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Capitolo 20 _ Gaia

Sono sotto casa di Rachele ad aspettarla. Abitualmente sono io la ritardataria, ma in questo periodo lei sta battendo ogni record. Sto aspettando da ben venti minuti quando la vedo uscire frettolosamente dal cancello d'ingresso e correre scomposta verso la mia macchina.

«Non dire nulla. Lo so!» Sono le prime parole che pronuncia salita in auto. Sono già le dieci del mattino, e saremmo dovute già esser con gli altri a quest'ora.

«Buongiorno.» Mi limito a dire mentre parto.

Allontano per un attimo gli occhi dalla strada per osservarla quando mi accorgo del suo silenzio prolungato. «Che succede, Rachele? Non stai bene?» Provo a chiederle.

«Sì, tutto bene. Sono solo agitata. Non so dove andremo, non conosco l'amico di Michele. Quindi non vorrei far figuracce. Ma sto bene.» Risponde in tono concitato, ed è veramente agitata. Non è da lei, e sono pochi i momenti in cui l'ho vista così vulnerabile.

«Ehi, vedrai che ci divertiremo! Per rasserenarti un po' posso dirti due cose: oggi faremo qualcosa che ne io ne te abbiamo mai fatto prima; per quanto riguarda l'amico di Michele, invece, non ti deve preoccupare.»

«Sì, ma sarà il classico belloccio palestrato che non mi si fila, ne sono certa, come gli altri che ho conosciuto prima; ti ricordi Lorenzo?!» Dice cadendo nell'autocritica, ma scoppiamo anche entrambe a ridere nel ricordare alcuni momenti vissuti con il ragazzo. Il loro incontro era stato un disastro, sotto tutti i punti di vista.

«Be', è stato un'eccezione alla regola! Per questo incontro non possiamo ancora esprimere alcun giudizio. Però mi offendi dicendo queste cose, visto i miei trascorsi con Michele. Dovresti credere di più in te stessa, perché è quello che hai dentro che fa di te una bellissima persona. Non sono i tuoi boccoli neri corvino o i tuoi fianchi poco pronunciati a definire chi sei. Sbaglio?» Provo ad incalzarla in questa discussione e ci riesco, anche se per un momento ho tremato all'idea di ricordarle Roberto pronunciando queste parole.

Continuiamo a parlare e confrontarci senza più interromperci fino ad arrivare al parcheggio del bar della palestra, ormai punto fisso di ritrovo.

Scendo dalla macchina e Michele ci raggiunge salutandoci e picchiettando ripetutamente l'indice della mano destra sul polso sinistro, per far presente che siamo fuori orario. Come di consueto saluta prima Rachele e poi viene da me, baciandomi teneramente la guancia e abbracciandomi per ricordarmi che lui è lì, per me, per noi. Nell'abbraccio sento il suo respiro caldo mentre mi sussurra all'orecchio che siamo in ritardo. Nonostante i passi da gigante che abbiamo fatto, questi momenti mi fanno ancora mancare battiti al cuore.

«Ehm, ciao. Io sono Mirko, e tu sei?» Sento una voce chiedere, e torno al presente.

«Rachele, piacere!» Nel suo volto non c'è più agitazione, ma un grande sorriso e solo dolcezza. Era da molto tempo che non la vedevo sorridere in questo modo, così naturale, quasi un movimento riflesso che non si può controllare. Forse è sorpresa dalla semplicità del ragazzo.

Mi accorgo che lui è in leggero imbarazzo, quindi mi presento per stemperare un po' la situazione e spero che Michele mi aiuti in questo intento.

È come se mi leggesse nel pensiero, perché aggiunge presto «Bene, direi che potremmo avviarci. Noi pensavamo di andare con una macchina soltanto, quella di Mirko, e poi valutiamo il da farsi una volta arrivati. Cosa ne pensate?» Mentre pronuncia quelle parole indica una Subaru Impreza sportiva blu e grigia e cerchi neri in lega da diciannove pollici di diametro.

