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Capitolo 14 _ Gabriele

Seduto sul divanetto rosso del bar non sento il mio telefono squillare, ma è Sabine ad accorgersene.

Spero sia Gaia a chiamarmi, per dirmi che sta tornando a casa dopo esser stata assente tutto il giorno. A volte è veramente egoista.
Guardo il display e rimango deluso nel vedere che è Roberto.

«Ehi, Rob, la mia sposa ha deciso di tornare a casa?» Gli chiedo ridacchiando.

«Dove sei?» La sua voce è dura, sembra quasi infastidito.

«E a te che te ne importa?! Sei stato finora con mia moglie e sono io a dovermi assorbire la ramanzina? Sei fuori di testa.» Non accetto che mi parli in questo modo.

«Gaia sta tornando, quindi alza il culo da ovunque tu sia e cerca di farti trovare a casa. Sai perfettamente che se viene da me è perché non sta bene ed è inutile che lanci queste frecciatine del cazzo. Ripeto: alza il culo e tornatene a casa.»

Mentre Roberto mi parla guardo Sabine, che rivolge lo sguardo verso i passanti fuori dal bar in attesa che la chiamata finisca, e non posso far a meno di pensare a quanto sono codardo. Non avrei dovuto accettare la proposta di matrimonio, era già troppo la convivenza, ma non potevo dire di no a Gaia, non dopo tutto quello che ha fatto per noi. Lei è il mio porto sicuro, ma non riesco a fare a meno della mia libertà.

Torno alla realtà quando Roberto ripete continuamente il mio nome e rispondo senza pensare. «Ho capito, non rompermi. Ora torno a casa, anche se è stata egoista ad andarsene in giro tutto il giorno senza pensare a me. Ciao Rob.» Faccio per attaccare quando lo sento urlare al telefono.

«Ma che pezzo di merda sei, eh? Tu non sei voluto uscire con lei oggi! Tu le hai detto di chiamare Rachele per avere compagnia! Tu l'hai lasciata sola! Ma che cavolo... Gabriele, vedi di tornare a casa e non farle scenate. Ho capito che sei con Sabine per come mi parli. Vedi di chiudere questa cazzo di storia, non posso più coprirti. Ora sei un uomo sposato e non posso più far questo a Gaia.» Guardo Sabine con occhi cupi e lei comprende che Roberto sta parlando di noi.

«Intanto hai fatto da testimone, no? Quindi non fare il buon samaritano.» Chiudo la conversazione; non ho più voglia di sentire la sua voce.

Raccolgo le poche cose che avevo con me e con un po' di imbarazzo poso un bacio sulla fronte di Sabine confortandola e dicendole che la chiamerò nei giorni a venire.

Nel tornare a casa ripenso alle parole di Roberto e ringrazio Dio che Gaia abbia un amico come lui. La conosco troppo bene, e so che se dovesse venire a scoprire qualcosa lui è l'unica persona che la possa sostenere e aiutare ad uscire dal baratro.

«Maledizione!» Urlo dopo esser partito, sopra la musica. Rifletto a come poter uscire da questa storia, non posso più andare avanti così, ho promesso lei il mio amore e di starle vicino sempre. Devo essere uomo e rispettare le mie responsabilità. Non avrei mai pensato di esser capace di tanto, proprio io che sono rimasto scottato in passato da un tradimento durato anni, ed io ora sto facendo lo stesso, ma alla persona che non se lo merita.

Giusto il tempo di cambiarmi i vestiti e sento aprirsi la porta di ingresso, quindi la raggiungo nel nostro soggiorno colorato e accogliente cercando di sfoggiare il mio sorriso migliore per salutarla. «Ciao, Amore! Hai fatto tardi, eh?»

Mi sorride a sua volta, ma mi accorgo subito dal suo sguardo che qualcosa non va e mentre anche lei mi saluta la interrompo. «Tutto bene? Sembra che tu sia stata investita da un camion. Sei molto tirata in viso. È successo qualcosa?»

