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Capitolo 44 _ Michele

Sono le cinque di mattina e ho gli occhi fissi su Gaia, che dorme tranquilla nella penombra della debole luce dell'abat-jour posizionata sul mio comodino.

È serena e la sua espressione è in grado di farmi cancellare tutti i pensieri dalla mia testa, ad accezione di quelli che riguardano noi.
Sto conoscendo le sue abitudini e pian piano imparo i suoi gusti, ed è sorprendente quanto siamo simili sotto certi aspetti.

Sento il suo respiro caldo sotto le coperte e il suo corpo muoversi con regolarità. Con un tocco leggero le accarezzo la guancia, nella speranza di non svegliarla, e il solo tatto delle mie dita sulla sua pelle mi inebria, e il piacere cresce inarrestabile.

Adoro il suo contatto timido dopo aver fatto l'amore, o prima di addormentarsi.
Mi sono accorto fin da subito di questa sua dolcezza: se non è tra le mie braccia cerca di trovare un contatto con il mio corpo, appoggiando la sua mano al mio fianco, o allungare la gamba per appoggiare il suo piede al mio. È con questi piccoli gesti che mi fa sentire importante, che mi fa venire voglia di proteggerla; gesti, modi di fare, che ho sempre interpretato come una dimostrazione d'affetto, che ci tiene a me. La cosa che più mi colpisce è che mi regala questi momenti anche quando, senza accorgersene, si sta per addormentare, quando si slega dal mio abbraccio.

Mi piace il modo delicato in cui cerca le mie labbra per avere il saluto della buonanotte, quando mi bacia la punta del naso dicendo che è l'unico posto in cui può non incrociare la mia barba, oppure adoro quando ci teniamo per mano e le nostre dita si uniscono come se fossero una cerniera.

Con lei mi sento al sicuro, completo.
E' stata in grado di farmi aprire una porta che non pensavo nemmeno esistesse all'interno del mio cuore; una porta che ho attraversato volentieri e che non vorrei più oltrepassare nella direzione opposta. Mi sento come mai prima d'ora, e non sarei più in grado di far a meno di questa felicità.

Il suono della sveglia mi distoglie dai pensieri e mi appoggio sulla schiena per spegnerla repentinamente.
Sono le cinque e quaranta, e sono costretto a svegliarla se non vogliamo arrivare tardi per la partenza con la mongolfiera.

"Gaia, tesoro.... è ora di alzarsi" le sussurro in un orecchio, mentre le sposto alcune ciocche di capelli dal viso ed inizio ad accarezzarle il braccio, per coccolarla nel suo risveglio.

"Mmm... sì, due minuti ancora" risponde con la voce assonnata e senza aprire gli occhi, avvicinandosi di più al mio corpo e posando la sua testa vicino alla mia spalla.
"Mi piacciono le carezze al mattino!" Dice sorridendo e iniziando anche lei ad accarezzarmi il fianco.

"Vorrei lasciarti dormire o fare altro in questo letto con te, ma rischiamo di fare tardi" sussurro mentre la ricopro di baci su guance e fronte.

"Va bene, ora mi alzo" si stropiccia gli occhi e si stira nel letto, allungando sia gambe che braccia.
"Facciamo colazione al rientro, giusto? Ho un po' di fame" mi chiede mentre si alza e raccoglie i vestiti che ha appoggiato sullo scrittoio.

"Sì, avevamo concordato così, ma possiamo fermarci in un bar che troveremo per strada. Purtroppo, qui, fino alle sette non servono nulla."

"Ci sto!" risponde serena e si dirige verso il bagno.

Mezz'ora più tardi stiamo sorpassando il banco del ricevimento e usciamo per raggiungere l'auto nel parcheggio.

Il cielo promette una bella giornata fortunatamente e sono felice, perché essendo il primo weekend di febbraio non è una cosa scontata.
Poso un braccio sulle spalle di Gaia per trasmetterle un po' del mio calore e coprirla dall'aria fresca della mattina, per quanto mi è possibile; appoggia la testa sulla mia spalla come per ringraziarmi e stringe di più la mia mano.

"Sono emozionata" dice con un fil di voce appena entrati nell'abitacolo della macchina.

"Anch'io! Sarà un'esperienza bellissima" aggiungo mentre accendo il riscaldamento e punto il navigatore.

Appena caricata la mappa inserisco la marcia e parto, lanciando un veloce sguardo nella direzione di Gaia. Sul suo volto è possibile leggere un mix di emozioni: felicità, ansia, gioia, preoccupazione; non le chiederò nulla, perché so che si sta godendo il momento, e nella sua testa ci saranno pensieri che si rincorrono tra loro.

