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ROSEMARY

Quando tornai a casa, tremavo ancora per l'emozione. Non riuscivo a non pensare ai suoi occhi, alle sue labbra. Volevo urlare al mondo intero quanto ero felice. Salii su per le scale canticchiando, la voce di mia madre dalla cucina era solo un suono distante e indecifrabile. In quel momento, mi sentivo in una bolla, tutta zucchero e allegria. La protagonista di un mondo incantato che aveva raggiunto la pace dei sensi. Non riuscivo a smettere di sorridere, il cuore era sopraffatto dalla gioia.

Aprii le tende, la luce mi abbagliò, poi guardai fuori dalla finestra: anche le strade, gli alberi, le case, le nuvole sembravano felici. Nonostante la pioggia, il cielo era limpido, il mondo colorato. Indossai vestiti asciutti, i miei gesti erano lenti. Nella mente correvano immagini di noi: frammenti di ricordi. Con i capelli ancora bagnati, mi lasciai cadere sul letto, chiusi gli occhi e sospirai. Non volevo svegliarmi per nessun motivo al mondo.

«Rose, a tavola!», sentii urlare mia madre dal piano di sotto. «Rose!» Spalancai gli occhi. Per nessun motivo al mondo. «Rose, papà è a casa! Scendi!» Sbuffai e raggiunsi controvoglia la cucina.

Presi posto. Alla tv lampeggiava una partita di baseball, papà la seguiva distratto, con una mano si allentava la cravatta, con l'altra mangiava. Di fronte a me, mamma masticava con gli occhi bassi lo sformato di carne. Fissai il mio piatto stracolmo di cibo e lo rigirai con la forchetta. Lo stomaco si era chiuso, la mente si era aperta e un fiume di incertezze l'aveva invasa. Pensai a Robert. Con quel bacio, aveva lanciato su di me un potente sortilegio. Non c'era alcun antidoto per sconfiggerlo. Ormai ero in trappola. Non potevo tornare indietro, dovevo proseguire e cercare di sopravvivere. Non farmi schiacciare dalla sua bellezza, difendere il mio cuore, salvare la mia anima. Ero vulnerabile, ma potevo ancora farcela.

«Rose, hai sentito cosa ho detto?» Mi risvegliai dai pensieri e guardai mia madre disorientata. «Perché non mangi? Veloce che si fredda tutto».

Posai gli occhi sul piatto e assaggiai lo sformato. Era insipido, un po' dolce ma non quanto le labbra di Robert.

«Non ti piace?», continuò. Annuii, stavo per rassicurarla, anche se non era vero, ma domandò sospettosa: «Perché hai ancora i capelli bagnati? Dove sei stata stamattina?»

«Stamattina?» Immagini di Robert apparvero nella mia mente. «Beh, a casa di Sam...» Non era necessario raccontarle di lui, anche perché non c'era nulla da dire.

«Spero che abbiate studiato», disse prima di bere un po' d'acqua.

«Certo che abbiamo studiato!», la rassicurai. Poi, per sviare il discorso, chiesi: «Papà, a te come è andata la mattinata?»

Sollevò lo sguardo e rispose con un'alzata di spalle: «Come al solito, Rose».

«Hai visto che tempo?», mia madre si rivolse a lui con tono stupito. «Pensavo non uscissi».

«Sì, lo so, ma era necessario. Il manager di un nuovo talento doveva parlarmi di alcuni accordi...», le rispose con fare un po' annoiato.

«Joseph, la domenica, però, potresti evitare di lavorare. Hai anche una famiglia...», replicò mia madre risentita.

«E per chi pensi io stia lavorando, Kate?», sbottò lui.

«Lo so, però dico solo...» Mia madre strinse tra le mani uno straccio.

«Basta, ne abbiamo già parlato», la interruppe. «Non ricominciare per favore».

Ultimamente, assistevo spesso ai loro litigi. Mio padre rincasava tardi, lavorava nei festivi e mia madre si lamentava. Non sorridevano più, i loro sguardi erano freddi, parlavano fra loro come due estranei. Li osservai: i gesti erano meccanici, i volti inespressivi, infuriati o annoiati. Sembrava non sapessero fare altro, programmati come due robot a ripetere la stessa mansione all'infinito. Io non sapevo a chi dare ragione, in fondo si trattava di lavoro, ma avrei voluto che mio padre fosse più presente. O meglio, che ritornasse a esserlo. Che strazio i cambiamenti, le mancanze, la perdita di interesse! Restare soli è così semplice, nessuna complicazione, nessuna aspettativa. Nessun cuore spezzato. A che scopo sposarsi, se poi si resta comunque soli?

