CAPITOLO 1
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Questa è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il frutto dell'immaginazione dell'autore. Ogni somiglianza a persone reali, vive o morte, imprese commerciali, eventi o località è puramente casuale.
***
Un tonfo sordo sul ripiano di legno.
Aprii gli occhi di scatto.
«Bene, bene, bene» ripeté Theodore Lacroix picchiettando la bacchetta di legno sul palmo della sua mano ruvida.
Sbattei le ciglia ripetutamente e trattenni il respiro. Dieci paia di occhi mi fissavano con la stessa identica espressione. Sul volto rugoso di Lacroix si era dipinta nel frattempo una smorfia di disappunto.
«Dormito bene?»
«M... Mi scusi signore,» farfugliai d'un soffio. Si sollevò un coro di risolini che Lacroix soppresse con uno sguardo di biasimo rivolto a tutta la classe.
«Ho notato che dormire è uno dei suoi passatempi preferiti, signor Del Valle.»
Lacroix sorrise con quell'aria melensa che era capace di suggestionare anche la persona più intrepida. Mi schiarii la voce nel vano tentativo di prendere la parola.
«Mi dica, signor...»
Lacroix lasciò la frase volutamente in sospeso.
«Del Valle.»
«Del Valle. Giusto.»
Si stava beffando di me. Era evidente.
«Sarebbe così gentile, signor Del Valle...» picchiettò la bacchetta sul bancone mettendomi in allarme «da dirmi in quali condizioni viene coltivato il Régnié del Beaujolais?»
Deglutii.
Speravo di non aver capito bene la domanda.
«Il Régnié del Beaujolais?»
Una chiara dichiarazione di guerra.
Mi fermai a riflettere, cercando di ripescare l'informazione da qualche cassetto dimenticato della mia memoria. Ma era tutto inutile. Non mi ricordavo nulla.
«Sto aspettando...» mormorò Lacroix con un tono di voce più fermo. Temporeggiai per qualche secondo.
«Nei territori pianeggianti?»
Il sospiro sconfortato di Lacroix mi arrivò alle orecchie come un terribile presagio.
«Nei territori pianeggianti...»
Serrai i pugni sul bancone ed evitai per quanto possibile qualunque sguardo compassionevole.
«È tutto quello che ha da dire sull'argomento?»
«Signor Lacroix, io...»
«Vorrei ricordarle, Del Valle, che lei è stato ammesso in questa classe con una raccomandazione. Raccomandazione che mi lascia oltremodo perplesso, a dire il vero, visti i suoi ultimi risultati ai test...»
Non fiatai. Mi sentivo addosso gli occhi di tutta la classe.
«Mi faccia capire: lei pensa di venire qui a passare il tempo, signor Del Valle?»
Marcò ogni parola con intento dichiaratamente provocatorio.
«No. No io...»
«No, cosa?»
Non risposi. Bastava il suo sguardo a dire tutto. Lacroix sciolse le braccia e tamburellò le dita sul tavolo guardandomi negli occhi con aria di sfida. Non voleva proprio mollare la corda...
«Dunque...vediamo...»
Suonava molto come un'ultima possibilità.
«Sa dirmi almeno per quali qualità organolettiche viene così tanto apprezzato il Régnié del Beaujolais? Lo abbiamo ripetuto mille volte...»
Ancora sorrisi e bisbigli attorno a me.
Osservai la fronte corrugata del signor Lacroix senza sapere cosa rispondere. Avevo la mente offuscata dall'ansia, dal timore di proferire una parola di troppo.
«Non...»
«Non?»
Il sangue mi martellava nelle tempie.
«Non lo ricordo, signore...»
Lacroix mi fissò con cruccio. Mi squadrò dall'alto in basso con aria di biasimo. In quel mentre sollevò la mano una ragazza dai lunghi capelli castani e dai lineamenti orientaleggianti: si chiamava Emilie Lantier. Era la migliore del corso. Il signor Lacroix, udendo la sua voce soave, girò il mento e le lanciò un'occhiata sconfortata.
«Prego, signorina Lantier, ci illumini.»
Emilie Lantier drizzò subito le spalle con aria tronfia.
«Il vitigno del Réigné viene coltivato a circa 345-50 metri di altitudine, nei pressi della montagna di Brouilly...»
