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Capitolo 50 _ Michele

Rivedo il suo viso appena sveglia, come mescola il caffellatte al mattino con movimenti lenti e assonnati, come inclina la testa quando le racconto qualcosa e mi ascolta attenta, il suo sorriso naturale quando mi scopre a fissarla.

Io e Gaia ci amiamo; un amore mai provato prima, almeno per me. Siamo pieni di energia, di progetti per il futuro e intrepidi per conoscere la nostra piccola.

In questo anno e mezzo mi ha fatto scoprire i miei limiti, i miei punti di forza, e lei ha messo in evidenza i suoi, e forse per questo siamo una coppia libera e onesta, senza troppe pretese nei confronti l'uno dell'altro.
Siamo semplicemente noi, e insieme stiamo facendo più di quanto mi sarei aspettato.

Finalmente, da qualche mese, ho realizzato anche io il mio sogno professionale: gestire una struttura sportiva.
Insieme, poi, abbiamo acquistato una nuova casa, non troppo grande, ma comoda per tre persone, con un piccolo giardino per quando Rebecca crescerà.

Gaia è tornata definitivamente da Roma solo un mese e mezzo fa, testarda nel non voler rientrare prima nonostante fosse in dolce attesa.
Negli ultimi mesi è riuscita a portare avanti la gravidanza, i viaggi, il trasloco e la sistemazione del nostro nido d'amore, che in ogni angolo parla di noi.

Ho scoperto la sua mania di scrivere frasi sulle pareti delle singole stanze, con una calligrafia ben studiata.
Ammetto che inizialmente ho fatto fatica ad accettarle, non so nemmeno il motivo. Ma dopo il trasferimento nella nuova casa e la sua assenza, ho iniziato ad apprezzarle.
La frase che preferisco è quella sulla parete del soggiorno, e mi ha fatto compagnia negli ultimi due mesi della sua assenza: 'Ovunque tu sia, è la mia casa, la mia unica casa - C. Brontë'
Ogni volta che la leggevo, mi sentivo vicino a lei.

Mi dirigo verso la macchina, finita la giornata lavorativa, e penso a come cambierà la nostra routine tra poco più di una settimana, quando Rebecca riempierà i nostri giorni.
Vengo distratto ai miei pensieri quando sento il telefono squillare nella tasca della tuta. È Gaia.

"Ciao tesoro, sto arrivando!"

"Michele, credo che ci siamo..." le sue parole mi bloccano per alcuni secondi.

"Sei sicura?" Chiedo a bassa voce, mentre l'istinto mi mette in moto e raggiungo a gran velocita l'auto.

"Sì, ho le contrazioni, e sono abbastanza ravvicinate" la sua voce è piena di preoccupazione, e mi sento in difetto per non essere già con lei in questo momento.

"Arrivo subito."

"Stai al telefono per cortesia? Voglio stare in tua compagnia."

"Certo. Hai già avvisato i nostri genitori?"

"Ancora no."

"Non preoccuparti, li avviseremo quando sarò a casa con te."

I dieci minuti successivi sono i più lunghi della mia vita e, nonostante il breve tragitto, mi sembra di percorrere mille chilometri.

Varco la porta di ingresso e la prima cosa che vedo è Gaia, seduta sul grande divano color nocciola del soggiorno.

Mi avvicino di corsa a lei per poterle dare un bacio veloce, lei mi afferra la mano e rimango scioccato dalla forza con la quale la stringe nella sua.

Cerco di mantenermi calmo, di non esprimere e non disegnare in viso la sorpresa e la preoccupazione, ma con poco successo.

"Scusami...fanno veramente male..."

"Non preoccuparti, sono qui per voi. Chiamo l'ostetrica e nel frattempo recupero la valigia, così ci avviamo in ospedale, va bene?"

Annuisce e da come stringe gli occhi e corruga la fronte capisco che sta avendo una nuova contrazione.

"Gaia, da quando sono iniziati i dolori?" Chiedo spaventato, perché non può essere che ci siano da solo poco più di venti minuti.

"Circa tre ore fa."

"Ma che...? Perché non mi hai chiamato prima?"

"Scusa, è che non pensavo di star così male..."

"No, scusami tu...sono agitato e non avrei dovuto reagire così...prendo le cose e andiamo."