Decisi di interrompere lì il litigio. «Papà, ho parlato con zio Stefan. È qui a Somerville». Forse non era il momento più adatto, ma dovevo fare qualcosa.

Mia madre mi fissò confusa; mio padre corrugò la fronte e disse: «Cosa stai dicendo, Rose? Zio Stefan è tornato?»

«Sì». Mi alzai.

«E perché lo dici solo ora?»

Li guardai amareggiata. «Sono stanca delle vostre litigate». Lasciai la cucina e mi chiusi in camera.

***

Il lunedì mattina non passai dalla caffetteria. Dopo quel bacio, la mia mente era stata travolta da uno tsunami, che invece di spazzar via le incertezze le attirò a sé. Cercai di concentrarmi sulle lezioni, anche se ogni tanto i miei pensieri rivivevano momenti passati con lui. Il cuore batteva più forte e dentro di me si faceva strada la voglia di innamorarmi ancora. Poi, però, venivo svegliata dalla voce di un professore e ritornavo la Rose cinica e realista.

Fra una lezione e l'altra, camminando per i corridoi, Georgie mi chiese di Robert, se ci fossimo rivisti, e io le raccontai di domenica.

«Ah, finalmente! Iniziavo a sospettare che fosse gay», ridacchiò. «E ti è piaciuto?»

Ripensai a quelle labbra, al modo in cui avevano accarezzato le mie, alla lingua, alla mano calda sulla mia guancia. «Molto», sospirai.

Georgie mi scrutò. «Wow, tesoro, ti piace tanto questo tipo!»

«Me lo si legge in faccia?», chiesi preoccupata.

«Secondo me, tu sei già cotta».

Mi sentii arrossire e risi incredula. «Ma no, non sono...» E poi lo vidi e smisi di parlare. Ogni muscolo del mio corpo si paralizzò, a eccezione del cuore che iniziò ad accelerare. Robert aveva lo sguardo un po' smarrito e una consegna tra le mani. Se si fosse voltato, si sarebbe accorto di me e mi avrebbe raggiunta. Ma, dopo quello che era successo, dovevo prendere le distanze. Non mi sentivo abbastanza forte per affrontarlo. Presi Georgie per un braccio e la spinsi dentro un'aula vuota. Socchiusi la porta.

«Ehi, ma che fai?», chiese stordita. Ma io non risposi e controllai se Robert fosse ancora lì. Era sparito.

«Che stiamo facendo?»

«Mi nascondo da Robert», rivelai d'istinto.

«Da Robert? E che ci fa qui?»

Maledetta boccaccia, pensai in quel momento. Quale altra scusa avrei potuto usare? «Okay, possiamo andare», sviai il discorso e uscimmo dall'aula.

«Rose!» Incontrai il suo sguardo infastidito. «Perché tutto questo mistero?»

Esitai, non sapevo come risponderle, poi sospirai. «Ho paura, Georgie. Non voglio affezionarmi per poi essere delusa».

«E pensi che scappare serva a qualcosa?»

Scrollai le spalle. Sapevo che il mio comportamento non avrebbe portato a nulla, ma in quel momento mi sembrava la via più facile.

«Lo sai qual è il problema?», posò una mano sulla mia spalla. «Tu parti subito col piede sbagliato. Ecco perché dovresti fare come me, va beh... magari non proprio come me. Però vivi questo ragazzo con spensieratezza, sii furba e magari si innamorerà prima lui di te». Mi fece un occhiolino e sorrisi incerta. «Provaci, ma con distacco».

«Devo provarci, ma con distacco?»

Levò la mano dalla mia spalla e la sollevò come a voler scacciare una mosca. «Ma sì. Fai un po' la difficile, rifiuta qualche appuntamento... Solo così capirai se fa sul serio o no».

«Dici?»

«Fidati, lo so». Sorrise e io continuai a ripetere nella mente: Devo provarci, ma con distacco. Volevo convincermi che sarei riuscita, almeno questa volta, a lasciare integro il cuore da qualsiasi turbolenza.

Finite le lezioni, incontrai le mie amiche nell'atrio della Moz-Art. Gli occhi di Sam si illuminarono al racconto di domenica e disse incuriosita: «Dai, raccontaci di più però. Cosa fa? Studia? Lavora?»

Lanciai un'occhiata furtiva a Georgie, temevo potesse intromettersi, ma il suo sguardo era piuttosto eloquente. Diceva: "Smettila e parla, per favore".

«Beh... lavora».

La biondina sbuffò scocciata. «Dove lavora?»

«In quel pub, dove l'ho conosciuto».

Sam spalancò le palpebre, sorpresa. «Lavora al Blue Jeans?»

«E che ci faceva stamattina qui?», continuò sospettosa la biondina. Sembrava l'interrogatorio di un agente dell'FBI.

