Capitolo 3 _ Gaia
È arrivato venerdì ed è quasi ora della lezione con Michele.
Sono seduta in macchina, nel parcheggio vicino alla palestra, e mi sto convincendo che tutto andrà per il meglio. Il comportamento di mercoledì sera sarà ormai un ricordo lontano per lui; forse non ci starà nemmeno pensando o forse non si ricorderà di quanto successo fintanto non mi vedrà.
Passano i minuti e devo convincermi ad uscire dall'abitacolo per recarmi nella struttura, ma sono estremamente combattuta.
Al diavolo, chi è lui per influenzarmi così?
Con questa idea mi persuado ad incamminarmi.
Imbocco l'ingresso e saluto la ragazza seduta al bancone. Mi cambio e volo in sala per provare a recuperare qualche minuto del mio consueto ritardo, anche se oggi sarei stata in anticipo.
Inizio il mio riscaldamento sul tapis roulant e intravedo Michele terminare la lezione con un ragazzo. I nostri sguardi si incrociano: io mi blocco e per poco non cado a faccia a terra sul tappeto elettrico, mentre lui mi sorride come un Dio venuto da un altro mondo.
Mi schiaffeggio nella mia testa e penso a quanto sono stupida a pensare certe cose. Ho quasi trent'anni, per l'amor del cielo, e tra poco diventerò moglie. Continuo a chiedermi perché mi sono cacciata in questa faccenda, dove i non detti vincono su tutto.
Passano solo cinque minuti e Michele arriva da me, sorridente e carico come ogni volta. Mi chiedo come possa esser sempre così di buon umore, considerando il fatto che ci vediamo sempre verso sera.
Già accaldata e rossa per il riscaldamento, cerco di salutarlo mostrandomi salda e sicura: «Buonasera, ti avviso che la mia giornata lavorativa è stata poco piacevole, quindi sii clemente almeno tu per cortesia.»
«Buonasera a te. Clemente io nei tuoi confronti, anche dopo quello che hai fatto mercoledì? Non so, onestamente non credo tu meriti la mia clemenza.»
Sorride ancora nel rispondermi, ma ecco che ci siamo.
«Be', da un lato hai ragione, ma dall'altro non mi hai nemmeno fatto spiegare.» Cerco un appiglio, qualsiasi cosa, ma rischio di scivolare come una goccia d'acqua su un vetro.
«Sono tutt'orecchie. Hai trenta minuti, ti bastano?» Il suo tono è ironico, ma fa capire quanto tiene ad avere una risposta.
«Mi bastano trenta secondi, non credere. Mi vorrei allenare, però, se acconsenti.» Ribatto con voce seccata e vedo lo stupore sul suo viso, tanto da sgranare gli occhi e alzare le sopracciglia.
«Pensi di non esser in grado di fare due cose contemporaneamente: parlare e allenarti? Mi deludi se pensi questo!» Lancia un risolino per accentuare le sue parole e io gli lancio uno sguardo di sfida, ma prosegue quasi subito.
«Potremmo fare degli esercizi per le gambe, così avrai modo di gesticolare come meglio credi nel tentativo di spiegarmi. Sai quanto lo adoro!» Il suo tono così sicuro mi spiazza e mi mette un po' a disagio.
«Certo. Sono in grado di fare due cose insieme, non ho mai detto il contrario.» Rispondo tagliente mentre ci dirigiamo verso la pressa, e con l'occasione ammiro il suo corpo. È alto e i muscoli si intravedono perfino sotto la maglietta di tessuto tecnico ed involontariamente sospiro, attirando così la sua attenzione, ma faccio finta di non accorgermene.
Arrivati davanti allo strumento mi spiega la serie di esercizi che devo compiere e mi posiziono sull'attrezzo, pronta per iniziare.
Sento il suo sguardo addosso, ma non riesco a voltarmi verso di lui, quindi mi impongo di concentrarmi quanto più possibile sullo sforzo che dovrò fare sulla pressa.
Passano i minuti e non chiede nulla, si limita solo ad illustrare i vari esercizi da svolgere e ne approfitto per non spiegare, perché non posso espormi, non più.
I suoi occhi iniziano a concentrarsi su altro e io mi limito a fare quel che mi spiega, senza sapere se i movimenti li eseguo nel modo corretto; per questa sera va bene così, non voglio farglielo notare.