«Molto bene» disse Lacroix strofinandosi la fronte.
«Il terreno è prevalentemente sabbioso. Le condizioni climatiche sono ottime per la coltivazione del Gamay, il vitigno usato per la produzione del Beaujolais, appunto.»
Il signor Lacroix annuì con un piglio soddisfatto.
«Benissimo...»
«E per quanto riguarda le proprietà organolettiche beh...è un vino dolce con note di uva spina e lampone. È un vino da bere tra i 14 e i 16° e da consumare entro cinque anni.»
«Bene. Davvero molto molto bene, signorina Lantier. Non credo che lei avrà dei problemi a superare l'esame.»
Tirò un lungo sospiro.
«Cosa che di certo non posso dire del signor Del Valle...»
Dopo avermi stirato con il suo sguardo da falco, il signor Lacroix si rivolse a tutta la classe picchiettando la bacchetta sulla sua mano indurita dal lavoro.
«Sappiate che l'esame sarà molto, molto difficile. La prova prevederà una parte teorica e una tecnico-pratica: dovrete assaggiare tre diversi vini francesi e offrirne un resoconto dettagliato e puntuale. Non sono ammessi errori di alcun genere. Dal mio corso sono usciti i migliori sommelier di Francia. I perditempo non sono mai stati ammessi.»
E questa volta si rivolse a me.
«Le è chiaro signor del Valle?»
«Sì, signore.»
Indirizzai lo sguardo verso Emilie Lantier, che nel frattempo mi stava fissando con uno sguardo colmo di soddisfazione. Per l'ennesima volta le avevo offerto l'occasione di mettersi in buona luce davanti al maestro.
«Bene. Per lunedì prossimo voglio che impariate bene le proprietà del Réigné e degli altri vini che vi ho assegnato. Mi raccomando: pretendo una preparazione impeccabile. Ricordate che la prossima settimana ci sarà una prova di degustazione, che ovviamente sarà oggetto di valutazione...per tutti.»
Lacroix lanciò uno sguardo verso l'orologio da polso.
«Penso di aver detto tutto, per oggi. Potete andare.»
Nella classe si sollevò un tenue mormorio di sottofondo. Mi alzai dallo sgabello e iniziai a riordinare il ripiano di lavoro: c'erano alcuni bicchieri sporchi e altri attrezzi che avevamo usato durante gli esercizi di degustazione. Infilai il manuale e il quaderno nello zaino con espressione mortificata. Era l'ennesima volta che mi rendevo ridicolo di fronte a tutta la classe. Se fossi andato avanti così, Lacroix mi avrebbe cacciato via prima della fine del corso.
«La prego, signor Del Valle, prima di andare via, si fermi ancora un attimo. Ho bisogno di parlarle,» disse il signor Lacroix con fredda cordialità.
«Sì. D'accordo.»
Immaginavo già cosa volesse dirmi. Mentre Lacroix si allontanava a passo felpato per raggiungere la cattedra, finii di riordinare la mia postazione.
Attesi con pazienza che tutti abbandonassero l'aula.
Mi sentivo sulle spine: stavo per ricevere un'altra ramanzina da Lacroix. Negli ultimi tempi mi ci ero abituato. Ormai mi aveva preso di mira. Fortunatamente la penosa attesa durò meno del previsto. Quando finalmente anche gli ultimi due studenti lasciarono l'aula, indossai lo zaino e mi avvicinai con cautela alla postazione del signor Lacroix. Stava ripulendo la lavagna con una spugna. Sulla scrivania c'erano vari manuali di enologia, e altri attrezzi del mestiere che di solito erano posizionati sul guéridon: un cavatappi professionale, un termometro a lettura rapida, un candeliere con candela, una scatola di fiammiferi, una caraffa e un decanter per la degustazione, un cestello portabottiglie, piattini per il tappo e per la capsula, frangini e pinza per vini spumanti. Rimasi immobile davanti alla cattedra. Lacroix mollò la spugna e si girò a guardarmi con espressione scettica.