«Era qui?», chiese Sam eccitata.

«Sì, perché lavora anche nella caffetteria», sputai tutto d'un fiato. Non sopportavo più la loro curiosità. Però mi sentii più leggera, libera da un peso.

«Aspetta. La nostra caffetteria?»

«Sì, Georgie, quella dietro di te». Sbuffai e la mia amica si guardò un attimo alle spalle.

«Quindi, ci sarà passato tante volte sotto il naso...», rifletté la rossiccia, un indice sul mento. «E ora chi sarà?»

Mi aggiustai lo zaino e risposi divertita: «Eh, mistero!»

Le mie amiche si osservarono incredule e io approfittai della loro distrazione per avviarmi verso l'uscita della scuola.

Poi fuori in cortile lo vidi e mi immobilizzai. Il cuore sussultò, le mani si fecero più sudate, le gambe divennero gelatina. Robert era lì, un braccio appoggiato al cancello, che parlava con un ragazzo. Lo fissai terrorizzata. Cosa faccio ora? Non volevo parlargli, non ancora. Mi assalì l'ansia e pensai a un modo per sfuggirgli, non doveva vedermi. Avrei persino aspettato nella scuola fin quando non se ne fosse andato.

«Qual è dei due?», chiese Georgie sospirando.

Distolsi di colpo lo sguardo e lo posai su di lei. «Ehm... Che cosa?»

«Qual è Robert tra i due?» Aveva l'aria annoiata e l'espressione di chi ha già capito tutto e aspetta solo che confermi.

«Quello più alto con la giacca nera», riferii frettolosa e mi lisciai i jeans per levarmi un po' di sudore dalle mani. Tremavo al pensiero di avvicinarmi.

«Accidenti, che figo!», commentò Sam. «Hai scelto il barista migliore».

Mi scappò una risatina, poi Georgie mi tirò per un braccio. «Su, non essere timida, andiamo a salutarlo».

«No, meglio di no», dissi bloccando il passo.

«Rose, è solo un ragazzo», mi rimproverò. «Ricorda quello che ti ho detto». Devo provarci, ma con distacco.

«Perché? Cosa ti ha detto?», mi domandò Sam. Ma non risposi, la gola si era seccata all'improvviso. Robert si era accorto di me e stava venendo nella nostra direzione.

«Le ho detto di...», iniziò a riferirle Georgie, ma non ascoltai il resto. Il sorriso di Robert mi rese cieca e sorda. Sentivo le gambe cedere, il cuore aumentava i battiti man mano che si avvicinava. Poi presi un grosso respiro. Devo provarci, ma con distacco.

«Ciao, Robert».

Salì le scale e si fermò a due scalini sotto di me. «Non ti ho vista per niente, oggi». Tradotto: "Perché non sei passata in caffetteria?"

«Sono stata molto occupata», cercai di essere fredda. O almeno di non sudare o balbettare.

Infilò le mani in tasca e annuì. «Ah, okay».

Guardai un attimo Sam e Georgie, fingevano di ignorarci, così ritornai a lui e dissi con un sorriso: «Scusami, però, ora devo scappare. Io e le mie amiche abbiamo da fare».

Si voltò a guardarle, poi mi chiese: «E se ti proponessi di pranzare insieme?»

«No, non posso. Mi dispiace». Spostai il peso sul piede sinistro.

«Ah». Notai il suo sguardo deluso. «E domani?»

«No, neanche», risposi sbrigativa per non apparire incerta.

Mi scrutò diffidente. «Ah, no? E come mai?»

«Beh...». Cercai una buona scusa, ma i suoi occhi concentrati su di me mi tolsero la capacità di pensare. Ero spacciata.

Annuì e si arrese: «Va bene, ho capito, non preoccuparti».

Fui travolta da un senso di sconforto. Mi aspettavo più insistenza da parte sua. «Okay, ci sentiamo allora». Non avrei dovuto dirlo? Non ero proprio brava a tenere le distanze...

Robert annuì frustrato e mi dette le spalle. Guardai le mie amiche, Georgie sollevò il pollice, per lei avevo fatto la cosa giusta. Sam, invece, scosse la testa dispiaciuta.

«Mercoledì sera. Non dirmi di no». Era la sua voce ostinata e tornai a guardarlo: brillava di speranza. Il mio cuore fece mille capriole, ero felice che non si fosse arreso, e sentii le guance infiammarsi.

«Va bene, mercoledì», risposi e non riuscii a nascondere un sorriso.

Immobile, su quelle scale consumate, lo vidi andar via, poi mi sedetti su un gradino ghiacciato e sospirai. Il cuore è il peggior rivale che esista. Chi crede di vincere è solo un illuso.

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