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ROSEMARY
Ore ventuno e trenta. Arrivammo in un locale dal nome un po' strano: Blue Jeans Pub, sulla Westland Ave di Boston.
«L'unica cosa blu che vedo qui sono le luci. Nessuna traccia di jeans», commentai.
«Che considerazione stupida», ridacchiò Sam. «Io vedo solo
tanti tipi carini...»
Mentre camminavamo tra la folla, notai un ragazzo alto, snello e con un basco bianco che ci salutava con la mano. «È quello Mark?», chiesi a Sam.
«Sì, andiamo». E lo raggiungemmo.
«Tesoro, finalmente sei arrivata!», esclamò il festeggiato e la baciò sulla guancia.
«Scusa il ritardo, c'era davvero tanto traffico», poi appoggiò una mano sulla mia spalla. «Lei è la mia amica Rose».
Mark si voltò a guardarmi. «Oh, hai portato un'amica!» Sorrise, aggiustò la sciarpa intorno al collo e si presentò: «Piacere di conoscerti, tesoro».
Ricambiai con un sorriso imbarazzato. «Auguri!», dissi porgendogli il regalo.
Nel privé mi sedetti su un divanetto. Mi sentivo in imbarazzo, non sapevo chi fosse quella gente. Sam sorseggiava champagne, rideva e scherzava con tutti.
«Rose, parla con qualcuno! Sono tutti allievi della Moz-Art...», mi bisbigliò.
«Veramente? Non riconosco nemmeno un volto».
«Perché devi uscire più spesso! I tuoi non possono chiuderti in
casa a quasi diciassette anni», mi ricordò la mia amica. Non feci in tempo a risponderle che già si era allontanata. Un ragazzo le aveva
chiesto di ballare. Così, restai seduta e la osservai scatenarsi. Si stava divertendo un mondo, a differenza mia. Poi una folla di ragazzi
mi coprì la visuale. Ora sì che mi sento sola. Mi alzai sconsolata, sbuffai e mi diressi verso il bar.
«Prego. Per lei, signorina?», mi domandò il barman, un ragazzo
moro con due profondi occhi azzurri che mi ricordavano tanto le luci del locale.
«Ehm... un po' d'acqua, grazie», risposi intimidita. Acqua? Ho
detto davvero acqua?
Mi guardò sorpreso. «Si sente poco bene?»
«Ehm... acqua tonica, volevo dire», mi corressi imbarazzata,
«... e tequila, grazie». Tequila? Sono impazzita? Ormai il danno è fatto.
Sorrise divertito. «Subito, signorina».
Mi sedetti sullo sgabello, di spalle al bancone, e osservai la pista:
c'era chi si strusciava, chi beveva, chi fumava. Non era il mio ambiente, quello. La musica era fastidiosa. Non ero abituata alla confusione.
Rigirai lo sgabello e quasi non mi venne un infarto. Il bel barman mi
stava fissando a due centimetri dal viso con il drink in mano.
«Ecco a lei, signorina», lo appoggiò sul bancone, sorrise e mi fece un occhiolino.
Imbarazzata lo ringraziai, afferrai il bicchiere e mi allontanai.
Il cocktail lo lasciai su uno dei tavolini dei privé, raggiunsi Sam
e le dissi che dovevo tornare a casa. Era mezzanotte: Cenerentola
doveva scappare, la matrigna era a casa che l'aspettava. Probabilmente con un fucile in mano. Non volevo restare in quel posto un
minuto di più. La scusa della mamma rompipalle, a volte, poteva
fare comodo. Salutai Sam, chiamai un taxi e andai via.
***
Ma chi accidenti è? Chiamare alle otto di sabato mattina dovrebbe essere illegale.
«Pronto?», risposi con un filo di voce mentre sbadigliavo.
«Buongiorno, mia dolce Rose. È ora di svegliarsi! Ci sono cose più importanti di dormire», affermò festosa Georgie. Non osavo immaginare a cosa si stesse riferendo.
«Tipo?», le chiesi seccata con un cuscino in faccia. «No, aspetta, lasciami indovinare... scommetto che ha a che fare con un tipo
il cui nome inizia con la A e finisce con la Y?», aggiunsi prima che
mi rispondesse.
«Perspicace di prima mattina. Facciamo progressi!»
Sbuffai.
«Non fare la pigrona. Tra dieci minuti ti racconterò tutto davanti a un buon caffè».
«Dieci minuti? Tu sei pazza», bisbigliai sconfortata.
«Dai, voglio essere buona. Te ne concedo quindici. A dopo, bella». Non mi dette nemmeno il tempo di rispondere che chiuse. E io
andai a prepararmi sbadigliando.
Georgie fu di parola. Quindici minuti ed era giù che mi aspettava
con la sua Smart nera. Andammo al Supreme Kitchen, io ordinai un
caffè al ginseng e lei uova strapazzate e bacon, e ci sedemmo a un tavolino. Non stava scherzando, aveva davvero tanto da raccontarmi!
Dopo due ore di dettagli, sbadigli e chiacchiere varie, finalmente cambiammo argomento. Messo da parte Anthony, la discussione
si spostò sulla musica.
«Senti, mi stavo chiedendo una cosa: tuo padre ha una casa discografica, no? Per caso potresti mettere una buona parola per un
provino?»
«Beh, posso chiedere».
Sorrise sognante. «Ti immagini? Io famosa!»
«Eh, già...»
Mi guardò pensierosa. «Aspetta... com'è che si chiama la casa
discografica?»
«Rosemusic's Recording».
«Che invidia! Una casa discografica col tuo nome...»
Feci spallucce. «Beh, preferivo quando mio padre suonava ancora...»
«Eh, lo so. Però guarda il lato positivo: diventerai di certo qualcuno», poi aggiunse facendo un occhiolino: «Anzi, ricordati di me
quando lo diventerai».
Risi. «Va bene, me ne ricorderò».
«Urrà!», esultò e alcuni ragazzi si voltarono a guardarci. Georgie li salutò divertita, io sorrisi imbarazzata, poi la mia amica mi
prese sotto braccio e uscimmo dal bar ridendo.
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