Lo osservai con cautela: era un uomo alto, magro, con lunghi baffi scuri e occhi neri come la pece. Non era noto per il suo gusto in fatto di abbigliamento - a lezione indossava sempre gilet a quadri sopra camicie azzurre, pantaloni di velluto scolorito -, ma era conosciuto in Francia per essere uno dei più bravi e rinomati sommelier del paese. Si era diplomato in un prestigioso istituto alberghiero di Parigi, aveva lavorato al Troisgros di Roanne, all'Hotel de la Poularde di Montrond-les-Bains, al Le Clos de la Violette di Aix en Provence e, come chef sommelier, all'Hotel Four Season George V di Parigi. Un curriculum di tutto rispetto. Frequentare il suo corso era un privilegio. Entrare nelle sue grazie era l'aspirazione di ogni studente. Finire nel suo mirino la peggiore piaga che potesse capitare.
«Allora, signor Del Valle, immagino che lei sappia perché le ho chiesto di fermarsi un attimo...»
Posò lo sguardo sui volumi accatastati l'uno sull'altro. La mia faccia era un tacito assenso.
«Da un po' di tempo il suo rendimento ha subito un brusco calo, come ha potuto notare lei stesso. Devo avvertirla che se continua così rischia di non superare l'anno...»
Serrai le dita attorno ai manici dello zaino e abbassai un momento il capo. Mi sentivo con le spalle al muro.
«Sa, signor Del Valle, ci sono molti ragazzi della sua età che farebbero la fila per frequentare questo corso.»
Annuii con espressione incerta.
«Lo so, signore.»
«Bene.»
Lacroix stirò le labbra in una smorfia.
«Perché mi sembra che ultimamente lei faccia davvero fatica a seguire lo standard della classe...»
«Signor Lacroix, volevo dirle che...»
«Non dica altro, la prego... Piuttosto, si sforzi di farmi cambiare idea, perché al momento nutro dei seri dubbi sulle ragioni della sua permanenza in questa classe. Cercherò di essere franco, signor Del Valle: questo è un corso per sommelier professionisti! In queste aule si sono formate generazioni e generazioni di sommelier. Gli studenti che hanno seguito il mio corso sono sempre stati molto motivati e attenti. Un aspetto che francamente in lei non rivedo.»
Il dottor Lacroix raccolse il registro e iniziò a sfogliarlo attentamente.
«Quando ho accolto la sua richiesta di ingresso nella mia classe, la persona che l'ha raccomandata – un sommelier che stimo molto per giunta e che conosco molto bene – mi ha detto che eravate un giovane molto promettente. Non molto esperto, certo, ma con una naturale propensione per questa professione. E così ho accettato: mi sono detto, Se è stato lui a raccomandarlo, come potrei dire di no? Era anche partito bene, tutto sommato. Le prime prove hanno confermato le mie aspettative. Ma a lungo andare il suo rendimento è calato in modo alquanto preoccupante. Ultimamente sta collezionando un'insufficienza dietro l'altra. Negli ultimi test è riuscito a malapena a raggiungere la soglia del cinquanta per cento...»
Si fermò per ricontrollare gli ultimi voti. Poi lo richiuse con un gesto secco.
«E poi in classe è continuamente disattento, mostra di non avere le nozioni di base...»
Rimasi in silenzio come un condannato che attende l'esecuzione della pena.
«Lei forse lo ignora, ma il lavoro di sommelier è difficile e impegnativo. Ci vuole tanta passione, impegno, spirito di sacrificio... non è un parcheggio per gente che non sa cosa fare della propria vita. Questo deve esserle chiaro.»
«Signor Lacroix, io... io amo questo lavoro...» riuscii a dire con voce flebile.
«Lo ama? Sul serio?»
«Sì.»
«Mh...»
Mi ammutolii a comando.
«Mi perdoni, se glielo dico... ma a me sembra che lei venga qui senza una ragione precisa. Nei suoi occhi non vedo quella luce di passione che brilla negli occhi dei miei studenti, il che è molto demotivante, glielo confesso.»
Le sue pupille nere si ritirarono come se fossero prosciugate da una forza interiore.
«Dovrebbe rivedere le sue priorità, temo. L'esame è alle porte e lei non è ancora riuscito ad ottenere una preparazione adeguata...»
Sollevai lo sguardo dalla scrivania. Non sapevo cosa dire. Avrei potuto spiegargli il perché di quel calo di rendimento, ma a Lacroix sarebbe realmente importato?
