Capitolo 2 _ Gaia
L'acqua calda della doccia mi accarezza il corpo ancora freddo dalla pioggia.
I pensieri sono un fiume in piena nella mia testa. Non vedo altro che occhi verdi, labbra carnose, una folta e ispida barba, muscoli, vene pulsanti, e sento solo frasi taglienti per mascherare ciò che forse, ormai, è quasi inutile nascondere anche a me stessa.
Ricordo ancora il primo giorno in cui ho incrociato quegli occhi, il senso di inadeguatezza che ho provato.
Sono già passati quattro mesi da quella sera, ma lo ricordo come se fosse ieri.
La scelta, fatta poco più di quattro mesi fa di iniziare un percorso di fitness in palestra, è dettata da un puro senso opportunistico: dimagrire per il mio matrimonio.
Sono consapevole di essere molto sovrappeso, e l'idea di costringermi a perdere almeno sei chili prima della fatidica data mi ha portato a varcare la soglia di quel maledetto centro sportivo. Il mio consulente commerciale è una persona fantastica, personalmente e professionalmente, e mi ha consigliato al meglio il tipo di percorso da intraprendere per raggiungere il mio obiettivo.
Così ho iniziato ad andare in piscina, in sala attrezzi, ad utilizzare i servizi dell'estetista interna alla struttura e scegliere un personal trainer.
Quest'ultima decisione mi ha portato a conoscere Michele.
Le lezioni con lui sono iniziate dopo due settimane dall'iscrizione. Ricordo che avevo una gran paura di esser fuori luogo, di essere impacciata, di vergognarmi delle mie forme e del mio peso.
Sappiamo tutti che le donne convivono con i loro difetti e le loro vergogne.
Le gambe mi tremavano mentre salivo i gradini che separano gli spogliatoi dalla sala fitness, il fiato era corto per la pesantezza della salita e per la paura, la voce era bassa nel chiedere ai due ragazzi lì seduti, che ridevano e scherzavano, se potevano indicarmi chi fosse Michele perché avevo una lezione privata con lui. Fu esattamente in quell'istante che i nostri sguardi si incrociarono per la prima volta: un momento in cui tutto si era fermato, dove le nostre espressioni erano cambiate e l'imbarazzo era l'emozione che entrambi abbiamo vissuto. Due sconosciuti che sentivano di conoscersi da tempo, due persone che dovevano recuperare il tempo che avevano perduto. Questo il ricordo indelebile nella mia testa.
Ho paura, un'intollerabile paura di questi pensieri. Michele mi è entrato in testa ed è un termine di paragone per qualsiasi cosa io faccia o viva, oltre che una costante variabile che considero nel prendere le decisioni, anche le più superflue.
Ecco cosa mi spaventa: Michele sta sconvolgendo la mia vita, e lui non ne è consapevole. Sta capovolgendo tutti i miei piani, mettendo in difficoltà il mio cuore.
«Ciao, amore!» La voce di Gabriele mi distrae dai miei pensieri e torno al presente.
«Ciao.» Rispondo con il mio solito tono freddo mentre mi passo ancora una volta il getto d'acqua calda sul corpo ormai arrossato per il calore.
Sento i suoi passi avvicinarsi e poco dopo lo vedo affacciarsi alla porta del bagno.
«Cosa ci fai ancora in doccia? Pensavo dormissi dato che non mi hai risposto al telefono. Ero convinto ti fossi dimenticata di scrivermi prima di andare sul divano o a letto.» Mi chiede in tono tranquillo e senza troppa curiosità mentre inizia a spogliarsi.
«No, scusami. Mi sono lasciata andare tra mille pensieri sotto la doccia e ho perso la cognizione del tempo.» Taglio corto. Non ho molta voglia di parlare.
«Dopo un'ora? Va be', lasciamo stare. Se esci mi lavo io.»
Non rispondo, perché sarebbe fiato sprecato e non ho alcuna intenzione di star a spiegare qualcosa che appartiene solo a me.
Mi asciugo velocemente e mi affretto a mettermi il pigiama per entrare nel letto ed evitare ogni tipo di conversazione con il mio futuro marito.
Gabriele è una persona squisita e negli ultimi anni la nostra distanza fisica, dettata dai nostri impieghi molto diversi, inizia a pesarmi.
Ho sempre cercato qualcuno che mi lasciasse la mia indipendenza, che mi permettesse di fare ciò che volevo nel mio tempo libero, e con lui è stato facile. Io impiegata d'ufficio, lui ristoratore. Questo purtroppo ci consente di vederci solo per la colazione e nelle serate di chiusura del suo locale. Nonostante ciò, siamo così diversi e complementari che ancora mi chiedo come sia possibile essere una coppia da dieci anni e, soprattutto, una coppia che tra poco convoglierà a nozze.
Vivo con un senso di colpa che mi contorce lo stomaco. Non riesco più ad essere me stessa con lui, e ogni volta che rincasa cerco di evitarlo per nascondere il disagio che vivo in sua presenza. Fingo in continuazione negli ultimi anni. Non parliamo nemmeno più come un tempo, tanto che mi ero convinta fosse la normalità dopo tanti anni di convivenza, ma mi sbagliavo. Mi rendo conto, ormai, che è meno faticoso per me sopportare il silenzio che imbatterci in discorsi in cui entrambi non troviamo interesse.
A volte è come se fossimo fratello e sorella, o due coinquilini, ma non riesco a pensare di lasciarlo. Vedo tutto quello che tra noi non va, ciò che è negativo, ma non mi impegno a trovare una nota positiva in quello che viviamo.
Che le nostre priorità non siano più allineate? Non voglio nemmeno perdere tempo a trovare la risposta a questa domanda.
Continuo a chiedermi se ho fatto bene ad imboccare questa strada, se è quello che veramente voglio e che vorrei per il mio futuro. Sarà vero che solo il tempo darà le risposte?
Mi lascio andare al sonno e inconsciamente spero di svegliarmi con le risposte a tutte le mie domande.
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