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Capitolo 54 _ Michele

È venerdì mattina, quasi tre settimane dal giorno del matrimonio, due giorni senza Gaia.

La sveglia suona e prontamente la spengo; è da circa un'ora che ho aperto gli occhi, pensando a lei, al suo ritorno, al momento in cui sarà di nuovo tra le mie braccia.
Non ero più abituato a starle lontano da molto tempo, ma non posso lamentarmi, perché ha dato priorità al nostro matrimonio e per questo non ha ancora trovato una nuova posizione lavorativa.

In questi due giorni sono nervoso, agitato, quasi intrattabile, tanto che ieri sera ho discusso con Gaia, e ora me ne pento.
Oggi ci sarà sciopero dei mezzi del traporto pubblico e mi sono innervosito quando mi ha detto che non sarebbe tornata ieri sera, forse nemmeno oggi, ma certamente domani, così da esser certa di non aver problemi nel viaggio di ritorno.
Non potevo credere alle sue parole: stare lontana da noi ancora un giorno. Come poteva pensarlo?

Solo ora ho capito che ho esagerato; l'ho accusata di non tenere a noi, di essere egoista mettendo davanti a tutto il suo lavoro, di approfittarsene. Invece lo fa anche per noi, e sono stato un idiota a pensare al contrario.

Provo a scriverle un messaggio, sperando di non svegliarla: 'Buongiorno tesoro. Ti devo le mie scuse per ieri sera. Sono un imbecille, e hai tutto il diritto per dirmelo! Ti amo, oggi ancora più di ieri.'

"Papà?" Rebecca mi chiama dalla sua stanzetta.

"Buongiorno principessa" rispondo, rimanendo nel letto, al caldo sotto le coperte.

"Ciao. Facciamo colazione? Io ho fame..." la sua vocina mi rallegra, mi riempie il cuore, e d'istinto mi si disegna un sorriso sulle labbra.

Il telefono vibra sul cuscino, dove lo avevo lasciato: 'Buongiorno a te. Non sei solo un imbecille, ma un vero idiota per aver affermato che penso prima al lavoro che a voi, e questo mi ha ferita. Il tuo problema è che ti amo, e che, nonostante le tue orrende parole di ieri sera, ora non sono più così arrabbiata.'

Mi mordo le labbra, penso che non mi merito questo perdono così facilmente, ma è Gaia.

"Rebe, chiamiamo la mamma, ti va?" Le chiedo e accendo là abat-jour del comodino.

"Sì!" Sento le sue coperte muoversi e poco dopo i piedini nudi sul pavimento. Corre verso di me.
"La chiamiamo con la telecamera del cellulare?"

"Va bene, facciamo una videochiamata!" Senza perdere altro tempo avvio la chiamata, e nell'attesa Rebecca si intrufola nelle coperte.

Uno squillo, due squilli, tre squilli.
"Buongiorno!" Gaia è sempre solare, anche alle sette di mattina, ma come fa?

"Buongiorno a te!"
"Ciao mamma!" 

"Ciao, amore mio! Come stai? Mi manchi tantissimo, ma proprio tanto tanto" l'attenzione è tutta per nostra figlia.

"Anche tu, mamma. Torni presto vero? Voglio mangiare l'hamburger con le salse, ma il papà non me lo fa. Me lo prepari tu appena torni a casa?"

"Sì, appena sarò a casa lo cucineremo insieme, ti va?"

"Sììì!" Rebecca si lancia dalla gioia sul letto, alzando le braccia.
"Ora vado a preparare la colazione, a dopo mamma!" Un salto ed è già diretta veloce in cucina.

"Arrivo subito piccola..." la informo, così da assicurarmi che non sposti le sedie da utilizzare come scale e per recuperare il necessario per la colazione, poi ritorno con l'attenzione da Gaia.

"Ma dove sei? Pensavo ti fossi appena svegliata" le chiedo vedendola camminare e alternare lo sguardo tra lo schermo del telefono e la strada di fronte a sé.

"Sto andando in stazione per capire se riesco a tornare in giornata, nonostante lo sciopero. Ieri mi hai fatto sentire in colpa, un'egoista senza cuore. Quindi eccomi qui" la sua voce è tornata dura, tagliente, e ora quello a sentirsi in colpa sono io.

"Sai bene che non era mia intenzione dirti quelle cose. Ci sono rimasto male che tardavi il rientro, pensavo solo che avresti almeno tentato di prendere il solito treno, e nel caso avvisarci che non era possibile."