«Mi faccia sapere quali sono le sue intenzioni. Se vuole può ancora recuperare. Ma deve rimettersi a studiare seriamente...»
«Va bene.»
«Non ho altro da aggiungere: può andare.»
Mollai i braccioli dello zaino e annuii. Feci per andarmene ma poi ci ripensai. Sbattei più volte le ciglia, mentre cercavo di racimolare le parole giuste da dire. Volevo che cambiasse idea.
«Io voglio davvero diventare un sommelier signor Lacroix,» dissi con sconforto. Non sapevo come fare per persuaderlo delle mie parole. Davanti a me non vedevo più lui ma l'unica ragione per la quale mi trovavo lì. Lacroix rimuginò per qualche secondo su quelle parole, poi fece un freddo cenno di assenso.
«Beh, se è così, allora lo dimostri, perché fino adesso non lo ha ancora fatto.»
Prese in mano uno dei volumi che aveva davanti.
«Studi bene le pagine che ho assegnato per lunedì.»
Lo guardai negli occhi spaesato. Pensai ad una domanda logica da fargli, ma non mi venne in mente niente di sensato.
«D'accordo.»
«Arrivederla, Del Valle.»
«Arrivederla, signor Lacroix.»
Lacroix mi rivolse un freddo cenno di saluto, in seguito spense la luce e lasciò la stanza. Di colpo, tutta l'aula venne inondata dalle tenebre. Rimasi immobile, in quella corolla di silenzio che mi penetrava le ossa. Trattenni a fatica le lacrime e presi anche io la direzione dell'uscita. Sconfortato, superai l'uscio ripensando alle parole severe e poco rassicuranti di Lacroix. Percorsi il lungo corridoio buio e arrivai fino al cortile. Aveva ripreso a piovere, per cui tirai fuori l'ombrello. Mentre compievo quel gesto, sentii una voce femminile risuonare alle mie spalle.
Mi voltai di scatto.
«Ehi! Ehi, aspetta!»
Non potevo quasi credere ai miei occhi. Era Emilie Lantier in persona, avvolta in una pesante giacca di lana nera. Mi aveva atteso fuori dall'aula.
Perché mai?
Non ebbi il tempo di chiederglielo.
«Ti chiami Sam, vero?»
Non risposi; era quasi un anno che frequentavamo lo stesso corso e faceva anche finta di non ricordare il mio nome. Mi limitai a spiegare l'ombrello per ripararmi dalla pioggia. Mi incamminai senza aspettarla. Non ero in vena di parlare, meno che mai con lei.
«Ehi, aspetta! Non te la sarai mica presa per prima? Davvero, non ho niente di personale con te. So che Lacroix conferisce la lode solo agli studenti che si fanno notare durante il corso. Per questo sono intervenuta...»
«Beh, sei sulla buona strada» risposi di getto e senza degnarla di uno sguardo.
Arrivammo fino ai cancelli. Attesi che le macchine attraversassero la strada, prima di proseguire.
«È evidente che ce l'hai con me e non te ne faccio una colpa...»
Emilie Lantier usò un tono di voce più mellifluo.
«Non volevo metterti in cattiva luce. Davvero... È solo che sogno da anni di frequentare questo corso. È un'occasione molto importante per me. Lacroix dice che se continuo così, potrei essere assunta all'Hotel Ritz o all'Hotel Meurice. O magari al suo ristorante a Versailles. Quello sì, che sarebbe davvero un sogno...»
Tirai su il cappuccio della felpa.
«Tu dove vorresti lavorare?»
«Non lo so.»
«Tornerai in Italia? So che lavoravi al famoso Cavaliere di Milano.»
Come faceva a sapere che lavoravo lì? Avrei voluto chiederle. Ma mi limitai a guardarla con diffidenza.
«Scusami, è tardi... Devo andare.»
Senza attendere oltre, la superai scrollando il capo e presi la direzione degli Champs-Élysées. Girai lo sguardo verso il fiume. Quel giorno le acque della Senna sembravano una poltiglia nera che scorreva indisturbata in mezzo alle strade della città. Il cielo, un manto di vapori e fumo livido e opprimente.
