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Una lettera per Santa Claus.

Quel venerdì mattina era più gelido del solito, a Chicago. In tv, il cui suono riecheggiava quasi fino al piano di sopra, annunciavano nevicate per tutta la giornata. Lizzie mi avrebbe probabilmente presa a borsate, se fosse stata lì, accanto a me. Diciamo che proprio quella giornata si prospettava essere abbastanza nera. Non solo sapevo con assoluta certezza che mi sarei beccata una lavata di capo dalla mia migliore amica; anche la mamma era furiosa con me. Ma lo ammetto, l'avevo combinata abbastanza grossa.

Mi ero svegliata poche ore prima con due immense borse sotto gli occhi, nonostante avessi riposato bene. Mi sentivo fiacca ed ero arci-sicura che il caro e vecchio raffreddore sarebbe venuto ben presto a rompermi le scatole con tutti quegli starnuti. E così, ancora al caldo, sotto le coperte, avevo escogitato uno stratagemma praticamente perfetto. Appurato il fatto che mancassero cinque minuti al suono della sveglia, mi ero alzata con un colpo di reni e di soppiatto avevo preso il termometro. La lampada sulla scrivania era molto vecchia - era un regalo che mi aveva fatto mia zia molto tempo prima - e tendeva a diventare subito calda, così l'avevo accesa ed avevo aspettato un paio di minuti. Dopodiché mi era bastato lasciar rilevare la sua temperatura al termometro e tornare subito a letto, giusto in tempo per quando la sveglia si mise a trillare.

Era passato esattamente un minuto, quando la mamma aveva bussato alla porta di camera mia. «Sel, basta poltrire!» aveva urlato, per poi irrompere e cominciare ad aprire tutte le tende. Mi ero trattenuta dall'urlare che non c'era bisogno di fracassarmi i timpani, perché credetemi se vi dico che sembrava stesse parlando attraverso un megafono; né di non farmi più vedere un accidente con tutta quella luce. Piuttosto, mi ero limitata ad un mugugno scontento. La mamma mi aveva lanciato un'occhiataccia nel tentativo di farmi alzare, sapeva bene anche lei che quelle occhiate lapidarie avrebbero potuto far venire i brividi persino a chi il dono della vista non ce l'aveva. Così mi era bastato fare un po' la melodrammatica e mostrarle il termometro, per fortuna le borse sotto gli occhi ed il mio naturale pallore aiutavano. Sapevo che di lì a poco sarebbe andata a lavorare, e fu così, solo dopo avermi fatto mille raccomandazioni sul chiamarla per qualsiasi evenienza.

Dopo aver sentito la porta sbattere, ed aver aspettato almeno cinque minuti per accertarmi di averla scampata, ero scesa in cucina tutta contenta per essere rimasta a casa. Ma a quanto pare il mio secondo nome era Sfiga, perché mentre per la felicità improvvisavo una strana danza, quasi una macarena, la porta si era riaperta ed io non avevo fatto in tempo a tornare di sopra. E così mi aveva scoperta, ed era super arrabbiata. Non solo si era preoccupata per nulla, ma odiava le bugie ed io lo sapevo bene.

Un tonfo mi riportò alla realtà. Ovviamente, era la mia scorbutica mamma che, con rabbia, aveva posato una tazzina piena di cioccolata calda sul tavolino del salotto, proprio davanti a me, stesa sul divano. «Grazie, mamma» mormorai piano, ben sapendo che instaurare un dialogo avrebbe fatto innervosire entrambe. Lei, per tutta quella storia e me, perché sapevo bene che avrebbe liquidato la questione. Le avevo già chiesto scusa ovviamente, adesso era solo questione di tempo. Ma già il fatto che mi avesse portato una cioccolata calda era un buon segno. Ancora un po' di tempo e le sarebbe passato.

Dopo aver constatato che nessun programma era interessante, spensi la tv ed andai alla finestra, tra le mani la tazza bollente con la cioccolata. Il cielo aveva iniziato poco prima a piangere neve gelata, i fiocchi cadevano candidi, imbiancando ogni superficie. Nel pomeriggio, ne fui sicura, le strade sarebbero state popolate di bambini allegri che giocavano con la neve. Una volta mi ero persino beccata una palla di neve proprio dietro la testa. Il bambino che l'aveva lanciata aveva una pessima mira, al contrario della sua amica, che invece colpiva tutti con la precisione di un cecchino. Un po' come le mamme arrabbiate che ti lanciano dietro le ciabatte...

