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Capitolo 26 _ Gaia

Esiste l'amore perfetto? Quello che non ti deluderà?

No, purtroppo no. Sono queste le domande che mi si arrovellano in testa appena sveglia.

È passata l'intera settimana lavorativa da quando Michele mi ha lasciata sotto casa, e da quel momento non ci siamo più sentiti. Ho provato a scrivergli, ma non ha risposto.
Oggi è sabato e mi chiedo se posso raggiungerlo al bar, come nostra consuetudine.

Mi alzo dal letto trascinando i piedi, ancora stanca dalla settimana appena passata, e arrivata in cucina, pronta a preparare la colazione, sento il passo pesante di Gabriele raggiungermi.

«Buongiorno!» Lo saluto con un sorriso. «Come mai oggi ti sei svegliato da solo?»

«Non lo so, mi sono svegliato e basta.» La sua voce è fredda, ma non mi stupisco dato che si è appena svegliato.

«Okay, va bene. Il tempo di preparare e puoi tornare a letto un po' prima di andare al lavoro.» Provo a proporgli, perché lo vedo particolarmente stanco.

«No, mi preparo e vado. Tu cosa farai oggi?»

«Il solito: palestra, mangio dai miei, caffè con Michele e poi raggiungo Rachele all'INHouse.» Rispondo mentre traffico con le tazze e macchina del caffè.

«Che vita monotona che fai, cara Il suo tono è pungente, mi tocca il cuore il modo con il quale a volte si atteggia con me, ma la cosa che più mi infastidisce è la malizia nel tono quando pronuncia la parola cara.

«Non rispondi alla mia provocazione?» Insiste, ma io continuo a non rispondere e inizio a bere il mio caffè-latte, sperando che impieghi poco a prepararsi ed uscire di casa, così che anche io possa mettermi in moto.

Le ore passano veloci e sono quasi le due del pomeriggio.

Sono seduta sul divano dei miei genitori e provo a riscrivere a Michele un messaggio veloce "Ehi Mich, come va? Io vorrei incontrarti, ma dato che non mi rispondi non so se verrai."

Invio subito, senza rileggerlo perché so che potrei non inviarlo più. Passa qualche minuto e sto per perdere la speranza quando sento vibrare il telefono; leggo la sua risposta glaciale "Se lo vuoi tu, ci vediamo però alle 3."

Sto forse sbagliando? Non dovrei andare o non avrei dovuto chiedere? Sono confusa.

«Tutto bene, tesoro?» È mia mamma, che si accorge che sono immersa nei miei pensieri.

«Sì, non preoccuparti. Sono solo stanca.» Le rispondo distante.

«Okay, se lo dici tu.» Taglia corto.

«Sì. Magari oggi inizio ad incamminarmi, così mi distraggo.»

E cosi, dopo aver salutato i miei genitori, mi rimetto in macchina e parto. La mia guida è distratta, lenta, come se volessi arrivare alla meta, ma qualcosa mi ostacolasse.

Arrivo al parcheggio vicino al bar e, nonostante non veda ancora la sua macchina, inizio ad avviarmi all'interno del locale, così da rimanere al caldo. Seduta al tavolo inganno il tempo leggendo un libro, che ho sempre con me, ed ordino un caffè semplice ad Alessandro, il barista.

«Ehi, Alessandro, buondì! Tutto bene?» Sento la voce di Michele e alzo subito lo sguardo.

«Ehi, ciao! Sì, tutto bene grazie. Gaia è già al tavolo.» Risponde l'altro.

«Sì, ho visto, grazie.» Il tono è cambiato rispetto al saluto, ma non riesco a percepirne la flessione corretta. I suoi lineamenti sono rigidi, spigolosi, tanto da mettermi a disagio.

Mi alzo dalla sedia pronta ad accogliere il suo abbraccio di saluto, ma appena arriva al tavolo si siede sulla poltroncina nera dicendo un semplice "ciao".

«Ciao. Come va, tutto bene?» Provo a domandargli mentre mi risiedo, imitando il suo gesto a distanza di qualche secondo.

«Splendidamente bene.» Taglia corto.

«Be', non mi sembra. Cos'hai veramente? Perché non mi hai risposto ai messaggi?» Insisto, cercando di parlare con tono sicuro.

«Me lo stai chiedendo veramente o solo per intavolare una chiacchierata fasulla?»

«Certo che te lo chiedo veramente!» Sono amareggiata e indispettita per il suo comportamento.

