18
ROBERT
Il mattino dopo mi svegliai presto e con un caffè in mano rimuginai sull'appuntamento: era andato male, contro le mie aspettative. E le avevo persino dedicato una canzone, io che ormai non cantavo da anni! Prima di ieri sera, non ero pronto a riprovarci. O meglio, avevo preferivo lasciarmi alle spalle il passato, musica inclusa. Avevo scelto la via più semplice e meno dolorosa. Come quando nascondi una foto in un cassetto pensando che non vederla sia la scelta migliore, che prima o poi ti dimenticherai di lei. Ma il pensiero è sempre lì e non ti lascia tregua. Questo era successo con la musica. L'avevo chiusa a chiave nel cassetto dei ricordi, certo che prima o poi mi sarei dimenticato di lei. Che non avrei più avuto voglia di suonare. Ma purtroppo non si può scappare da ciò che si ama.
La fiducia nel suo sguardo mi aveva spinto a fare quel passo, ad aprire sia il cassetto arrugginito sia il mio cuore. Però, ora, mi chiedo se abbia sbagliato. Se avrei dovuto aspettare. Con Mary, non sapevo come comportarmi. Non l'avevo baciata al primo appuntamento, anche se avrei voluto farlo, ad esempio. Ma mi era sembrata timida e avevo preferito non forzare la mano. Dovevo solo pazientare e capire cosa le fosse successo, magari scavare un po' nel suo passato. Perché aveva sofferto, ne ero certo.
Quella mattina, in caffetteria, arrivai prima del solito.
Jenny mi guardò stupita. «Wow, forestiero, cosa ti porta a quest'ora del mattino?»
Scoppiai a ridere. «Jenny, sono in anticipo solo di mezz'ora».
«È tanto per un ritardatario seriale come te...» E mi fece un occhiolino.
«Io non sono un ritardatario seriale, che dici!»
Mi scrutò con sguardo divertito. «Secondo me è successo qualcosa. Niente di triste, però, se no non avresti riso...»
«Che ragazza perspicace! Ma potrei benissimo mentire, che ne sai?»
Scosse la testa. «No, ti conosco troppo bene», poi mi diede un bacio sulla guancia. Sorrisi, mi spostai dietro il bancone e mi legai il grembiule. Jenny prese a rifornire i frigoriferi bassi e mi offrii di aiutarla, accovacciandomi dietro il bancone anche io.
«Allora? Si tratta della tua nuova conquista, vero?»
La fissai confuso. «Nuova conquista?»
«Sì, quella Rose... O sei già passato a un'altra?» Si voltò a guardarmi.
«Rose non è una delle mie conquiste», le feci presente. Pensavo avesse capito che facevo sul serio.
Sfilò un succo di frutta dal cartone. «Ah, no?»
«No, mi interessa veramente».
Aveva un'espressione incredula. «Davvero? Pensavo che non ti interessassero le storie d'amore...»
«Mi sto innamorando di lei, Jen», ammisi.
La bottiglia di vetro le scivolò dalle mani e si ruppe, mirtillo rosso sul pavimento e sui nostri grembiuli.
Perfetto, ora sembriamo due macellai.
«Dannazione! Che disastro», mugugnò mentre asciugava nervosa.
Presi un panno anche io. «Tranquilla, può capitare. Ti aiuto».
«No, lascia stare. Tu vai a cambiarti», rispose irritata, come se fosse colpa mia.
Mi alzai. «Okay, come vuoi».
In quel momento entrò Mary. I nostri sguardi però non si incrociarono, si sedette al tavolino e sfilò il cellulare dallo zaino. Forse aspetta qualcuno. La fissai incantato, ogni giorno era sempre più bella. Semplice, genuina, di una dolcezza infinita. Mi chiesi chi fosse lo stronzo che l'aveva fatta soffrire.
Jenny mi scosse una spalla. «Ehi, bell'innamorato, va' a cambiarti che se Henry ti trova così...» Il suo tono era più acido del solito. Cosa le prendeva?