«Mi dispiace per come stanno andando le cose, sul serio. Se ti serve una mano a recuperare...»
Allentai il passo fino a fermarmi in prossimità del semaforo. Emilie non aveva proprio intenzione di mollarmi.
«Grazie per l'interessamento. Ma ce la faccio da solo.»
«Beh, se ci ripensi, basta che tu mi faccia un colpo di telefono. A proposito...» infilò la mano nella sua enorme borsa di pelle nera. «Accidenti, dove l'ho messo? Oh, eccolo qui!»
Vi estrasse poco dopo un bigliettino.
«Il mio numero, se dovesse servirti.»
Me lo porse e io lo accettai più per cortesia che per un reale interesse. Non potevo credere che si fosse preparata dei bigliettini da visita. La guardai con aria circospetta.
«Grazie.»
«Non c'è di che. Mi piace dare una mano alle persone meno fortunate.»
Mi rivolse un sorriso fintamente cordiale.
«Lacroix dice che non ha mai conosciuto una studentessa modello come me, sai? Lui pensa che potrei arrivare molto in alto. Me lo dice sempre...»
Passai il peso da una gamba all'altra con impazienza.
«Adoro lavorare con i vini, davvero, è la mia più grande passione... penso di essere nata per questo...»
«Io proseguo da quella parte.»
Era finalmente scattato il verde.
«Ehi!» sentii la sua voce in sottofondo.
Non mi voltai.
«Ehi! » gridò di nuovo.
Superai in fretta le strisce pedonali e raggiunsi il marciapiede velocizzando l'andatura il più possibile.
Sotto la pioggia scrosciante continuai a camminare in direzione delle Petit Marbueff. Camminai come uno zombie con la mente piena di pensieri. Ero così immerso nelle mie riflessioni, che per poco non superai il civico 62. Girando lo sguardo verso il portone vidi due bambini che si rincorrevano ridendo a crepapelle. Uno dei due inciampò e barcollò per qualche secondo, prima di riprendere la corsa.
Mi ricordavano me, da piccolo, mentre correvo con mio padre per i prati della Sicilia.
Rimasi immobile ad osservare quella scena mentre la pioggia battente inondava le strade. Un passante, che stava attraversando il marciapiede, si fermò accanto a me per chiedermi come raggiungere la metro più vicina. Mi domandò anche che ora fossero. Gettai un'occhiata frettolosa al display del cellulare che avevo nel taschino.
«Il est dix - huit heure passées...» (1)
Il signore mi ringraziò con un sorriso.
«Merci... Au revoir» (2)
«Au revoir.»
I due bambini si stavano riparando sotto i balconi. Tirai dritto e superai il portone che conduceva all'atrio interno del palazzo. L'aria profumava di medicina e vaniglia. Entrai nell'ascensore, pigiai il tasto numero tre. L'ascensore si mosse lentamente e cigolando ad ogni piano che superavo. Arrivato a destinazione, la porta si aprì con uno scampanellio. Incrociai la solita vecchietta del pianerottolo intenta a fare pulizie. Mi salutò con un sorriso gentile, che ricambiai senza indugio. Era una donna dall'aria malinconica, parlava poco, era perennemente sola. A quanto si diceva nel palazzo, viveva con due gatti, che però non avevo mai visto da quando ero lì. Forse perché, in fondo, in casa non c'ero quasi mai.
Mi avvicinai al portone facendo tintinnare le chiavi. Poi, quando fui dentro l'appartamento, lasciai lo zaino e tutta la roba all'ingresso. Posai le spalle sul legno della porta. Tirai un bel respiro per calmarmi. Avevo ancora in testa le parole severe e crude del signor Lacroix.
Non mi avevano lasciato neanche per un secondo.
Dopotutto aveva ragione.
Avevo iniziato quel corso nel migliore dei modi, ma poi il fragile equilibrio che avevo cercato di tenere in piedi era crollato. La fatica del corso, lo studio, il duro lavoro da cameriere al Petit Marbueff : con il passare dei mesi avevo fatto sempre più fatica a sostenere certi ritmi. Gaston, il proprietario del Café bistrot in cui lavoravo, non mi aveva mai dato molta tregua in tutto quel tempo, così che ero rimasto sempre più indietro rispetto al resto della classe. La mia situazione era ormai al limite. Non potevo più andare avanti così. Rischiavo di non superare il corso, proprio come mi aveva detto Lacroix.