"Ormai è tardi, quel che è fatto è fatto e ora sto per arrivare in stazione e trovare una soluzione."

Abbasso lo sguardo e non aggiungo altro. Sono stato veramente un idiota.

"Comunque, che farai oggi dopo aver portato Rebe a scuola? Essendo venerdì non so se andrai in palestra o meno."

"Magari faccio un salto, ma sto attento così se dovessi tornare prima del solito orario ti raggiungo subito in stazione a Milano...oppure a Bologna se riuscissi arrivare almeno lì."

"Bè, a questo punto saresti potuto venire direttamente a Roma con Rebecca, e avremmo potuto passare qui, insieme, il fine settimana! La struttura che mi ospita non avrebbe sicuramente avuto problemi a prolungare il mio soggiorno. Ma lasciamo stare, ti avviso non appena so come mi muoverò."

"Gaia, non farmelo pesare ancora, ti prego!" Dico d'un fiato, quasi esausto della sua tenacia.

"Va bene, va bene...ora vai ad aiutare Rebecca, prima che tiri fuori il mondo per mangiare poi solo i cereali!" Ride, e io con lei.

"Ci sentiamo dopo. Ti amo" le dico, mandandole un bacio virtuale.

"Ci sentiamo dopo..."

"E...!?" Sussurro, quasi una domanda, in attesa di una conferma del suo amore per me.

"Vuoi che ti dica ti amo?"

"Solo se lo provi..."

"Lo provo, ma sono ancora un po' infastidita dal tuo comportamento, quindi finché non ti farai perdonare sarò io la bambina, e non ti darò questa soddisfazione."

"Sei terribile!"

"Non è anche per questo che mi hai sposata, o sbaglio?"

"A dopo amore."

"A dopo!" Entrambi chiudiamo la conversazione.

Raggiungo Rebecca e non riesco a smettere di pensare a mia moglie.
Tra i due il vero egoista sono stato io, e nonostante si sia infastidita è già pronta per partire, trovare un modo per raggiungerci in giornata, e ha deciso tutto in pochissimo tempo.
Io, invece, non ho fatto altro che lamentarmi, e spegnere il cervello.

"Papà, ti ricordi di comprare i fiori alla mamma per quando torna?" Rebecca mi distoglie dai miei pensieri.

"Sì, vado a prenderli questa mattina, così quando torni da scuola sono già a casa e se dobbiamo andare a prenderla in stazione siamo pronti. Va bene per te?"

"Sì. Oggi mi vieni a prendere prima a scuola?" Mi chiede con la bocca piena di latte e cereali.

"Solo se la mamma torna prima, sì, così andiamo insieme in stazione, altrimenti verrò a prenderti alla solita ora."

"Mmm, ma se torna questa mattina presto? Che senso ha andare a scuola solo per un'ora?" Alla sua domanda si chiariscono le sue intenzioni, e sorrido colpito alla piccola. La assecondo, quindi la terrò con me tutto il giorno. Sicuramente le farà bene stare a casa un giorno in più, alla fine è solo alla scuola materna.

"Hai ragione. Ora facciamo colazione, ci prepariamo con calma e insieme facciamo un po' di cose, anche comprare i fiori alla mamma, va bene?"

"Quindi rimango a casa?" I suoi occhi si fanno più grandi, le sopracciglia sottili si alzano, e non riesce a frenare gli angoli della bocca che le vanno a disegnare un ampio sorriso.

"C'è qualcosa in contrario, signorina?" Domando provocatorio.

"E la mamma? Chi glielo dice?"

"Ce ne occuperemo quando lo scoprirà; per ora è il nostro segreto!" sorridiamo complici.

Le prime ore del mattino passano in fretta.
Come prima cosa andiamo a prendere i tulipani rossi per Gaia, e per farmi perdonare faccio preparare un bel bouquet con quindici fiori, verde, e velo da sposa. Quando lo chiedo, Nando, il fiorista, mi guarda un po' stupito, ma capisce subito e mi confeziona il più bel mazzo di sempre. In fin dei conti è uomo anche lui, e come me ne avrà combinata qualcuna in passato.

Decido di andare a fare la spesa, così da goderci pienamente il sabato e la domenica con Gaia, e Rebecca è d'accordo con me ovviamente.

