8
ROBERT
La mattina dopo, avevo la sua immagine impressa a fuoco nella mente. Mi piaceva la sua dolcezza, il suo arrossire di continuo, il modo di scherzare insieme, la sua risata, lo sguardo innocente. Il modo buffo di camminare a piedi nudi e la tensione delle sue spalle quando l'avevo baciata. Ero rimasto colpito dalla sua scelta di trascorrere con me il compleanno. Quale altra ragazza lo avrebbe fatto? Forse non era un'amante dei festeggiamenti, ma lo avevo
apprezzato lo stesso.
Dopo aver bevuto una tazza di caffè, posai lo sguardo sull'orologio a muro della cucina. Le sette e mezza? Cazzo, la sveglia non è suonata! Mi precipitai nella stanza di Alex. Figuriamoci se lui doveva svegliarsi prima di me...
«Alex!» Aveva la testa nascosta sotto le coperte, le sollevai e... rimasi pietrificato. Mio fratello non c'era e probabilmente non aveva dormito nella sua stanza. La sera precedente sembrava che stesse riposando, invece mi aveva preso per il culo con la tecnica dei cuscini sotto le lenzuola, tipica furbata degli adolescenti nei film. Maledetto!
Provai a chiamarlo al cellulare, ma rispose la segreteria telefonica. Dove sarà? Con le dita che mi tremavano per l'apprensione, composi il numero del suo migliore amico.
«Ehi, Robert», rispose stranito.
«Jason, senti, ma Alex è da te?»
«Alex? Ehm... no, perché?»
Mi grattai la testa. «Cazzo, ma dov'è, allora?»
«Che vuoi dire?»
«Non ha dormito qui stanotte. Sai dove potrebbe essere?»
«Non lo so. Io e Alex non ci frequentiamo da un bel po', ormai. Non te l'ha detto?»
«No, non me l'ha detto», replicai con tono deluso. E incazzato.
«Robert, forse ci sono cose che dovresti sapere».
«Quali cose?»
«Meglio parlarne di persona».
Iniziai ad agitarmi. Più di quanto non fossi già. «Arrivo subito».
Chiusi la telefonata e mandai un messaggio a Jennifer: "Jenny,
avvisa Henry che oggi non vengo al lavoro".
"Cosa è successo?", mi rispose.
"Alex è sparito", le scrissi con la mano tremante.
E fu proprio in quel momento che mi resi conto di quanto fossi stato poco attento. Avevo lottato così tanto per la sua tutela e non ero nemmeno in grado di controllarlo. E lui non mi mandava neanche un messaggio per rassicurarmi, come se non gli importasse. Mi irrigidii. E se gli è accaduto qualcosa di grave? Cercai di mantenere la calma, presi il pick-up e guidai verso casa di Jason.
Il portone era aperto. Gettai il mozzicone della sigaretta che nel tragitto avevo fumato per il nervoso, salii velocemente le scale e suonai alla porta.
Mi aprì proprio lui. «Ciao, entra».
«Tua madre?», domandai giocherellando impaziente con le chiavi dell'auto.
«È al lavoro».
«Di cosa volevi parlarmi?»
«Alex è cambiato», disse con tono nervoso.
Socchiusi gli occhi. «Spiegati meglio».
Sospirò. «Da quando frequenta quelli dell'ultimo anno... non è più lo stesso».
«E la vostra amicizia? Perché avete litigato?»
Emise una risatina nervosa. «Litigato? Non abbiamo litigato. Non siamo più amici e basta».
«Perché? Cosa è successo?»
Scosse la testa. «Il bello è che non l'ho ancora capito, sai? Mi ha detto che aveva bisogno di cambiare aria, di conoscere gente nuova. Io gli ha detto "Va bene, usciamo con persone nuove...". Non pensavo però che intendesse senza di me».
Annuii dispiaciuto. «Da quando non siete più amici?»
