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Sono ancora qui <142>

MATTEO
Ho passato una notte agitata. Ho avuto un incubo dietro l'altro, perché oggi ci sarà la visita del commissario. Sono le quattro del mattino. Cavolo, ho una paura tremenda! Accidenti a me, ma perché l'ho fatto? Perché sono stato così stupido?
"Matteo! Che ne dici di uscire un po'?" mi dice Giulia.
È già vestita e tiene stretto nel pugno il suo bastone bianco.
"Magari sì." le rispondo. "Tanto comunque non riesco a dormire."
Detto questo vado a prepararmi e una volta fatto raggiungo mia sorella sulla porta.
"Matteo, vorrei proporti un gioco." mi dice.
"Un gioco? Che gioco?" chiedo.
"Chiudi gli occhi e appoggiati a me. Tranquillo, le auto non ci sono a quest'ora. Il bello di questo paesino è che gli abitanti sono una grande famiglia divisa in più case e a quest'ora quasi tutti dormono."
"Sei sicura? Non vorrei che..."
"Se non ti fidi va bene" mi dice lei gentilmente.
"No, io voglio provarci! Se lo dici tu, mi fido... anche perché ti tocca cavartela da sola da sempre."
"Bene! Allora vieni, Matteo."
Chiudo gli occhi e lei mi prende a braccetto ed usciamo di casa.
Mia sorella ha ragione: a quest'ora il paese è silenzioso, ma non è quel silenzio che fa paura. Adesso è come se fosse lei a proteggere me. Procede tranquilla per la strada. Non so dove stiamo andando, ma mi concentro su quello che percepisco. Sento il vento fresco sfiorarmi le guance e spostarmi i capelli. Sento il suono dei nostri passi sul lastrico della strada e la rotellina dell'"occhio" di mia sorella che saetta a destra e a sinistra. Lei non dice niente, ma stando in questa posizione anche io percepisco gli ostacoli. All'improvviso lei si ferma, lascia il bastone non so dove e mi prende con delicatezza per le spalle. Mi fa sedere per terra e la mia schiena è appoggiata contro qualcosa.
"Apri gli occhi!" mi dice.
Mi trovo seduto sotto un albero e lei mi dice: "Io ed Igino, quando siamo tristi, ci mettiamo qui. Ho pensato che questo posto potesse far star bene anche te."
"Se non esistessi dovrebbero inventarti, piccola" le dico a mezza voce, ripensando a tutto quello che le ho fatto passare. Non avrei mai dovuto metterle le mani addosso e se quando ero bambino qualcuno mi avesse detto che sarei diventato il suo peggior incubo, probabilmente sarei scofpiato a ridere. Eravamo così uniti, da bambini... e nonostante tutta l'acqua passata sotto i ponti, lei sta cercando di ricostruire quel rapporto. Dal modo in cui si comporta penso proprio che ci riuscirà.
"Non ci pensare, Matteo" mi dice sedendosi accanto a me. "Se continui a pensarci non riuscirai mai a lasciarti questa storia alle spalle... vedila così: magari, se volessi impegnarti in una campagna contro il bullismo, visto che sei stato da entrambe le parti, potrai aiutare tanto gli altri a non fare e a non farsi del male!"
"Come hai fatto a sapere che ci stavo pensando, piccola? E poi come fai a vedere sempre tutto in chiave positiva?"
"Matteo, ti conosco! Quando ti penti sinceramente per qualcosa non fai altro che rimuginarci sopra... e per l'altra domanda, non mi crederai se te lo dico."
"Dimmelo, ti prego!"
"Me l'hai insegnato tu, esattamente come mi hai trasformato in Robin Hood con gli occhiali scuri."
"Io?"
"Sì, tu. Ascolta: quando vivi una situazione difficile hai due scelte: lasciarti andare o aggrapparti a qualcosa che ti aiuti a sopportarla, in mancanza d'altro. Ed è stato questo che ho fatto. È un modo di fare che non sparisce una volta conclusa la situazione. Si vive meglio se riesci a trovare un lato positivo alle cose, sai?"
"Secondo me in realtà te l'ha insegnato Igino."
"Igino mi ha insegnato un'altra cosa fondamentale per vivere: il perdono. Se lui non me l'avesse insegnato, ora io e te non saremmo qui a parlare. Mi ero indurita molto, te l'assicuro."
"Non senza ragione."
"Matteo... che ne diresti di cambiare scuola di calcio? Perché continui a restare lì? Il tuo malessere persiste anche perché Claudio e i suoi ti ricordano il passato in continuazione... è vero che Claudio ha sofferto, ma nessuno ha il diritto di infierire una persona che sta soffrendo. Nessuno."
"Potresti darmi il tuo cellulare?" dico. "Vorrei mostrarti una cosa, ma non riesco a leggertela."
Lei cambia espressione, ma mi passa il suo cellulare. Io apro Facebook ed entro nel mio profilo per poi renderle il telefono e lei inizia a leggere d:i post in cui mi hanno taggato.
"Oh santo cielo!" esclama.
È sconvolta, per questo ho evitato di raccontarle cosa mi scrivevano non solo quei quattro, ma anche gli ex compagni di scuola, su Facebook.
"Matteo, non me l'avevi mai detto! Perché?"
"Mi vergognavo, Giulia. Neanche mamma e papà lo sanno."
"Per questo hai iniziato a strafare a scuola, durante quest'anno. Ti hanno ricoperto d'insulti fino a ieri!"
"Non dirlo a nessuno, ti prego! Mi vergogno troppo, Giulia. Te lo sto dicendo perché ne sentivo il bisogno, ma non dirlo a nessuno, ti prego" dico.
Lei rimane in silenzio e sembra sofferente, ma annuisce e mi circonda le spalle con un braccio.
"Non dirò niente, tranquillo. Qualcosa voglio farla, ma non dirò niente, promesso! Però tu confidati. In due sarà più facile, vedrai" mi dice.
"So di aver sbagliato, ma perché continuano a darmi il tormento?"
"Perché hanno paura, Matteo."
Non avrei mai immaginato che la prima a sapere cos'altro mi stava succedendo sarebbe stata lei. Non dopo quello che abbiamo passato.
"Ma tu non devi arrenderti, hai capito? Per nessun motivo al mondo! Possono dirti quello che vogliono, ma non hanno tanto potere da distruggerti, è chiaro? Non devono averne!"
L'abbraccio, sentendomi al sicuro. Paradossalmente lei, che è la più piccola, sta proteggendo me.
"Tieni" mi dice gentilmente, passandomi una cuffia. Lei s'infila l'altra e fa partire un brano inglese sul cellulare. È di Sia, ma non conosco il titolo. Per farmi leggere lei mette anche il testo e, arrivata al ritornello, me lo ripete in italiano, ma parlando.
"Il passato mi rincorre, il passato vorrebbe uccidermi, ma sono ancora qui. E questo devi farlo anche tu."

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