Giriamo tra gli scaffali del grande magazzino e quando passiamo davanti alla corsia dei giochi la piccola vuole fermarsi per vedere se c'è qualcosa; non devo crollare questa volta nel comprarle un gioco.

"Papi, posso comprare questo alla mamma?" Punta il suo indice verso un orsacchiotto di medie dimensioni, al centro una bustina rossa legata alle zampe, incisa sopra, con color oro, la scritta 'for you'.

"E perché vuoi comperarlo, amore?"

"Mi piace, e mi ha fatto venire in mente la mamma. Ho sentito questa mattina che eravate arrabbiati..." abbassa gli occhi mentre svela il mio segreto.
Guardo il peluche e lo prendo tra le mani, curioso di vedere se la busta è contenitore oppure solo estetica. Un angolo della bocca si solleva quando scopro che è una busta vera di tela.

"Compriamolo! Qui dentro potremmo mettere dentro una foto di noi tre, cosa ne pensi?"

"Sìììì!" Vederla così allegra, radiosa, mi fa sempre sentire vivo.

"Allora corriamo a far stampare una foto delle dimensioni corrette, così è pronto anche questo!"
Annuisce e di fretta portiamo a termine i nostri acquisti.

Siamo dal fotografo per stampare un'immagine scelta insieme quando il mio cellulare suona nella tasca del piumino.

"È la mamma?" Mi chiede subito Rebecca.

"Sì" le passo il telefono, capendo che vuole parlarci.
Ascolto quindi il suo monologo, immaginando il botta e risposta tra le due.

"Ciao mamma!"
"Sì, sono con il papà."
"No, oggi no..."
"Quindi torni presto?"
"Ok, va bene, te lo passo."

La sua espressione è cambiata, un po' triste.

"Ehi, tesoro, allora stai tornando?" Chiedo appena porto il telefono all'orecchio.

"Perché non l'hai portata a scuola? Sai già come la penso sul tema, e il fatto che io stia tornando non è una motivazione sufficiente per tenerla a casa da scuola!" Alza la voce al telefono, nonostante sia in treno; sento il rumore di sottofondo.

"Ehi ehi ehi...non farmi la ramanzina. Per una volta non casca il mondo" rispondo infastidito.

"Per una volta non casca il mondo?! Ma che ragionamento è? Mi fai innervosire quando fai così!" Urla ancora, e la immagino con gli occhi sgranati, una mano verso il cielo muoversi frenetica.

"Senti, se hai intenzione di farmi la ramanzina hai capito male. Se tanto ci tenevi e ora ti dà fastidio, potevi rimanere a casa e gestirla!" Ora sono io ad alzare la voce, tanto che Rebecca capisce che stiamo discutendo e mi guarda con gli occhi lucidi.

"Va' al diavolo, Michele. Seriamente. Non ne posso più di discutere per queste cavolate! Per stare con voi già da oggi mi sono imbarcata su un treno stipato di gente e sto viaggiando in piedi, e tu mi rinfacci ancora che non sono rimasta a casa? Impiegherò il doppio del tempo e tu mi fai imbestialire per motivi futili. Potevi fare la qualsiasi cosa, e invece fai ciò che non sopporto, ossia a non pensare al bene di nostra figlia!"

"Sai una cosa? Anche io sono stufo di sentirti parlare così. Ieri ho esagerato io, ma oggi sei tu quella che sta esagerando. Scrivimi quando dobbiamo venirti a prendere in stazione a Milano" taglio corto, provando a chiudere la conversazione.

"Michele non osar..." interrompo la chiamata.

"Tutto bene, papà?" Mi chiede Rebecca, prendendomi per mano.

"Sì, amore. Non preoccuparti."

Alzo lo sguardo e chiedo al fotografo se la stampa a pronta. Pochi minuti e pago, per poi avviarci verso l'uscita.

Le parole di Gaia mi tormentano, diventano il mio pensiero costante, e mi dispiace aver rovinato l'atmosfera della giornata.
Per non farle pensare a quanto è appena successo, provo a rimediare portando la bambina a mangiare al fast food, così da renderla felice, o almeno è quello che spero.

Una volta tornati a casa Rebecca sistema subito la foto di noi tre nella bustina dell'orsacchiotto che abbiamo comprato, e il suo volto si illumina nuovamente.