Si arrende al mio mutismo, così inizia ad impostare esercizi per le braccia.
Nel prendere la kettlebell le nostre mani si sfiorano e avverto una vibrazione intensa e una strana sensazione si fa strada dentro di me, tanto che vorrei che questo nostro contatto non finisca presto. Nel brivido che mi percorre la schiena non posso far altro che guardarlo e perdermi nei suoi occhi verdi, e anche lui non sembra intenzionato ad abbassare lo sguardo. È uno sguardo inteso, tanto che il verde delle sue iridi si è fatto più scuro, e sento il suo respiro sul mio volto. Non ho più la percezione del tempo che scorre.
«Scusami.» Dice d'un tratto imbarazzato, ma senza staccare la mano dallo strumento, e i nostri occhi rimangono fissi gli uni negli altri.
«E di cosa? Non credo che per questo occorra chiedere scusa.» Dico con un filo di voce, indicando il nostro accidentale contatto con un movimento circolatorio della mano libera e mostrandomi sicura. Dentro sono fragile e soltanto una parola da parte sua potrebbe farmi oscillare e mandarmi in frantumi.
«No, non per questo, ma per l'altra sera. So che non avrei dovuto e non so cosa mi sia passato per la testa. Ti stai per sposare e sono stato fuori luogo, ma vorrei che la nostra amicizia non ne risenta.»
«Ma scherzi!? Perché fuori luogo? Alla fine abbiamo un buon rapporto e non ho letto un secondo fine, non so perché tu me lo stia facendo intendere ora. L'altra sera ho solo ricevuto una chiamata da mia madre durante la lezione, e sono scappata perché i miei genitori avevano bisogno di me.» Cerco di sembrare onesta.
«Nessun secondo fine, ma la tua reazione mi ha fatto sentire in difetto. Ammetto, però, che ancora non capisco perché ti ostini ad andare avanti e arrivare al matrimonio. So che non stai bene. Non state bene. Dovresti avere al tuo fianco un'altra persona.»
Le sue affermazioni mi fanno riflettere, ma non posso mostrarmi confusa, non ora, anche se sono vere e dimostra ormai di conoscermi.
«Ne abbiamo già parlato. Gabriele ha fatto molto per me e non posso tirarmi indietro. Non ora.» Tengo lo sguardo basso mentre gli rispondo.
«Sì, ma sei stata tu a proporre lui di sposarti!» È duro nel recitare queste parole e la sua voce si è alzata, anche se l'ha fatto involontariamente. Ci guardiamo intorno per esser certi di non aver richiamato l'attenzione di nessuno.
Una volta certi di essere soli nella nostra conversazione gli rispondo secca e con un tono più ostile di quanto avrei voluto «Non me lo ricordare.»
Mi fissa con gli occhi sbarrati. Mi sento un'idiota per averlo portato al corrente di tutta la mia situazione. Non avrei dovuto, ma con lui è stato facile: non ha mai giudicato, ha sempre ascoltato con attenzione e mi ha sempre fatto vedere le cose da un altro punto di vista, per quanto possibile. Era un estraneo. Ma ora è molto, molto di più.
Devo cercare di smorzare la tensione che si è creata tra noi.
«Piuttosto, dopo l'allenamento aspettami che vorrei darti una cosa!»
«Ho un appuntamento, ricordi?» mi risponde monotono e non so perché provo un moto di gelosia; rimpiango di aver perso l'occasione di star con lui fuori dalle mura della palestra.
«Ah, già. Bè, ma sarà una cosa veloce! Ti ruberò solo due minuti! Per cortesia...» Cerco di mostrarmi felice e ottenere un sì come risposta.
«E va bene, hai solo quindici minuti per lavarti. Se non ti vedrò nella hall non ti aspetterò» Dice cercando di non sorridere.
«Okay! Ci sto!» E nella testa già pianifico un modo per essere più veloce di quanto sono generalmente, così da non farmelo scappare.
Non sono pronta, ma lo devo fare. Non ho alternative.
È l'unico modo per allontanarmi da lui, per non pensare e continuare ad illudermi che una come me, con i miei difetti ed il mio peso, posso stare con un uomo come lui.
Mentre finiamo la lezione inizio a pensare a come gestire il dialogo che si aprirà più tardi.
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