La postina arrivò proprio in quel momento con il suo camioncino giallo, le catene sulle ruote del veicolo per evitare di scivolare sulle strade innevate. Scese tutta incappucciata, probabilmente avvolta in strati e strati di vestiti, e con passi incerti e qualche noiosa lettera tra le mani, si diresse verso la nostra casella postale. Si fermò proprio a qualche passo da questa, con lo sguardo puntato a terra. Non capii cosa stesse succedendo, fino a quando non la vidi chinarsi e raccogliere una busta di colore rosso. Probabilmente una di quelle noiosissime trovate pubblicitarie di Natale che aveva perso tra il plico delle lettere.

Aspettai che le riponesse con cura nella casella postale, prima di correre all'appendi-abiti davanti all'ingresso, dove afferrai un cappotto e un paio di stivali. «Mamma, vado fuori a prendere la posta!» urlai, certa che mi avrebbe sentita. Corsi fuori con una rapidità che avrebbe fatto invidia ad un velocista, e arrivata fino alla casella presi le lettere; le mani già gelate che aspettavano solo di attaccarsi a qualche superficie bollente.

Una volta in casa allora, le riposi tutte sul tavolo. Stavo per andare via e tornare in salotto, dove sentivo la mamma ravvivare il fuoco nel camino, quando quella lettera rossa catturò la mia attenzione. La presi tra le mani, per fortuna non aveva nevicato tanto da danneggiarla. Sembrava fosse arrivata lì per caso, dato che dopo un attento esame constatai che non c'era un destinatario, né un mittente.

Sembrava una lettera fantasma.

Senza pensarci troppo, la nascosi in tasca e me ne tornai in salotto. L'avrei aperta da sola quando la mamma sarebbe andata in un'altra stanza: adesso ero ufficialmente curiosa. Il mio essere fondamentalmente una diciassettenne già mi mandò in fibrillazione, che fosse una lettera lasciata cadere davanti casa mia, magari da qualche ammiratore segreto? Sapevo che era un'idiozia, chiariamo bene i fatti, per questo non riuscii a trattenere un sorriso.

«Selene, ci sei?» la voce della mamma mi riportò alla realtà, lontano da quelle strane supposizioni. «Scusa mamma, hai detto qualcosa?» le risposi. Avevo vagamente capito che aveva parlato, ma non avevo la minima idea di cosa mi avesse chiesto. Per tutta risposta lei ridacchiò sotto i baffi. «Che c'è, il fidanzato ti ha scritto un messaggio sdolcinato?» mi schernì con affetto.

Dal canto mio, sbuffai. «Mamma! Non ho un fidanzato» esclamai, trattenendo un sorriso. Una persona c'era... Ma dubitavo che sapesse altro di me, oltre al mio nome. Lei rise. «Lo so. Sono sicura che se fosse il contrario balleresti la macarena più spesso» sorrise, rivangando il mio strambo balletto di questa mattina. Questa volta non potei trattenermi e la seguii a ruota, doveva essere stato tutto molto buffo.

Quando la mamma cominciò a pulire in giro per casa - il capo dell'ufficio dove lavorava era malato e le aveva dato la giornata libera, e quello era il motivo per cui mi aveva scoperta - tirai fuori la lettera. Benedette le tasche grandi del maglione lungo che indossavo! Quasi pazza dalla curiosità, aprii la lettera. La calligrafia era ordinata, precisa e perfettamente chiara.

Caro Babbo Natale...

Quante possibilità c'erano che qualcuno mi avesse giocato un brutto scherzo? E soprattutto, chi diavolo scriveva più a Babbo Natale? Quella non era di sicuro la scrittura di un bambino! Ed io, di sicuro non ero un barbuto e simpatico anziano, gentile con tutti i bambini. Semmai tutto il contrario! Sapevo essere una strega, a volte. Sempre più incuriosita, ripresi a leggere.