Mi avvio verso la cameretta a grandi passi e chiamo subito Tiziana, l'ostetrica. Risponde dopo un bel po' di squilli.

"Ciao Tiziana, sono Michele, il compagno di Gaia...sì, ti chiamo perché Gaia ha già le contrazioni, anche piuttosto ravvicinate...sì, circa una ogni minuto...sì, sto prendendo la valigia per venire in ospedale...no, ancora non si sono rotte le acque..."

Durante la conversazione cerco di controllare che nella borsa ci sia tutto, così da esser certo di non dimenticarmi nulla.

"MICHELE!?" Gaia mi chiama a piena voce, il tono preoccupato. Senza ragionare scatto felino verso il soggiorno.

Sulla soglia la scorgo con gli occhi spalancati, in viso un'espressione terrorizzata.
Abbasso piano lo sguardo e noto il pavimento bagnato.
Mi avvicino e le accarezzo il viso con una mano.

"Tiziana, come non detto, si sono appena rotte le acque...certo, arriviamo. Massimo un quarto d'ora e siamo lì..."

"Michele ho paura" mi dice con voce tremante mentre si appoggia a me.
La stringo forte e le poso un bacio sulla testa, cercando nel frattempo di trovare un appoggio sicuro per lei, così da recuperare il necessario per partire.

"Non devi averne. Io sarò sempre con te, non ti lascerò più sola. Dammi solo il tempo di prendere la valigia e andiamo."

Acconsente con un gesto della testa, il viso contratto dai forti dolori che prova.

In macchina avviso subito i nostri genitori, certo che voglio vivere con noi questi ultimi momenti di attesa e conoscere subito Rebecca.

Imbocco l'ingresso del pronto soccorso e li trovo tutte e quattro lì, ad aspettarci con ampi sorrisi a padroneggiare i loro volti.

Scendo dall'auto e dico un ciao frettoloso mentre corro verso Gaia, per aprirle la portiera e farla scendere offrendole una mano.

"Michele, vai pure con lei. Alla macchina ci pensiamo noi."

Ringrazio mio suocero e sorreggo Gaia mentre ci incamminiamo all'ingresso.

Appena varcata la soglia l'infermiera ci vede e ci viene incontro con una sedia a rotelle per far accomodare Gaia, che subito si siede contorcendosi su sé stessa.

"Immagino che siate qui per lei, seguitemi."

Io non le lascio la mano e capisco quando le contrazioni sono più forti, perché mi stringe energicamente le dita.

Da quando siamo entrati in ospedale non riesco più a vedere e percepire cosa si muove intorno a me.

Mi lascio guidare tra i corridoi e le stanze, la concentrazione è tutta rivolta a Gaia.
Nonostante il momento, la vedo bellissima, forte e determinata. Le guance che si gonfiano a ritmo cadenzato per la respirazione guidata la rendono affascinante, e mi sento fortunato di essere qui, con lei.

Sento il cuore pesante nel petto, e come lei non vedo l'ora di conoscere il frutto del nostro amore, della forza dell'esserci scelti l'un l'altro.

"Gaia, ora lasciati andare e quando te la senti dai delle spinte" dice l'ostetrica, nella sua professionalità.

Guardo Gaia e le accarezzo i capelli, appoggiato vicino a lei alla testata del lettino.
Il suo sguardo è intenso, profondo, e si concentra traendo forza da me.

"Ti amo" dice piano e prima di corrugare l'espressione del viso, urlando ad alta voce per la prima volta in queste ore.

Non so quanti minuti e ore siano passate da quando siamo arrivati, sono solo consapevole dell'emozioni che ho vissuto.

Ad un tratto un urlo, un flebile suono subito dopo.
Calma e sorrisi.

Guardo Gaia chiudere gli occhi e alzare gli angoli delle labbra beata, le lacrime che scendono incessanti lungo le guance.
In sottofondo il pianto di nostra figlia.

"Ecco la vostra piccola!" Dice un'infermiera mentre si avvicina con Rebecca tra le mani, ancora urlante nel suo pianto neonatale, e pronta a posarla sul petto di Gaia.

È bellissima, come è magnifica la sensazione di conforto che trova nelle braccia della mamma, riconoscendola. Smette di piangere mentre Gaia le parla piano, salutandola per la prima volta, e la piccola la guarda con quegli occhietti verdi, consapevoli che ancora non può vedere.