Il tragitto è breve e il nostro silenzio è valso più di mille parole pronunciate.
Ancora prima di fermare la macchina ci perdiamo qualche secondo a guardare la mongolfiera che abbiamo di fronte. È di una bellezza straordinaria e ne rimango colpito, non me lo aspettavo. I colori del pallone sono infiniti e la trama, seppur astratta nel disegno, è ipnotizzante.

"Che meraviglia..." dico senza accorgermene.

"Già, non avevo mai visto qualcosa di così bello" aggiunge lei per completare la mia frase.

Scendiamo dall'auto e insieme, mano nella mano, ci incamminano verso l'uomo di fronte a noi, intento a sistemare le ultime cose per la partenza.

"Buongiorno, lei è il signor Barbera?" Chiedo una volta vicini e alzando la voce, per assicurarmi che mi senta sotto il rumore del fuoco che anima il pallone aerostatico.

"Sì, buondì! Voi siete i signori Bertazzi, corretto?"

Entrambi facciano segno di sì con la testa e lui, dopo averci regalato un ampio sorriso senza motivo, inizia a raccontarci nei minimi dettagli cosa accadrà nelle due ore successive.

"Ragazzi, questo è tutto. Per facilitare l'ingresso nel cesto salgo prima io così da farvi vedere dove potete fare presa con le mani, e poi vi aiuterò a scavalcare" recita queste parole mentre salta all'interno.

"Gaia vai prima tu." Guardandola mi accorgo che nei suoi occhi c'è paura.

Non dice alcuna parola e tremante appoggia le mani in cima al cesto per salire a bordo.
Io e Gianfranco, il nostro pilota, la aiutiamo con un sorriso complice disegnato in volto.

La seguo subito dopo e, non appena a bordo, lei mi si avvicina e si mette tra le mie braccia, appoggiandosi con la schiena al mio petto.

"Ho paura... tanta paura" dice a bassa voce per farsi sentire solo da me, e d'istinto la stringo ancora più forte.

"Non devi averne, sono qui con te" le dico posandole un bacio tra i capelli.

"Non ti ho mai detto che soffro di vertigini" mi sorprende con questa rivelazione.

"Davvero? Ma quando hai aperto il regalo avresti dovuto dirmelo!"

"Mi aspettavo che la cesta di un velivolo fosse più alta di così" spiega indicando la struttura che ci circonda, continuando. "Se avessi saputo che sarebbe stata della stessa altezza della mia vita te lo avrei detto. È questo che principalmente mi fa paura."

Rido perché non finirà mai di stupirmi.

Senza accorgercene iniziamo a muoverci e a prendere quota.
In men che non si dica siamo alti nel cielo ed è una sensazione fantastica, quasi indescrivibile. La pace che si prova a stare così in alto la si prova in veramente pochi altri posti; si vede il mondo da una prospettiva diversa, del tutto nuova.
Sotto di noi le colline toscane, verdi e gialle, si illuminano sempre più quando la luce del giorno si alza, e i colori prendono sempre più vivacità.

Gaia ha preso confidenza a muoversi all'interno della cesta e non ha più paura; stretta a me giriamo intorno, nel piccolo spazio a disposizione, così da avere piena visibilità del panorama. Sorride beata ed è attenta alle spiegazioni che Gianfranco ci dispensa durante il tour.

L'ora e mezza di viaggio passa veloce e quando ci allontaniamo per tornare alla macchina Gaia inizia a saltellare felice.

"Lo rifaremo vero? Ti prego, ti prego, ti prego!" Ha capito che quando si comporta come una bambina non posso dirle di no.

"Vedremo!" La stuzzico.

"Come vedremo? Ti prego, il prossimo anno...non prima" e mi guarda facendomi gli occhi da cerbiatta, al di là dell'auto, appoggiata alla portiera.

Rido e abbasso lo sguardo, tra imbarazzo ed emozione. Senza aggiungere altro saliamo in macchina, e appena seduti mi sporgo per darle un bacio.

"Ho detto qualcosa di male?" mi chiede con voce preoccupata.

"No, ma sono contento per quello che hai detto."

"Per la proposta di un nuovo giro in mongolfiera?"

"No, per il fatto che vorrai farlo l'anno prossimo."

"E quindi?" è sorpresa.

"Mi è piaciuta la sicurezza con la quale l'hai detto, tutto qui!"

Si lancia dalla mia parte per abbracciarmi e una volta avvinghiata a me sento il suo sussurro all'orecchio "Ti amo."

"Ti amo anche io."

Rimaniamo così per qualche secondo, fin quando lei non mi riporta alla realtà dicendomi "Io ti amo, e il prossimo anno vorrei rifare questa avventura, ma se non mi porti subito a fare una bella colazione rischio di morire qui all'istante!"

"Corro, capo!" e senza perdere altro tempo imbocco la strada.