Caro Babbo Natale,
devo dire che a scrivere a te, vecchio barbuto inesistente, mi sento tremendamente stupido.

Presi mentalmente nota che chi aveva scritto la lettera era un ragazzo.

Eppure non so perché, questa volta ne ho sul serio bisogno. Che strano modo di esprimere i desideri, vero? Quello che vorrei chiederti questo Natale non è uno stupido super-eroe (anche se quelli li adoro ancora), non una PSP, né una PlayStation. Ciò che davvero desidero, ora che sono cresciuto, è un po' di Musica... E magari anche un pizzico di felicità.

Aggrottai le sopracciglia, Musica?

Ti chiederai di sicuro che razza di strana richiesta sia questa. Sai anche tu, forse anche meglio di me, che siamo ormai nel ventunesimo secolo e che tutti possono ascoltare Musica quando vogliono. Però, sempre concesso che tu esista, se mi conoscessi sapresti che per me la situazione è diversa. Melany aveva un rapporto molto più speciale del mio con nostro padre e con la musica. Lui le ha trasmesso tutta la sua passione, e quando è scomparso lei si è spenta come un falò nel mare. Ogni tanto desidero che quel pianoforte emetta ancora quei suoni melodiosi e capaci di portarti in un altro mondo. Non sopporto di vederla così spenta. Ora come ora, la Melany di prima è solo un ricordo tanto lontano, e per questo triste. Potrebbe sembrare un desiderio altruista, ma non è del tutto vero. In fondo è anche un po' egoistico, perché tutto ciò fa male anche a me. Tutto quello che vorrei è vederle sorridere, Melany e la mamma, ancora altre volte.

- Jason

Sbiancai come un lenzuolo subito dopo aver letto la firma. In pratica diventai una mozzarella. Quella firma aveva fatto diventare tutti i pensieri che mi vorticavano nella testa cristallini, sfavillanti come gemme Swarovski.
Chi aveva scritto la lettera era quel ragazzo. Quello che mi piaceva. Jason.
Io e Melany ci eravamo conosciute tramite amici, ma non avevamo mai legato. Sapevo solo che suonava il piano fino all'anno precedente, e poi aveva smesso. Non immaginavo che la ragione fosse il padre. Avevo sentito che dopo una lite era andato via e non aveva più visto i suoi figli. E Melany soprattutto ne aveva subito le conseguenze. Aveva perso l'anno precedente, quindi nonostante fosse più grande di suo fratello ci ritrovavamo tutti e tre ad essere dei seniors.
Mentre riflettevo sulla lettera, una strana, forse l'idea peggiore della storia, mi balenò in mente: dovevo aiutare Jason a realizzare il suo sogno.

Come immaginavo, il lunedì seguente Lizzie mi prese a borsate. Dopo avermi abbracciata e avermi detto quanto avesse sentito la mia mancanza il venerdì della lettera. «L'unica cosa positiva» stava dicendo «è che tra poco meno di un mese la scuola organizzerà uno spettacolo di Natale! Ci saranno balli, e canti, e Musica...» il suo discorso continuò fino all'inverosimile - era davvero la persona più logorroica che conoscessi, ma le volevo molto bene anche per quello - ma io smisi di ascoltarla nel momento in cui pronunciò la parola Musica.

«Ma cos'hai stamattina? Sei anche più distratta del solito... Non hai ascoltato una parola» Lizzie mi riportò alla realtà, agitando i capelli biondi. Accidenti com'era permalosa! «Scusa, ma non ci sono proprio con la testa, Liz» scrollai le spalle.

«Lo vedo! Tu mi stai nascondendo qualcosa, Sel. Avanti, sputa il rospo» mi intimò. Incrociò le braccia e puntò i suoi occhi azzurri, brillanti come il ghiaccio colpito dal sole nei miei; di un blu intenso come il più prezioso dei zaffiri. «Chi, io?» risposi con nonchalance, portandomi una ciocca dei miei capelli castano scuro dietro l'orecchio.