Il telefono vibra nella tasca dei miei jeans, e ancora non rispondo alla chiamata di Gaia. È la terza volta che prova a contattarmi, ma non sono pronto ad un nuovo scontro con lei.
Guardo il suo nome illuminare lo schermo del cellulare, immobile, ma poi si arrende.
Un messaggio mi informa che ha lasciato un vocale alla segreteria telefonica, ma non lo ascolterò. Almeno non ora.

"Papà, ti va di preparare una torta alla mamma?" Rebecca mi riporta alla realtà.

"Vorresti preparare una torta? E quale?" Chiedo, non sapevo se abbiamo il necessario per cucinarne una.

"Quella allo yogurt!"

"Ci sto! Vediamo se abbiamo tutto!"

Ci muoviamo veloci per controllare e, felici di avere tutte le materie prime, ci mettiamo all'opera.
Impieghiamo il doppio del tempo a realizzare il dolce, e il risultato è Rebecca ricoperta di farina e yogurt alla fragola, io ricoperto di burro sulle braccia.

"Ora subito in doccia! Nel frattempo io chiamo la mamma per capire se è vicina, va bene?" Dico alla piccola.

"Ok" e senza lamentarsi, come il suo solito, si dirige verso il bagno principale.

Mi faccio forza e chiamo Gaia.
Il telefono è spento o occupato.

Inizio a riassettare la cucina e non appena terminato riprovo a contattarla.
Ancora spento. Forse si è scaricato il cellulare? Sì è così tanto arrabbiata da spegnere il cellulare?

Guardo lo schermo, statico, in attesa di qualcosa, ma niente.

Suonano al citofono, e rimango sorpreso, tanto che impiego qualche secondo a razionalizzare e muovermi.

"Sì?"

"Buongiorno, signor Bertazzi?"

"Sì, sono io" rispondo d'istinto, osservando le due figure dal monitor del videocitofono.

"Siamo della polizia, avremmo bisogno di parlarle" le loro parole sono fredde, lontane.

"Certo, arrivo subito" apro la porta di ingresso vicina, avvisando Rebecca a voce alta che sto uscendo in giardino.

Cammino nel piccolo ingresso esterno e ad ogni passo che faccio il cuore accelera nei battiti.
Quando sono vicino mi affretto a salutarli cordialmente "Buongiorno, ditemi tutto."

"Signor Bertazzi, io sono Roberto Macchi e il mio collega, qui, è Giuseppe Placido, e come anticipato facciamo parte della squadra di polizia. Siamo qui per parlarle di sua moglie, Gaia. Possiamo entrare? È solo?"

Li guardo senza capire, chiedendomi perché mai siano qui, ma rispondo monotono "Sono con mia figlia, lei è in casa."
Si guardano intorno prima di continuare a parlare.

"Allora è preferibile rimanere qui. Come sa sua moglie era di ritorno da Roma, e viaggiava sul treno previsto in arrivo a Milano alle 16 di questo pomeriggio. Siamo qui per informarla che purtroppo c'è stato un incidente ferroviario, che ha coinvolto il mezzo sul quale viaggiava, un deragliamento, e Gaia è una delle vittime dell'incidente..." il panico mi assale, le loro parole si perdono nel vuoto.
In lontananza un'altra frase, che non so se è rivolta a me: ci dispiace per la sua perdita.

Intorno non esiste più nulla.
Solo una sensazione di vuoto mai provata prima.

"Signor Bertazzi, possiamo accompagnarla in casa?"

Li vedo, ma è come se non li guardassi veramente, come se non ci fosse nessuno accanto a me.
Gaia è una delle vittime dell'incidente.
Non ci credo, non può essere. Non si tratta di Gaia, della mia Gaia.

"Papà, chi sono i signori?" Mi volto e mi accorgo di Rebecca sull'uscio della porta.

"Papà, perché piangi?"

Solo ora sento il calore delle mie lacrime sul volto. Mi tocco con le punte delle dita e cerco di asciugarmi le lacrime salate che disegnano piccole ricche sulle mie guance.

"Tesoro, entra in casa. Io arrivo subito."
Mi guarda per qualche secondo di troppo accorgendosi che non riesco a trattenere le lacrime, ma comprensiva mi dà ascolto e si gira e rientra in soggiorno.

Sono solo.
Il mio sogno spezzato, il nostro sogno.

Le gambe si fanno molli, la vista si annebbia, le forze iniziano a mancare. Riesco solo a voltarmi a guardare i due poliziotti e sentire ancora una volta 'ci dispiace per la sua perdita'.
Dopo questo, il nulla.

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