere benissimo l'idea di un suo abuso, ma egli mi fermò.
-Graffiami. – esortò.
-Cosa?
-Devono crederci, non devono sospettare. Sai di cosa parlo.. – affermò a bassa voce, come se gli altri potessero udire – ..graffiami, sul volto o sulle braccia.
Voleva che lo ferissi dove gli altri potessero vedere, sul volto o sulle braccia che erano sempre scoperte, giusto per simulare una lotta, una mia reazione di difesa. Con la balestra in spalla, si avvicinò, incitandomi ad agire. L'idea di graffiarlo, provocargli delle lesioni intenzionalmente, mi metteva a disagio. Lui se ne stava lì, dritto a fissarmi. Mi porse un braccio. Posai la mano su questo, unto e sporco di terra. Non si faceva la doccia da un po'. Mordendomi il labbro inferiore, premetti con le unghie sulla sua carne, trascinando un poco le dita. Ritrassi velocemente la mano, sorridendo in modo impacciato. Mi lanciò un'occhiata, alla quale seguì una smorfia.
-E questo cosa sarebbe? – chiese, agitando il braccio – Un graffio di un gattino?
-M-ma io..
Non feci in tempo a finire la frase, che egli si graffiò da solo in più punti. Compiaciuto, si osservò le ferite autoimposte. Certo, i suoi erano più credibili. Dopo un cenno, mi avvicinai nuovamente alla porta, ma non appena sfiorai il pomello, mi fermò.
-Che c'è stavolta? – chiesi spazientita.
Non che avessi fretta di tornare da quella banda di strada, ma volevo andarmene a letto. Dormire o almeno fingere di dormire. Desideravo starmene sola nel mio silenzio. Senza rispondermi immediatamente, mugolò, rimettendo a posto la balestra. Si sfilò lo smanicato di pelle e la camicia, restando in una maglia carbone. Mi lanciò la camicia, anch'essa scura, e con l'indice mi indicò il petto.
-E' meglio se ti copri.
Oh merda. Abbassai lentamente lo sguardo, notando uno squarcio abbastanza profondo nella canottiera. Arrossii all'instante, coprendomi con la camicia. Daryl si voltò di profilo, nascondendo il viso fra i ciuffi castani. Non fu bravo a nascondere il suo imbarazzo. Cazzo, pensai, poteva dirmelo prima. Gli diedi la schiena, come se avesse fatto qualche differenza ormai, ed indossai quella camicia larghissima. Annodai i due lembi all'altezza del jeans, in modo che non mi fosse di fastidio.
-Puzzerà un po', ma meglio di niente. – sottolineò, aggiustandosi il giubbotto.
Annusai la manica. Non seppi definire se si trattasse di un odore sgradevole o meno. Sapeva di Daryl, insomma, profumava di cane bagnato.
Angolo autrice
Tadaaà ecco tornato il nostro tanto amato Daryl, anche se la situazione non è delle migliori, visto i claimers 😬
P.s. Mi sono divertita ad aggiungere le immagini ad ogni capitolo, se vi va date un'occhiata ❤️
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