Lizzie sbuffò. «Senti un po'... Ti sembro forse una vecchia imbecille?» chiese alzando gli occhi all'aria.
«Mmh...» feci finta di rifletterci su «a volte?» dissi poi con aria interrogativa ed un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
«Sel!» esclamò lei quasi indignata, prendendo a rincorrermi.
Alla fine, entrambe scoppiammo a ridere. «D'accordo, ti dirò tutto, anche perché sono giorni che ci penso. Volevo dirtelo prima, ma ci tenevo a parlartene faccia a faccia» spiegai, prima di raccontarle tutto.

Lizzie aveva il grande dono di ascoltare e ponderare le sue risposte, e anche quello di intervenire al momento giusto. Una volta che ebbi finito il mio racconto, si alzò e mi porse la mano. «Esaudiamo questo desiderio, allora!» esclamò contenta. Le afferrai subito la mano, ed insieme studiammo un modo per rendere Jason felice. Non vedevo l'ora di guardarlo e scorgere uno scintillio di felicità nei suoi occhi neri, scuri ma allo stesso tempo così caldi e vitali.

Forse per coincidenza, quella sera con Melany arrivò anche Jason. Lo guardai quasi incantata mentre, fiero, camminava verso tutti noi. Zack fu il primo ad andargli incontro, insieme a Derek e Sarah, che lo conoscevano meglio di tutti noi del gruppo. Quanto a me, mi limitai a guardarlo da lontano cercando di non farmi notare, cosa che a quanto pare mi riuscì piuttosto male.

Lizzie mi tirò un calcio sotto al tavolo, centrando la tibia, e dovetti mordermi la lingua per non lamentarmi. Era un chiaro segno che dovevo piantarla di guardarlo con sguardo sognante.

Jason spiegò che Gareth e Kevin gli avevano dato buca all'ultimo minuto, così Melany gli aveva chiesto di unirsi a noi per quella sera. «Perchè Kevin non c'è mai?» brontolò Lizzie sotto voce. Le piaceva, e non le si poteva dare torto.

Notai che la presenza di Jason aiutava molto Melany. Non che avesse bisogno di ausili fisici o altro, ma dovevano essere davvero molto legati perché ogni sorriso era più luminoso. Le arrivava davvero anche agli occhi verde chiaro, fino a quando questi si girarono verso l'entrata del bar.
Furono invasi dalle ombre, come se fossero entrati in una sorta di foresta nera fatta di ricordi ombrosi. A Jason bastò seguire lo sguardo di sua sorella perché i suoi occhi facessero la stessa cosa. Diventarono scuri come l'essenza stessa dell'oscurità, tanto da confondersi con la pupilla. E bastò guardare l'uomo a cui era rivolto tutto quell'odio per capire subito chi fosse.

Metteva quasi paura. Era una perfetta combinazione tra i visi di Jason e Melany. Dopo mesi il loro padre si era fatto vivo di nuovo, ed era lì, davanti a loro, pronto ad incrinare tutti i muri che avevano eretto in sua assenza. La rabbia dei due fratelli arrivava anche a tutti noi a ondate, mi sembrava quasi di sentire l'aria sfrigolare, quasi la loro rabbia potesse appiccare un incendio.

Con calma quasi glaciale Jason e Melany ci fecero un segno. Annuimmo tutti, e rimanemmo a guardarli mentre uscivano fuori per avere un po' più di privacy. Sperai per loro che potessero trovare un po' di felicità, finalmente. Proprio come chiedeva Jason nella lettera.

Ci volle un po' di tempo prima che i due fratelli riuscissero davvero a perdonare il padre, ma quel periodo natalizio fu felice comunque, per me.

Dopo un po' di tempo Jason ed io diventammo amici. Certo, questo non fece altro che accrescere la mia cotta per lui, ma non fu un male. A volte avevo l'impressione che il suo sguardo si soffermasse su di me quando io non stavo guardando, oppure che mi sorridesse spesso anche senza ragione. E quei sorrisi mi facevano venire voglia di vivere per davvero. Non so spiegare il modo in cui arrivavano agli occhi, la sincerità che esprimevano o la bellezza racchiusa in essi. Mi piaceva solo guardarlo sorridere. E mi capitava di pensare che forse quel vecchio barbuto che tutti chiamano Babbo Natale esistesse davvero; anche se poi scuotevo la testa sorridendo, pensando a quanto poco senso avesse.