«Sei ridicola...» La sue parole, dette con un fil di voce, mi spezzano il cuore. Lo guardo sorpresa perché non mi aspettavo tutto questo e la sua affermazione mina la mia autostima. Sposta il suo sguardo verso i tavoli vicini.

Inspiro profondamente per immettere quanta più aria possibile nei polmoni e per farmi forza, poi trovo il coraggio «Va' al diavolo Michele.»

Prendo veloce le mie cose e in poco tempo mi trovo fuori dal bar, diretta verso la mia macchina.

«Gaia, fermati!» È un urlo, un richiamo che blocca il mio cervello, i miei movimenti.

«Cosa vuoi ancora?» Dico anch'io a voce alta, senza voltarmi, e sento la sua figura vicina dietro di me.

«Cosa voglio io? Voglio sapere cosa cavolo vuoi tu! Mi scrivi e ti presenti qui come se non fosse successo niente! Ti ho detto già settimana scorsa che per me non è possibile cancellare quello che è successo tra noi. Non posso farlo. E ora tu sei qui a pretendere cosa? Che quei baci, quella voglia, quella passione non siano mai esistiti? No, Gaia, per me non è così. Quindi se pensi di continuare questa farsa ti sbagli. Ripeto, sei ridicola.» Le sue parole, dette in tono violento, fanno ancora più male. Mi giro verso di lui per guardare la sua espressione. So che ha ragione in parte, ma sono stufa di esser trattata così e mi arrendo.

«Hai ragione.» Rispondo secca.

«Ho ragione?» Ora la sua voce è sorpresa.

«Sì. Tutto quello che hai detto è vero, non possiamo continuare così. Penso che arrivati a questo punto, ridicola per ridicola che sono, posso solo dirti addio. È stato un piacere aver fatto la tua conoscenza.» Cerco di mantenere un'espressione neutra in viso e di trattenere le lacrime, così da non avere la voce tremante. Finito il mio breve monologo riprendo il cammino verso la mia auto.

«Gaia, aspetta. Io non...»

«Addio, Michele. Sei stato coinciso e diretto.» Lo interrompo, non voglio sentire una parola di più. Non voglio scuse o ripensamenti solo perché per una volta sono stata io quella determinata, cercando di non subire il colpo.

Sento ancora i suoi passi dietro ai miei, ma continuo dritta per la mia strada.

«Gaia tu tendi sempre a perdonare le parole o i gesti che ti feriscono. Io non sono come te. Allo stesso tempo ti chiedo perché con me puoi pensare che sia diverso. Perché ti arrendi così?» La sua voce è tagliata, con un velo di tristezza.

«Perché sono stufa di combattere senza essere io la priorità. Conosci fin troppo bene la mia situazione, le responsabilità che ho e ne abbiamo parlato più e più volte!» Sono arrabbiata e non riesco quasi a controllare l'ira che sento crescere dentro, quindi la mia voce diventa ancora più alta, più di quanto vorrei. Cerco di calmarmi e continuo. «Come si dice, a volte decidere di mettere fine ad un rapporto può essere l'atto d'amore verso sé stessi più grande a nostra disposizione. Mi si è già spezzato il cuore, quindi la sofferenza sarà minima e diventerà solo questione di abitudine.» Ora è la mia voce ad essere tagliente.

«Perché fai così?»

«Perché non posso darti quello che vuoi tu.» Con queste parole salgo in macchina.

Poco prima di partire guardo per un'ultima volta Michele. È statuario, l'espressione di resa e sconfitta gli dipingono il viso.

Lungo il tragitto di casa le lacrime scorrono senza rumore lungo le mie guance fredde, e la mia mente, che sembra esser svuotata, mi fa rivivere i momenti più belli passati con quest'uomo: il nostro primo incontro, il fastidio che gli leggevo negli occhi quando gli chiedevo di posare i miei libri nel cassetto prima di iniziare la lezione, la sua risata, i suoi abbracci stretti e affettuosi, le sue labbra, il suo calore, il sapore.

La mente fa sempre brutti scherzi e non possiamo mai fermarla. La tristezza è amara, ma nonostante tutto sento il mio cuore più forte.

Ripenso alle parole che mi disse Roberto tempo addietro e comprendo solo ora che la svolta, la ricerca della mia felicità e libertà, parte da questo preciso momento. Un anno e mezzo fa ho avuto la spinta, ma ora ho la forza.

Devo riflettere e rimanere da sola, quindi cambio programma e non passerò da Rachele, a lei manderò solo un messaggio per avvisarla che non la raggiungerò.

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