Sbuffai. «Stai calma, sto andando». Guardai per l'ultima volta Mary, poi andai nella stanza riservata al personale e presi due grembiuli puliti. Quando tornai, Mary stava bevendo il suo ginseng al bancone. Sentii il cuore accelerare. Ritornai al mio posto, passai il grembiule a Jenny, poi mi voltai verso Mary. Mi guardò e mi sciolsi appena sorrise.
«Ciao», la salutai mentre mi legavo il grembiule.
«Ciao», disse e continuò a sorseggiare il ginseng.
«Sai, stavo pensando... Ti va di vederci nel pomeriggio? Verso le cinque, prima che io vada a lavoro».
I suoi occhi sembravano titubanti. «No, non posso, devo studiare».
«Ah». Cercai di pensare a un'alternativa, la caffetteria intanto iniziava ad affollarsi. «Allora, vediamo...»
«Robert, vieni!», mi chiamò Jenny. Il mio piede tamburellava, la mente scoppiava per cercare una soluzione. Niente, nessuna idea. Troppa pressione e così poco tempo!
«Robert!»
Ma che nervi!
«Devo andare, ora», mi liquidò Mary con tono desolato.
«Va bene, dai, ti chiamo allora».
Mi sorrise e andò via. Tornai a lavorare e cercai di liberare la mente dalla sua immagine.
Jenny, dal canto suo, mi rivolse pochissime volte la parola, lei che neanche stava zitta mentre mangiava. Non sapevo se fosse ancora nervosa a causa dell'incidente. E nemmeno ero certo che quella bottiglia di vetro fosse caduta per pura casualità o per quello che le avevo confessato su Mary. Un dubbio atroce mi attanagliava lo stomaco, ma non volevo dargli peso.
***
Era passata una settimana da quando mio fratello era partito. Lo chiamavo ogni pomeriggio per sapere come stava andando la terapia, se stesse avendo qualche problema, ma per fortuna stava bene. Anzi, una sera mi confidò che era tutto merito dei nonni, non tanto per la riabilitazione. Lo facevano sentire amato, erano sempre presenti, gli donavano quel calore umano che io non riuscivo a dargli per via dei troppi impegni lavorativi. Alex mi mancava, però iniziai a pensare che forse non era Boston il suo posto. Sarebbe stato meglio a Seattle? In ogni caso, mi promisi che non avrei commesso di nuovo lo stesso errore: non sarei stato io a decidere ancora una volta sulla sua vita.
Mary, invece, non l'avevo chiamata. Non sapevo come far coincidere i nostri impegni, io che di tempo libero ne avevo davvero poco. E pensai che l'unica soluzione fosse chiederle di uscire sabato. Aspettare qualche giorno non avrebbe ucciso nessuno, anche se desideravo trascorrere un po' di tempo con lei, conoscerla più a fondo e dimostrarle il mio sincero interesse nei suoi confronti.
Con Jenny sembrava essere tornato tutto alla normalità, chiacchieravamo e scherzavamo, non c'era alcuna tensione. Quello che era capitato, l'incidente del succo, era stato appunto solo un incidente. Di Mary, però, non parlammo più, ma non me ne preoccupai.
La mattina trascorse piuttosto velocemente, solita routine e solite facce da servire, tutte tranne quella di Mary. Finito il turno, decisi di aspettarla fuori la Moz-Art per parlarle. Sapevo essere più persuasivo di persona che al telefono. Appena mi vide, si limitò a sorridere e si avvicinò alla sua macchina come se avesse fretta di andare via. Mi staccai dal muro su cui ero appoggiato e le andai incontro.
«Mary!», la richiamai.
Si voltò a guardarmi. «Ehi, Robert...» Aprì la portiera pronta a filarsela.
La fissai confuso. «È per quello che ti ho detto, vero?»
«Come, scusa?»
«È perché ti ho detto che mi sto innamorando di te che mi stai evitando?» La mia voce suonò delusa, non riuscivo a nasconderlo.