Il giorno dello spettacolo arrivò. La palestra, abbellita e trasformata per l'occasione, si riempì così tanto che persi Lizzie tra la folla, e non riuscii a ritrovarla neanche saltando sulle punte. La sua testa bionda sembrava sparita, eppure non era poi così bassa. Da qualche parte c'erano anche i miei genitori, ma ero stata così brava da perdere anche loro. Provai così a dirigermi verso l'entrata, che un fiume umano stava attraversando, fino a quando non mi bloccai alla vista di Jason e la sua famiglia. Lui non perse un solo secondo a venirmi incontro, non appena i nostri sguardi si incrociarono. Con un saluto veloce, si allontanò dalla sua famiglia sotto le risatine di Melany. Chissà cosa aveva visto di tanto divertente...

In compenso, il mio amico sembrava felice, entusiasta. Mi dimenticai di tutti i pensieri quando mi sorrise. Le cose con suo padre erano decisamente migliorate, complice il fatto che Melany avesse accettato di suonare il pianoforte quel giorno. Giuro solennemente di non aver aperto bocca... Okay, forse avevo soltanto fatto una soffiata a Shannon ed Hale, gli organizzatori dello spettacolo. Quale miglior modo per fare Jason felice? Certo, c'era il rischio che Melany avesse potuto rifiutare, ma almeno ci avevo provato, ed era andata bene.

Jason mi rimase accanto tutto il tempo. Qualche minuto prima che lo spettacolo iniziasse, ci rendemmo conto che non avremmo più trovato posti. La palestra era ormai piena quasi da scoppiare, così ci sistemammo in fondo alla sala. Fu lì che scorsi, finalmente, Lizzie. In qualità di presentatrice dello spettacolo era appena salita sul palco. Le bastò dare un'occhiata generale alla palestra per scorgermi in fondo accanto a Jason.

La mia migliore amica mi fece un sorrisone a trentadue denti, e poi mi strizzò un occhio. O, almeno, ci provò. Sbatté gli occhi un paio di volte, ma fu un bene in quel caso. Non era mai riuscita a fare un occhiolino, quindi sembrò solamente che stesse cercando di scacciare il sonno. Tuttavia, sperai che Jason non avesse colto il sorrisone, cosa che non fece perché si era girato a salutare Zack.

E poi, lo spettacolo ebbe inizio.
Ma io e Jason non lo seguimmo neanche per un secondo. Come al nostro solito da un po' di tempo a quella parte, cominciammo a chiacchierare di ogni cosa che ci passava per la mente. Smettemmo per un istante quando Melany, agitata e tremante, salì sul palco per suonare. E poi, sotto la magia della sua musica e di quella del sorriso di Jason riprendemmo a parlare, piano.

E mentre delle note acute, ma dolci, riempivano l'aria di qualcosa che mi faceva crepitare il cuore, la voce di Jason si arrochí. Caspita, neanche mi ero accorta che ci eravamo avvicinati. Mi chiesi per un momento se la risata di Melany fosse dovuta al fatto che Jason mi fosse subito corso incontro; e forse... Forse non avevo proprio tutti i torti.

Le nostre labbra si incontrarono a metà strada. Non so neanche chi di noi due avesse fatto il primo passo, ma poco importava. Era un bacio dolce, le sue labbra erano calde e morbide, e pensai che per niente al mondo avrei voluto lasciarle.

«Sai cosa stavo pensando?» sorrise, le sue mani ancora sulla mia vita, come se non volesse ancora lasciarmi andare. Non farlo, pensavo io nel frattempo, non lasciarmi andare.

Scossi la testa, in cenno di diniego. «Cosa?» chiesi, indecisa su dove fissare il mio sguardo. Se in quelle ombre calde che erano i suoi occhi, o sulle sue labbra. Potevano mai essere delle ombre calde?

«Mi prenderai per pazzo, ma... Forse Babbo Natale esiste» dichiarò.
Il mio cuore sussultò, il sangue prese a fluirmi caldo nelle vene, quasi mi sembrò di sentirlo.

Mi guardai bene dal rivelare della lettera. Lizzie aveva giurato di rimanere in silenzio, e così fece.

Però forse Jason non aveva tutti i torti.
Forse Babbo Natale esisteva, esiste davvero.

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