«Da un anno».
«Ah».
Come posso non essermi accorto di nulla? Mi sedetti su una
sedia.
Jason camminò avanti e indietro nel salotto. «Ho cercato di farlo
ragionare in tutti i modi». Poi mi guardò, i suoi occhi luccicavano rabbiosi e sembravano rievocare un ricordo. «L'ultima volta era
persino fatto...», mi rivolse una smorfia schifata, «Che schifo».
Scattai in piedi. «Fatto? Alex ha iniziato a drogarsi? E me lo dici solo ora?» Non potevo credere alle mie orecchie. Come è potuto capitare?
Aveva un'aria agitata. «Mi dispiace, avrei voluto dirtelo ma...»
«Ma cosa? Quella roba potrebbe ucciderlo!» Il cuore mi batteva
più forte.
«E pensi che io non lo sappia?», gridò. «Ho sbagliato, lo so. Ma se mi fossi intromesso, i suoi amici...» Aveva il volto sconvolto.
Non era colpa sua se Alex era cambiato. «Scusa, ho avuto solo paura...», poi bisbigliò.
«Ora sai dove può essere?»
«Forse a casa di William Shepper, il suo nuovo migliore amico.
Avevo sentito di una festa», prese un pezzo di carta, scrisse qualcosa e me lo porse con aria incerta. «Questo è l'indirizzo».
Era sulla Luisburg Square, non era molto lontano. «Grazie ancora, Jason. Sei un bravo ragazzo».
Annuì e mi accompagnò alla porta.
Dopo dieci minuti, arrivai all'appartamento. Non sapevo cosa
avrei fatto esattamente, ma Alex doveva essere rimesso in riga, forse persino mandato in qualche centro per tossicodipendenti. Mi accesi un'altra sigaretta e aspettai in macchina, finché non vidi qualcuno uscire dal portone. Gettai il mozzicone, mi affrettai a entrare
e salii fino al terzo piano. Suonai. Fui accolto da un ragazzo mezzo
nudo, occhi rossi e confusi.
«Sei in ritardo, amico. La festa è finita», disse con la voce impastata dall'alcol.
Lo fissai serio. «Sto cercando Alex».
Corrugò la fronte. «Alex?» E scoppiò a ridere. «Ah, sì, entra. È qui». Nell'aria si sentiva odore di fumo, erba e alcol. Mi venne il voltastomaco. «Dovrebbe essere in bagno. In fondo a sinistra», aggiunse e si allontanò.
Percorsi il corridoio poco illuminato con attenzione: c'erano bottiglie, pezzi di vetro, biancheria, qualche corpo addormentato. Pensai di aver aperto le porte dell'inferno. Poi entrai in bagno: c'era mio fratello con la testa appoggiata sul water. «Che cazzo ti è
successo?», sibilai scioccato. Era pallido, con addosso solo un paio
di jeans. Puzzava di alcool.
Aprì un occhio e mi chiese confuso: «Come mi hai trovato?»
Non può essere mio fratello. Non lo riconosco.
Poi si sporse e vomitò. Non sapevo se essere deluso più da lui o da me stesso per non essere stato abbastanza attento. Alex era sotto la mia responsabilità. Non dovevo permettere che accadesse tutto
questo.
«Ora andiamo a casa».
Lo portai via di peso. Si addormentò in macchina sui sedili posteriori.
Arrivati a casa, appoggiai Alex sul letto. Avrò anche avuto le mie colpe, sarà stato un po' assente, ma non potevo tollerare un comportamento simile. Non era più un bambino. O forse sì? Per
fortuna, Jason mi aveva raccontato tutto.
Gli baciai la fronte e sussurrai: «Ti voglio bene». Andai in cucina, mi preparai un panino e chiamai Tom per avvisarlo che quella sera non sarei andato al Blue Jeans. Mio fratello aveva bisogno di me più di chiunque altro.
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