«Io non ti sto evitando», disse decisa appoggiando la schiena alla macchina.
Alzai un sopracciglio. Non ero mica stupido e, se voleva nascondere l'evidenzia, con me non ci sarebbe riuscita.
«Davvero, Robert, sono solo molto occupata. Tutto qui», dichiarò arrossendo.
«D'accordo», dissi, anche se non le credevo affatto.
«E poi non eri tu che dovevi chiamarmi?», sottolineò con fare un po' infantile, come se il suo comportamento dipendesse dal mio.
Risi incredulo. «Perfetto, quindi mi stai evitando perché non ti ho chiamata?»
«Non ho detto questo».
«Lo hai sottinteso. E mi dispiace deluderti, ma io sono bravo a leggere tra le righe».
«Meno male allora che non sai leggere la mente!», mi prese in giro.
Risi. «Perché? Ci troverei pensieri impuri su di me?»
Arrossì. «No! Certo che no...»
«Guarda che non ci sarebbe nulla di male. Anzi». Mi avvicinai senza smettere di fissarla. Fu più forte di me e gli occhi caddero sulle sue labbra. Volevo baciarla. Sollevai lo sguardo e sorrisi, le sue guance erano più colorite.
«Robert, io...»
Posai un dito sulle sue labbra per zittirla, accostai la bocca al suo orecchio e sussurrai: «Ti prego, non fuggire un'altra volta». Poi incrociai i suoi occhi dolci e un po' spaventati e le accarezzai il volto.
«Io non sto fuggendo», rispose a bassa voce.
«Invece, sì. Stai fuggendo eccome!» Abbassò gli occhi, ma io le alzai il mento per costringerla a guardarmi. «Io non ti farò soffrire. Perché non lo capisci?»
Mi fissò stupita.
«Pensavi che mi bevessi la classica scusa del "Non ho tempo, sono impegnata"? Perché è di paura che stiamo parlando, no? A meno che tu non voglia più vedermi». Feci un passo indietro. «In tal caso...»
Sospirò. «Non ho cambiato idea. Solo che non è facile...»
«Fidarsi?», continuai. «Non lo è mai. Ma io non ti ho chiesto mica di sposarmi».
Annuì e mi mostrò un sorriso sincero. «Hai ragione».
«E poi cosa mi avevi detto? Che volevi del tempo. E io te lo sto dando. Mi dispiace se ho agito d'impulso, ma io sono fatto così. Se ho voglia di dire qualcosa, la dico. E se ho voglia di fare qualcosa... la faccio». Non feci passare mezzo secondo che mi avvicinai e la baciai. Ricambiò timida, poi le accarezzai una guancia e trasformai quel bacio casto in qualcosa di più carnale. Mi ero dimenticato del posto in cui ci trovavamo, esistevamo solo io e lei. Sentivo il cuore accelerato, elettricità allo stato puro. Non volevo staccarmi più dalle sue labbra.
«Rose?» Una voce femminile ci interruppe, mi voltai ed era una delle sue amiche, quella bionda. Il suo viso però non mi era del tutto sconosciuto. La fissai per cercare di ricordare dove l'avessi già vista.
«Ehi, Georgie», disse Mary.
La biondina ignorò la mia presenza. «Puoi darmi un passaggio? La mia macchina non parte».
Osservai Mary, aveva ancora le guance accaldate. «Certo, nessun problema». Poi incontrò il mio sguardo e spalancò gli occhi, come se si fosse appena ricordata una cosa importante. «Ah, scusami, Robert. Lei è la mia amica Georgie».
Mi voltai verso la biondina e le strinsi la mano. «Piacere».
«Piacere mio», rispose lei e mi rivolse un sorriso di circostanza, sembrava a disagio. Poi per un attimo mi dimenticai di Mary. Forse io e Georgie ci eravamo già incontrati, però potevo anche sbagliami e averla confusa con un'altra. Preferii evitare, la salutai e dissi a Mary che l'avrei chiamata presto.
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