«Devo avvertirla che se continua così rischia di non superare l'anno.»
Mentre ripensavo a quelle parole, tenevo gli occhi fissi sul soffitto pieno di crepe. Udivo solo il rumore del mio respiro. Chiusi un momento gli occhi.
«Posso farcela, ce la farò» pensai tra me e me come un mantra. Cercavo inutilmente di persuadermi della cosa. Ma la verità era che non riuscivo più a credere in me stesso come all'inizio.
Stanco di quel rimuginio continuo, superai il breve corridoio sulla destra e raggiunsi la mia stanza come un sonnambulo. Aprii le serrande una dopo l'altra per far entrare la pallida luce del pomeriggio, quindi mi sdraiai sul letto. Girai il mento sul cuscino e afferrai il manuale che avevo posato sul comodino. Lo sfogliai avidamente. Lessi alcune righe. Ero così stanco che la vista iniziò ad annebbiarsi ancora prima che potessi raggiungere metà pagina.
Lo richiusi con sconforto.
Dopo un minuto sentii la vibrazione del telefono. Distrattamente lo sfilai dalla tasca e lessi il nome sul display: era la mamma.
Tentennai prima di rispondere e non perché non avessi voglia di sentirla. Temevo che, sentendo la mia voce, avrebbe capito il mio stato d'animo.
Alla fine tirai un sospiro e pigiai il tasto verde.
«Mamma...»
«Tesoro, come stai?»
«Bene, sto bene.»
Udii il suo respiro nitido come l'aria.
«Come vanno le cose?»
Pazientai prima di rispondere.
«Alla grande. Sono solo un po' stanco.»
Ero ormai recidivo nel mentire. La mamma rimase in silenzio per qualche secondo.
«Sono contenta.»
Ricacciai il nodo che avevo in gola. Stavo per sciogliermi come un cubetto di ghiaccio, ma non volevo farlo.
«Sto facendo il conto alla rovescia. Non sai quanto ci manchi. La zia Viola non fa che chiedermi di te!»
Feci uno sforzo grande per respingere le lacrime. La zia Viola era sempre stata una persona cinica, apparentemente insensibile. Eppure le mancavo, tanto quanto lei mancava a me.
«Siamo così fieri di te, tesoro.»
La mamma si prese qualche secondo prima di proseguire.
«Non riesco a credere che manchino solo due mesi. Ce l'hai fatta. Se papà fosse qui, sarebbe così orgoglioso di te, tesoro...»
Mentre parlava mi sentivo sopraffatto dall'emozione. Chiusi gli occhi qualche secondo e mi passai una mano sulle palpebre.
«Devi tenere duro ancora un po'...»
«Sì,» dissi, «Ci proverò.»
«Vedrai che andrà tutto bene.»
Aprii gli occhi pieni di lacrime e deglutii.
«E se non dovessi riuscire a superare l'esame?»
La sola idea mi terrorizzava. Avrei rischiato di perdere il mio lavoro al Cavaliere e non volevo che accadesse.
«Non dirlo neppure per scherzo. Non succederà.»
Mi sollevai pigramente sui gomiti e rivolsi lo sguardo verso la finestra. Da quel punto si vedevano i tetti di Parigi, il cielo plumbeo e nuvoloso.
«Non...»
«Non?»
«Niente. Lascia stare.»
Feci un cenno di diniego.
«Non vedo l'ora di tornare a casa.»
«Mi manchi tanto tesoro. Lo so, te lo ripeto fino allo sfinimento, ma è la verità...»
«Anche tu mi manchi.»
Deglutii. Sorrisi con amarezza.
«Scusami, mamma, ma ora devo proprio andare... Tra mezz'ora devo stare al Petit Marbueff.»
«D'accordo. Ma non stancarti troppo. A che ora finisci?»
«Tardi. Ci sentiamo domani.»
«Va bene.»
Silenzio
«Ti voglio bene tesoro...»
Emisi un respiro lento.
«Ti voglio bene anche io.»
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Note:
1) «Sono le diciotto passate...»
2) «Grazie...Arrivederci»
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