Per quei pochi minuti che ci concedono, ci perdiamo nella meraviglia che abbiamo davanti.
È un batuffolo rosa, con un velo di peluria bionda sulla testa e dagli occhi verdi smeraldo. Le braccia che si allungano portando in alto le manine, come se fossero in cerca di qualcosa.

Se pensavo di conoscere la felicità mi sbagliavo. Ora la vivo e ne comprendo una nuova forma che prima non avrei mai potuto immaginare esistesse.

"Ragazzi, dobbiamo prenderla per qualche minuto e poi ve la ridiamo. Verifichiamo che stia bene e la laviamo" dice Tiziana guardandoci orgogliosa.

I miei occhi ritornano in quelli di Gaia e non riesco a smettere di sorridere.

"Stai piangendo!" Mi dice tranquilla e mi conforta accarezzandomi la guancia ricoperta di barba.

"Sì, è bellissima e sono felicissimo! Come stai?"

"Ora bene, e grazie per esser stato qui, sempre."

"Era quello che volevo, non devi ringraziarmi. Ti amo, ma ammetto che ora amo di più quell'esserino che hai appena messo al mondo!" Scherzo, dicendo comunque una verità, e lei ride contenta delle mie parole.

"Ecco a voi ragazzi! È una bella bambina, in salute, e pesa tre chili e novecento quaranta grammi! Complimenti mamma, e complimenti anche a te papà! Avete già scelto il nome?"
L'infermiera si avvicina con la piccola avvolta in un telino rosa, ora bella pulita e profumata.

"Rebecca. Il suo nome è Rebecca" rimarca fiera Gaia, allungando le braccia per riprenderla a sé.

"Che bel nome! Vuole avvisare lei i parenti che ci sono in sala d'attesa?" Mi chiede gentile.

Guardo Gaia come a chiederle conferma, poi faccio cenno di sì con la testa.
Lento mi dirigo fuori dalla stanza, e ad ogni passo che faccio, seppur felice, è come se mi mancasse una parte di me, mi sento vuoto senza Gaia e Rebecca al mio fianco.

Apro la porta anti-panico che separa le sale parto dall'ampio spazio pieno di poltroncine per ingannare l'attesa, e trovo i nostri genitori che parlano tra loro felici e sorridenti, tanto da non accorgersi quasi di me.

"Siete ufficialmente nonni...è nata!" Riesco a dire solo queste parole, perché altre lacrime di gioia iniziano a scendere incontrollate dagli occhi.

Si avvicinano contenti e congratulandosi, e solo allora sento anche le voci e le risa dei nostri più cari amici.

"Ora sei entrato nel club, nemico!" Dice Gabriele abbracciandomi forte.

"Congratulazioni papà!" Interviene Rachele, dandomi un buffetto sul braccio.
E così, via via, fan tutti.

"Perdonatemi, ma voglio tornare da loro. Presto dovrebbero portarle in camera, e vi facciamo conoscere Rebecca se aspettate ancora qualche minuto."

"Certo caro!"
"Ovvio che aspettiamo."
"Tranquillo, rimaniamo qui, tu va' da loro!"

Grato della loro presenza e della loro comprensione mi volto e torno dalle mie ragazze.

Il mio passo è veloce, attratto come da una forza invisibile che mi riconduce da loro.

Apro la porta della stanza e subito il mio sguardo è per Rebecca, stretta tra le braccia di Gaia.
Mi guarda con amore e con un sorriso che esprime tutta la sua felicità.

Culla la piccola con istinto materno e questa immagine di loro, così naturale, semplice, rimarrà impressa nella mia mente e nel mio cuore.

"Sai cosa mi è venuto in mente?" Mi chiede Gaia quando sono seduto vicino loro.

"No, ma sono curioso."

"Aveva ragione Charlie Chaplin, nella sua frase 'Il tempo è un grande autore. Scrive sempre il finale perfetto', perché è così che mi aspettavo un finale tra me e te!"

"Ah sì?! Beh, io mi aspetto un finale diverso tra noi, e vedrai!"

Mi guarda negli occhi, non capendo a cosa faccio riferimento.
Non aggiungo altro e mi godo i miei tesori. Oggi, 16 aprile 2015, sarà una data che non scorderò mai.

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