A queste parole mi si avvicina e mi abbraccia. Sento il suo respiro caldo sul collo e mi sussurra «Ora va tutto bene! Sono qui con te! È stata una giornata particolare e risento ancora della stanchezza di ieri.»

«Potevi tornare a casa prima se fossi stata veramente stanca, anziché star fuori con i tuoi amici fino ad ora, non pensi?» Rispondo secco, quasi rude, perché inizia già a darmi fastidio.

«Si, beh, forse hai ragione. Scusa.» Risponde monotona mentre si allontana e si incammina verso la camera.

«Non devi scusarti, ma queste giustificazioni non le tollero. Sei stata fuori tutto il giorno e ora ti lamenti che sei stanca. La prossima volta pensaci due volte prima di fare le cose. Sono stufo dei tuoi continui lamenti.»

Si gira di scatto e sembra sull'orlo di una crisi di nervi dopo la mia risposta. Il suo sguardo dice più di qualsiasi parola e spaventa più di un insulto in questo momento.

«Mi stai rinfacciando il fatto che sono uscita, quando avremmo dovuto fare queste commissioni insieme? Sbaglio o tu hai deciso di stare stravaccato sul divano a fare un emerito niente per l'intera giornata? Io spero tu stia scherzando!»

«No, non sto scherzando, lo penso veramente. Mi irriti quando fai così, quindi, per cortesia piantiamola qui con questa discussione da quattro soldi!» Urlo dietro alle sue parole mentre mi incammino di nuovo verso il soggiorno.

«Ma cosa diamine devo fare per farti felice, Gabriele? Dimmelo una volta per tutte!» Mi chiede con tale sicurezza, determinazione, che capisco non vuole terminare qui il confronto.

«Ma io sono felice, cavolo, sono felice! Piantala con queste domande ridicole! Se così non fosse ieri non ti avrei sposata!»

"Ti sei sentito obbligato, ammettilo! Non avresti potuto dirmi di no dopo tutti questi anni insieme. Sapevi che io avrei voluto sposarmi e non potevi dirmi di no! Sei un vigliacco e non sai mai dire quello che vuoi o che provi veramente!» Insiste, urlando come mai fatto prima.

«BASTA! Piantala qui!» Riesco a dire, ma non posso aggiungere altro.

Mi guarda in maniera aggressiva, quasi da non riconoscerla e solo in quel momento mi rendo conto che abbiamo esagerato. Ho esagerato. Senza dire una parola si volta e si dirige in camera. Torna qualche secondo dopo lanciandomi una coperta sull'ampio divano, dove nel frattempo mi sono seduto, e aggiunge solo «Questa sera tu dormi qui. Non osare mettere piede in camera.»

La guardo sbattere la porta.

Mi stringo la testa nelle mani, appoggiandomi allo schienale del divano.
Dovrei parlarle, rivelarle la realtà: non sono felice. O meglio, non sono felice con lei.

Ripenso a quando ci siamo incontrati, dopo anni passati insieme a scuola, ma senza conoscerci. Eravamo attratti l'uno dall'altra. Se rifletto oggi su quei giorni vedo la verità: eravamo la scelta più facile, io per lei e lei per me.

Ognuno di noi avrebbe potuto fare quello che voleva, avremmo mantenuto la nostra indipendenza, avremmo raggiunto i nostri obiettivi professionali. E così è stato.

Sorrido nel ricordare la storia che Gaia raccontava ad amici e parenti quando ci chiedevano come riuscivamo a stare insieme a causa delle vite diverse che conduciamo: siamo uno strano fenomeno di linee rette! Di giorno siamo due linee parallele, ognuna sulla propria strada, ma di sera queste linee deragliano per diventare perpendicolari e per riuscire a stare insieme, anche se per poco tempo.

E forse il tempo che stiamo insieme è veramente poco, e questo non ci ha permesso di soddisfare pienamente tutti i nostri desideri.

Devo smettere di esser così codardo.

Ho già commesso un errore ieri del dire il sì, e non posso farle ancora più male.

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