Bizzarro sogno
La testa mi pulsa in maniera atroce, quasi mi fossi preso una sbronza colossale.
Peccato che io sia astemio.
A fatica cerco di ordinare alle mie palpebre di alzarsi per farmi vedere dove sono e cosa mi è successo.
A rilento, obbediscono e una lama di luce mi ferisce le iridi, facendomi gemere di dolore.
Mi poggio un braccio sul volto per evitare che il sole mi bruci gli occhi e mi giro su un fianco.
Sono disteso su una superficie irregolare e decisamente scomoda e non ho la benché minima idea di come ci sia arrivato.
Rimanendo a terra, immobile, provo a riordinare i pensieri confusi che mi si agitano nella testa.
Luca.
Il mio nome è Luca.
Questo lo so per certo, ma il resto...
Buio.
Soffocando l'irritazione, appoggio le mani a terra e mi metto a sedere con fatica. Il mio corpo è un insieme di dolore e sofferenza; benché io non abbia né ferite né ossa rotte, mi sento come se un tir mi fosse passato sopra.
Due volte.
Ora che i miei occhi si sono abituati all'accecante luce del mattino, scorgo alcuni particolari interessanti: sono circondato da bidoni dell'immondizia e mi trovo in quello che mi sembra un vicoletto di periferia.
Con circospezione, mi alzo in piedi e, barcollando, raggiungo il muro di mattoni davanti a me.
Ho il fiato grosso solo per aver fatto due passi.
Rimanendo appoggiato alla parete lercia e unta, mi rimetto in marcia: voglio capire dove mi trovo e per farlo devo uscire da questo schifoso vicolo.
In qualche modo, riesco ad affacciarmi sulla strada principale e rimango perplesso: sembra una giornata qualsiasi.
Poche macchine sfrecciano davanti ai miei occhi, perdendosi nel cuore della città.
I passanti camminano a testa bassa, ognuno perso nei propri pensieri.
Tutto normale.
A parte la sensazione strisciante che qualcosa non vada.
Lentamente esco dal vicolo e mi avvicino alla prima persona che trovo.
È una donna in carriera: indossa un tailleur grigio topo, abbinato ad un paio di scarpe nere e lucide.
《Signora...》gracchio, con voce terribile, allungando una mano verso la sua spalla.
Peccato che io non riesca a sfiorarla.
Anzi, ci passo attraverso, sbilanciandomi in avanti.
La donna non si è accorta di nulla e continua la sua corsa. Probabilmente verso il suo ufficio.
Io rimango sul bordo del marciapiede, sconcertato e confuso.
Un sogno...
Dev'essere un sogno...
Una risatina isterica mi si incastra in gola mentre il rombo di un motore mi fa voltare: una Bmw viene verso di me a tutta velocità.
Non faccio nemmeno in tempo a fare un passo che l'auto mi passa attraverso.
Oh, diavolo!
Non capisco che stia succedendo, però sono molto felice che la macchina non mi abbia stirato.
La vita intorno a me procede normalmente come se io non esistessi.
Le persone non mi vedono.
Passo attraverso gli oggetti.
《Vuoi vedere che sono un fantasma...》ragiono a voce alta, incredulo di fronte a tale possibilità.
Se fossi davvero un fantasma, vorrebbe dire che...
《Sono morto.》
Dirlo fa più impressione che pensarlo solamente.
Calma, Luca...
《Potrebbe essere un sogno...》
Non so perché ma il mio cervello si ribella quest'ipotesi.
Ho la certezza che non si tratti di un sogno.
Inizio a camminare senza una meta precisa, riflettendo sulle varie possibilità a mia disposizione.
Passare attraverso oggetti e persone mi pare inquietante quindi cerco di scansarmi ed evitare i passanti, ma non sempre ci riesco.
Man mano che passeggio, però, la mente mi si schiarisce e comincio a ricordare pezzi della mia vita.
Sono un poliziotto, un detective per la precisione.
Forse è per questo che non sto dando in escandescenze ma riesco ad analizzare la situazione abbastanza lucidamente.
Un veloce sguardo al nome della via che sto percorrendo e capisco di trovarmi a Parigi, la città in cui mi sono trasferito assieme ad Erika.
Erika.
La mia compagna di vita.
《Giusto. Devo andare da lei.》
Da quando la magia è diventata legale, le streghe come lei sono state integrate nella società, soprattutto perché la Luna, esplodendo, aveva creato un'onda d'urto così potente da cambiare l'umanità.
《Erika saprà aiutarmi.》
La mia dolce compagna, infatti, è dotata di un enorme potenziale magico che ha dovuto reprimere per molto tempo.
Col cuore colmo di speranza, mi metto a correre verso casa nostra: è lontana da dove mi trovo ora, però, in poco tempo riesco a raggiungerla.
Eccola!
