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"Voglio la libertà!" <132>

IGINO
Sia io che Giulia torniamo alla realtà. Sono sicuro che anche lei stesse pensando a qualcosa... magari al suo passato, come ho fatto io.
"Ti va di ascoltare un po' di musica?" mi chiede esitante.
"Ci sto!" rispondo. Spingo il telefono fuori dal nascondiglio in cui avevo chiesto a Giulia di ficcarlo e lei me lo raccoglie. Appena lo schermo s'illumina, vedo che Marta mi ha scritto su Facebook, ma non le rispondo.
Perché non può semplicemente lasciarmi stare?
Metto la canzone che ascoltavo quel giorno, quello in cui la mia vita è cambiata.
"E voglio 'a libertà, terra ca me parla 'e libertà.. Mò sò libero e 'sta dignità nun s'a pò accatta nisciuno." Le parole di Rocco Hunt mi hanno sempre dato la forza di andare avanti. Penso che forse anche lui, da bambino, abbia sperimentato il bullismo, ma anche se non fosse, è come se le sue parole mi dessero la forza di continuare. La mia migliore amica sorride, ascoltando quelle parole.
"Se vive meglio senza 'sti penziere, abbracciate 'e criature quanno tuorne 'a sera."
Ed era proprio quello che facevo. Ogn ivolta che tornavo da scuola, prendevo in braccio mia sorella Evelina e la coccolavo.
"'O munno è assaje cchiù bello dint'a st'uocchie innocenti. Levateme 'e catene, giro 'o munno currenno."
Ed era vero. Ogni volta che abbracciavo la mia sorellina mi sentivo meglio.
Era come se lei riuscisse a liberarmi da tutte le catene.
Era un sollievo enorme per me.
"Ti piace tanto questa canzone, vero?" mi chiede Giulia.
"Sì... e sai cosa ti dico? Desidero provare ancora."
"Vuoi riprovare ad alzarti?" mi chiede Giulia.
"Sì... vorrei."
"Allora facciamo un altro tentativo" mi dice lei con il suo sorriso dolce.
Lei apre la porta e il mio medico torna nella stanza. Ci rimettiamo in posizione, come sempre, e Giulia mi dice: "Facciamo una cosa... stavolta io non conterò. Tu chiudi gli occhi. Ti porto io, d'accordo?"
"Bene! Vediamo come va." dico.
"Bravo ragazzo" dice il medico.
Io mi aggrappo alla mia amica e lei mi tira su.
Respiro profondamente, poi muovo il primo passo, il secondo, il terzo e il quarto. Mi fermo un istante e prendo un lungo respiro, poi riprendo a camminare. Cinque. Sei. Sette. Otto. Nove. Dieci...
"Prova a lasciarmi una mano, Giulia!" dico con un filo di voce.
"Va bene, Igino! Coraggio... stai andando bene, coraggio!"
Le lascio una mano e provo a muovere ancora un paio di passi.
"Sei quasi alla porta, ragazzo" dice il medico.
Apro gli occhi: è vero. Mi mancano pochi centimetri per giungere alla porta. Giulia continua a sorreggermi con una mano sola, alla mia sinistra c'è il mio medico, che trascina la sedia per ogni evenienza. Prendo un altro respiro... e quando giungo alla maniglia sento che il mio cuore potrebbe esplodere da un momento all'altro. Sono al settimo cielo, ma qualcosa rompe nuovamente l'incanto. Ripenso al messaggio di Marta e barcollo. Giulia mi afferra al volo, il medico mi fa sedere e mi si mette di fronte.
"Stavi andando bene, Igino: cos'è successo?"
"I miei compagni. Perché non mi lasciano in pace, perché? Che cosa ho fatto di male?- dico con rabbia.
"Igino, adesso calmati" mi dice la mia migliore amica. "Ascolta: lo so che non ci credi, ma questa volta loro non vogliono farti niente di male!"
"Mi scusi..." dico rivolgendomi al medico.
"Igino, oggi sei andato molto meglio di quanto pensassi" mi dice lui. "Non devi avere fretta. Roma non fu costruita in un giorno, e questo l'ho già detto a Giulia tempo addietro, te lo ricordi?"
"Hai sentito? Non importa se avrai ancora le vertigini dopo un breve tratto. L'importante è fare un po' ogni giorno per sentirti meglio" mi dice la mia migliore amica.
"Beh, credo che a breve potremo anche dimetterti, se vai avanti così" dice il medico.
Questa novità da un lato mi rende felice, mi dà speranza, ma dall'altro lato ho paura di lasciare l'ospedale, perché questo significa che mi toccherà tornare a scuola e probabilmente tornerò a subire quello che subivo prima dell'incidente.
"So a cosa stai pensando." dice la mia migliore amica quando il dottore esce dalla stanza. "So che hai paura, Igino... ti capisco, sai? Anch'io ero terrorizzata all'idea di tornare a scuola dopo la riabilitazione."
"E cos'hai fatto?" chiedo.
"Beh... ci sono tornata lo stesso... anche se la odiavo, la scuola... ma io non avevo alcun compagno a cui importasse davvero di me... tu ce li hai... e so che ti sembra incredibile, ma non parlo di me. Cioè, non mi fraintendere: è ovvio che m'importa di te. Ma anche ai nostri compagni importa... solo che se ne sono resi conto con grande ritardo."
"Ho molti dubbi a riguardo, ma ti ringrazio per averci provato" le dico. Tendo le braccia verso di lei e l'abbraccio forte.
"Credimi. Hai conquistato la tua libertà" mi dice sorridendo.
"Libertà! Oddio, non ci credo... ho dimenticato di richiamare il commissario per la denuncia che ho fatto contro i professori della scuola di Ginevra! Devo mettermi in cntatto con loro!" dico allarmato, iniziando a smanettare sul cellulare per cercare qualche contatto della stazione di polizia presso la quale ho sporto denuncia qualche mese fa.
Giulia sorride.
"Non ti preoccupare. Ho preso io i contatti della polizia. Il commissario preferirebbe vederti di persona, però, e ha detto che nel frattempo i professori che hai indicato verranno tenuti sotto controllo. Dubito che si comportino così solo con i ragazzi della classe di Ginevra. Una carogna è una carogna sempre!"

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