Rimango a bocca aperta per la meraviglia che abbiamo vicino, finché non sento Rachele urlare «Ma che cazzo!?!» Si gira, con occhi di fuoco, e non riesce più a trattenere le parole «Gaia, dimmi che è uno scherzo! Sai che io non lo farò mai. Tu e le tue cazzo di idee. Non verrò mai più con te se non mi dirai per fila e per segno cosa andremo a fare!» La sua voce sale sempre di un'ottava ad ogni frase pronunciata ed io rimango senza parole, attonita.

«Stai insultando la mia macchina e quello che amo fare? Nessuno ha mai detto che tu debba fare qualcosa. Puoi stare anche a guardare.» La voce di Mirko è tagliente, incisiva, e nessuno, compreso Michele, si aspettava questa sua reazione.

«No, io...cioè...non era mia intenzione offenderti in alcun modo, solo che dò troppa retta a lei e me ne pento almeno otto volte su dieci.» Risponde Rachele, puntandomi un dito al petto.

«Bene, quindi direi che possiamo andare.» Taglia corto lui. Mentre si avvia verso l'auto Rachele lo segue svelta per stare al suo passo, e io mi volto verso Michele incredula di quanto è successo. Lui si limita a fare spallucce e un'espressione sorpresa, meravigliato anche lui.

Lungo la strada chiacchieriamo come se nulla fosse e Rachele, senza chiedere niente a nessuno, si è accomodata sul sedile del passeggero ed ha intavolato una conversazione per conoscere il ragazzo, escludendoci un po'. E io gliene sono grata.

Non so il perché, ma adesso sono a disagio e vorrei non aver proposto questa follia di girare sul circuito. Forse sarà Mirko a mettermi in soggezione, per i suoi modi di fare e per il modo in cui parla. Forse è solo l'adrenalina a farmi sentire così. Rimango con lo sguardo perso fuori dal finestrino ad ammirare il paesaggio che scorre, nel tentativo di trovare la serenità di questa mattina.

Con un tocco delicato Michele mi sfiora le dita della mano e avvicinandosi un po' mi chiede cosa c'è che non va e aggiunge «Hai uno sguardo preoccupato, assente rispetto al presente.»

«Non so che mi prende. È come se fossi un po' a disagio. Sarà stato il tono dispotico del tuo amico! È completamente diverso da te.» Provo a scherzare e allo stesso tempo a lanciare l'amo, sperando che lui abbocchi per raccontarmi un po' della loro amicizia.

«Mirko è un pezzo di pane, non preoccuparti. Si comporta così quando le conversazioni diventano un insieme di parole a vuoto. Quindi chiede indirettamente: prendere o lasciare.» Mi spiega e le parole mi confortano.

Ci guardiamo un attimo negli occhi e sento le guance diventare rosse. Accenna un sorriso e mi accarezza il dorso della mano con il suo tocco soffice. Solo in quel momento mi rendo conto che le nostre dita si sono intrecciate e io tengo stretta la sua mano per il mio stato emotivo, o forse per un istinto inconscio. E capisco il perché del suo sorriso.

Dovrei staccare la mano da questa presa, ma non voglio. In tutta risposta accarezzo anche io il dorso della sua, con lo sguardo fisso nei suoi occhi. Oggi non so cosa mi stia capitando, ma è come se fossi tornata indietro di mesi. Lo ritrovo ancora più affascinante del solito, che quasi vorrei morire al pensiero, ma non mi vergogno a fissarlo e lui resiste al mio sguardo.

Sento la sua mano farsi strada su per il mio braccio, quasi come se volesse aggrapparsi a questo nostro momento, e mi sento persa. Non c'è niente di più fragile di una promessa fatta, e ho paura di cadere nell'abisso.

Fortunatamente, grazie all'entusiasmo di Rachele, capisco che siamo arrivati a destinazione e appena ci fermiamo esco il più veloce possibile dalla macchina. Ho bisogno di far entrare aria nei miei polmoni.

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