Beviamo un cappuccio e ci concediamo un pancake con crema di pistacchio e zucchero a velo. Decidiamo il piano per la giornata, e prima di incamminarci Gaia si allontana per andare alla toilette.

Approfitto di questo momento di solitudine per dare un'occhiata al telefono, e un moto di rabbia mi assale quando leggo il nome di Gabriele come destinatario dei tre messaggio che ho ricevuto:

Ho bisogno di parlarti. Chiamami quando sarai da solo, senza Gaia.

Michele, per l'amor del cielo, chiamami ti ho detto!

Michele, se non mi chiami entro un'ora lo farò io! Non mi interessa se c'è Gaia con te! Vedi di muoverti!

Odio la sua presunzione ed arroganza.

Guardo l'ora e mi rendo conto che potrebbe chiamare a minuti. Alzo lo sguardo e intravedo Gaia farsi strada tra i tavolini, per tornare da me.

"Ehi, ne approfitto anche io. Ti raggiungo a breve" le dico mentre sta per riaccomodarsi sulla seggiola, e senza dare spiegazioni mi alzo velocemente.

Appena varcata la soglia dei servizi prendo il telefono e senza esitare avvio la chiamata; lui risponde al secondo squillo.

"Ti sei deciso a chiamarmi allora."

"Cosa vuoi Gabriele." Dico secco, senza perdermi nei formalismi.

"Ho bisogno di parlare con Gaia, e volevo sapere quando passerà a prendere le sue cose."

"Se devi parlare con lei e vuoi sapere quando passerà, perché non hai chiamato lei? Non credo che ti manchi il coraggio per farlo."

"Michele non iniziare con queste frasi del cavolo. Avrò bisogno del tuo aiuto, perché dovrò dirle una cosa che, secondo me, le farà male."

"E perché dovresti farlo allora se sai che potrebbe reagire male?"

"Perché non posso fare altrimenti, e non posso tenerle nascosta ancora una volta qualcosa di grosso. Almeno questo glielo devo"

Inizio ad essere confuso e la paura si fa strada, tanto che i miei pensieri diventano un turbinio nella mia testa.

"Non vuoi concederle il divorzio? È questo che vorrai dirle?"

"No, tutt'altro. Sto già facendo preparare le carte dal mio avvocato, così potrà firmarle se è d'accordo. Ho bisogno però che tu non la faccia passare prima di martedì."

"Va bene, sarebbe voluta passare questa sera, ma troverò una scusa per trattenerla. Dimmi però cosa le dirai; se hai bisogno del mio aiuto ho necessità di saperlo."

"Ecco io...bè, Sabine è incinta ed io sono il padre del bambino."

Cosa? Com'è possibile? Sono passate solo due settimane. Sono senza parole, non so cosa poter rispondere. Perché vuole dirlo prima a me?

"Michele, è la verità. So che ti può sembrare strano, lo capisco dal tuo silenzio, ma Sabine è incinta ed è di 7 settimane. Ho riflettuto molto e credo di doverle stare accanto...anzi, voglio starle accanto."

"Almeno una cosa sensata la farai." Le parole fuoriescono dalla mia bocca senza alcun controllo.

"Michele, ho capito di amare Sabine ed è giusto che Gaia lo sappia. Credo che anche tu ami Gaia, quindi, se è così, ti chiedo di supportarla qualora non dovesse star bene alla notizia."

"Perché ti preoccupi così per lei?"

"Perché le ho sempre detto che non avrei mai voluto figli, e capirà che non li volevo con lei."

Rifletto su queste parole e ricordo il momento di confronto con Gaia, tempo fa, sul mio divano, in cui lei mi ha detto che ne avevano parlato, ma c'erano altre priorità.

"Michele?" ritorno in me.

"Dimmi."

"Ti ama, non fare gli errori che ho fatto io. Ci sentiamo."

"Ci sentiamo." Non aggiungiamo altro e chiudiamo così la conversazione.

Mi chiedo se Gaia, quella sera, mi abbia mentito o abbia voluto nascondere un suo malessere, non farmi sapere che era un tema a cui teneva particolarmente.
Non so se io debba esser felice per il divorzio, o esser frustato per questo dubbio che si è fatto strada in me.

Apro la porta e torno all'interno del locale.
La guardo da lontano, senza staccare gli occhi da lei, passo dopo passo; la vedo muovere la testa seguendo il ritmo della musica di sottofondo, mentre gioca spensierata con il cucchiaino all'interno della tazza.

Non devo far trasparire niente, né la conversazione con Gabriele, né quanto ho appena saputo, anche se ho paura di non saperle mentire.

Si gira nella mia direzione e dopo un sorriso sincero mi manda un bacio, ed io le sorrido di rimando con il cuore in subbuglio.
Prima di raggiungerla cancello dal cellulare le ultime chiamate.

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