La villetta gialla, circondata da un curato giardino, è così invitante che quasi scoppiò in lacrime non appena la vedo.
Erika...
Fregandomene di tutto il resto, corro attraverso le due abitazioni che mi separano da lei.
Mattoni, cartongesso, un acquario.
Attraverso tutto, senza soffermarmi sulle sensazioni che provo, e mi ritrovo in salotto.
Nel nostro salotto.
E la vedo.
Erika è sempre bellissima.
Ha corti capelli castani, due grandi occhi blu e labbra fatte per baciare.
Ma ora ha un'espressione preoccupata in volto.
La fronte è corrugata e nemmeno Cagliostro riesce a rilassarla.
《Lo so. Non è da Luca tardare così tanto》mormora Erika, affondando il volto nel morbido collo del gatto nero.
Allungo una mano verso di loro.
Voglio toccarla.
Voglio sentire il calore della sua pelle.
Voglio...
Le mie dita passano attraverso la spalla della donna che amo, ma Cagliostro, all'improvviso, drizza la testa.
Possibile che...
Lui avverte che qualcosa non va.
《Tu mi senti!》esclamo, incredulo.
Erika mi ha sempre detto che i felini posseggono un sesto senso, però non ci ho mai creduto veramente.
D'altra parte, non ho mai creduto nemmeno nella magia. E lei non mi ha fatto pesare questo mio limite.
Un altro dei motivi per cui l'amo.
Però...
《Anche se tu avverti la mia presenza, che posso fare? Di certo non puoi essermi di alcun aiuto.》
Mi lamento, continuando a muovere la mano davanti agli occhi gialli del gatto.
Cagliostro segue le mie agitate dita, dando zampate all'aria, mentre Erika è sempre più tesa e preoccupata.
《Cosa fai, Cagliostro? Anche tu pensi che Luca sia nei guai, vero?》Il tono dolce della ragazza è come un balsamo per il mio cuore.
Un minuscolo e incerto sorriso mi incurva le labbra per poi spegnersi immediatamente.
Erika e il gatto stanno svanendo davanti ai miei occhi.
Pochi secondi e mi ritrovo solo.
《Erika!!》
Il mio grido disperato risuona acuto e angosciato nel silenzio avvolgente che riempie la casa.
Senza riflettere, allungo una mano dietro alla schiena e tocco il calcio della mia pistola.
Il metallo, freddo sotto il mio palmo, è così familiare e rassicurante che riesco a frenare i miei pensieri, ritrovando un briciolo di calma.
La stessa calma che mi aiuta a risolvere gli omicidi più efferati.
Sfodero l'arma, senza puntarla.
Non c'è niente a cui io possa sparare.
Ma il mio sogno, anzi il mio incubo, ha altri progetti per me.
Il sole mattutino scompare così in fretta da farmi girare la testa.
In due secondi mi ritrovo in piena notte.
Esco da casa, attraversando la parete del salotto, e capisco che i miei guai sono appena iniziati.
Davanti a me vedo tre strani individui: hanno la pelle argentata, le ossa in evidenza come se fosse anoressici, e occhi neri quanto le tenebre.
《Che volete?》domando, senza aspettarmi risposta.
Loro non mi deludono e si scagliano contro di me, in silenzio.
Il primo tenta di squarciarmi il volto con i suoi artigli affilati.
Ne posseggono tre per mano.
Arretro di un passo, alzo velocemente la pistola e premo il grilletto.
La detonazione quasi mi assorda, però il proiettile va a segno: si pianta nello stomaco di quella strana creatura, facendola dissolvere come nebbia.
I compagni del morto mi attaccano all'unisono.
Uccido quello di destra mentre quello di sinistra riesce ad atterrarmi.
Strano a dirsi ma percepisco la ghiaia del vialetto conficcarsi nella mia schiena.
Devo mollare la pistola per fermare gli artigli di quella bestia.
Gli afferro i polsi e lo tengo a distanza mentre lo fisso negli occhi.
Sono perle nere, vuote, senza un briciolo di umanità.
Noto solamente ora che è privo di bocca. Non può mordermi.
Una magra consolazione.
Lo scaglio lontano con uno sforzo sovrumano. Ho appena il tempo di rialzarsi che lui torna all'attacco.
Gli sferro un calcio in pieno petto, facendolo arretrare di parecchi passi, ma non cade.
Scarto di lato e recupero la pistola.
In un istante l'addestramento, l'abitudine, fa il suo lavoro: miro e premo il grilletto, centrandolo in pieno petto.
La notte è tornata silenziosa.
Sento solamente il mio ansimare.
Rivolgo una rapida occhiata ai dintorni prima di controllare quanti colpi mi rimangono nel caricatore.
Dieci.
Chissà se riuscirò a superare la notte?
Non faccio in tempo a domandarmelo che altre creature d'argento si materializzano intorno a me.
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