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Siamo fragili <18>

GIULIA
"Mi hai dato una bellissima idea, Giulia!" esclama Matteo.
"Oddio, adesso inizierai a chiamarci: "Blindbarbie e Nerdken"? Sei di una noia stratosferica!" dico sospirando.
Lui resta in silenzio, si alza ed inizia a scattare delle fotografie. Sono sicura che farà qualcosa con quelle foto.
"Hai finito? No, dico: hai finito o hai intenzione di diventare giornalista con qualche modella importante e ti stai esercitando con la tua sorellina cieca? E poi, cosa c'è di male in queste foto? Le hai scattate davanti a tutta la classe e mi risulta che il massimo che possa succederci sia essere scambiati per una coppia di... un po' più che amici, che tra l'altro non siamo. Avete capito, ragazzi? Il vostro capo sfrutta metodi antichi per mettere in difficoltà un suo compagno!" urlo con tutta la forza che ho.
"Ne hai ancora per molto?" mi chiede lui.
"Ne avrei per altre sette vite, come quelle dei gatti... ma mi conviene fermarmi qui, perché io non sono come te e non ci diventerò mai!" rispondo.
Mi volto verso la professoressa e le chiedo: "Potrei uscire un momento?"
"Vai pure, cara." risponde.
Io raccolgo il mio bastone bianco ed esco velocemente dalla classe. La rabbia mi pervade, vorrei spaccare qualcosa... qualsiasi cosa, fino a quando non riconosco una voce: quella di un bidello.
"We, Giulietta bella! Che ci fai qua?" chiede gentilmente.
"Sono stata costretta ad uscire... lei sa che io... io e Matteo... insomma..."
"Che siete fratelli?" mi aiuta lui.
"Precisamente."
"Figlia mia, io so tutto e non dico niente! E credimi: quando me l'hanno detto mi sembrava una barzelletta! Cioè, una signorina educata, a modo, studiosa... una come te, sorella di un birbante? Poi ho pensato che alla fine lui non è cattivo... è solo lasciato a se stesso, è impulsivo e non dà retta alla piccolina di casa, che poi è mentalmente la più grande. E tu non ce la fai più, è vero?"
"È vero, signor Giuseppe."
"Don Peppino."
"Come vuole, don Peppino. È vero... io non ne posso più..."
"Allora accetta un consiglio da un amico: pensa a una persona a cui serve che tu stia in piedi. Tu non hai idea di com'è contento lui da quando sei venuta. Fino a qualche mese fa lui veniva sempre a scuola con una faccia stanca, poverino... invece adesso... eh, adesso è più motivato di prima."
"Lei... lei parla di..."
"Eh, del giovane rubacuori che non sa di esserlo. Ti sono venuti certi occhi a cuoricino quando ti ho parlato di lui!"
"Lui è un amico... un caro amico... e poi è innamorato di un'altra ragazza e..."
"E tu, da brava amica, ti sei fatta da parte!"
"Da brava amica o da brava codarda, faccia lei!"
"Codarda? Eh no, quello direi di no! Io i ragazzi li guardo sempre... è come se fossero figli miei, diciamo... lavoro da anni qua, li conosco tutti, e tu sei quella che la testa nel sacco non ce la mette perché dei ragazzini alzano la voce!" dice.
"Io prima ero proprio la versione femminile di quel poveretto... ero buona, riservata, disponibile, come lo è lui... ora sono diventata cattiva, perché ho visto che non serve a niente! Ero proprio la sua copia, spiccicata... ma adesso ho perso quella parte di me, e mi manca! Mi manca tantissimo, ma non riuscirò più a recuperarla!"
"Non sei diventata cattiva... lo prova proprio il fatto che ti sei impegnata a difendere Igino. Una... cattiva, come dici tu, avrebbe fatto l'ira di Dio per salvarsi la faccia, anche insultare uno che non..."
"Che non le aveva fatto niente." Stavolta sono io ad aiutarlo.
"Ecco, brava! E poi hai imparato a vivere bene anche se ti sono successe delle cose... hai imparato a muoverti con questo coso" dice scuotendo leggermente il mio bastone, "hai imparato a leggere... come si chiama?"
"La scrittura Braille" rispondo.
"Eh. Tu lo sai com'è nata?"
"Certo. Un ragazzo aveva avuto un incidente con un punteruolo... gli occhi si sono rovinati entrambi e lui diceva di arrabbiarsi, perché non riusciva a leggere. Era stato mandato in un collegio in cui i libri erano scritti con lettere enormi, marcatissime, e dopo aver letto il codice di scrittura di alcuni soldati si è messo d'impegno per inventarne un altro che fosse più semplice da leggere... aveva tutti contro... fecero addirittura un rogo con i suoi libri... però... lui ce l'ha fatta... ce l'ha fatta!"
"Ecco, vedi? L'hai detto! Lui ce l'ha fatta, e ce la farai pure tu... però per farcela bisogna avere pazienza!"
Sorrido debolmente.
"Posso chiederle un favore?"
"Come no?"
"Mi darebbe un abbraccio?" chiedo.
Lui non risponde, lascia soltanto cadere straccio e scopa e corre ad abbracciarmi. È un abbraccio quasi paterno... il mio papà mi vuole un bene dell'anima, però ci sono cose che non posso dirgli... lui è talmente fiero del suo figlio maschio! Pensa che lui sia bravo a scuola, che sia un bravo ragazzo, un esempio da seguire... invece è un bulletto da quattro soldi, a sua volta preso di mira da tipi come lui, ma con più voce in capitolo. Nella vecchia scuola non sarei riuscita a trovare qualcuno come quest'uomo e in fondo penso che la scuola di un piccolo paese sia molto meglio di una scuola cittadina.
"Stai meglio?"
"Moltissimo. La ringrazio, veramente... se vuole, dopo la scuola resto qui a darle una mano." gli dico.
"No, non ti preoccupare. Limitati solo a farmi un sorriso e siamo a posto."
E io lo faccio.
Gli sorrido, mentre mi volto per rientrare in classe. Batto delicatamente alla porta e la professoressa mi dà il permesso di entrare.
"Tutto bene?" mi chiede.
"Certo. Grazie" rispondo.
"Bene... siediti al tuo posto che ora ti aggiorno sul compito che vi ho dato da svolgere... non è una cosa che dovrete fare subito, ma spero mi portiate il risultato entro la fine dell'anno. Visto che siete in sette, creando delle coppiie qualcuno rimarrebbe solo, quindi vi dividerò in due gruppi: uno da quattro e un altro da tre. I gruppi verranno estratti a sorte e collaborando dovrete cercare di scrivere una canzone. Non mi aspetto cose da Sanremo... mi aspetto spirito di squadra e voglia di mettersi in gioco... cominciamo dal gruppo con meno membri. Chi vuole provare ad estrarre i nomi?"
Restano tutti immobili.
"Forse è meglio che venga tu a pescare i biglietti con i nomi, Giulia... ci vuole qualcuno che non possa essere minacciato o che possa barare guardando."
"Hai sentito, Mattè?" sussurra Michele. "Siamo fregati se pesca la cieca!"
"La cieca, non la sorda! Perché non sparlate a voce un po' più alta, voi due?" chiedo con tono neutro. Non dovrebbero farmi male queste parole, ma purtroppo bruciano come acido, per questo reagisco con frasi elaborate e frecciatine.
Prendo il cestino e inizio a mescolare i bigliettini per poi estrarne tre.
"Ottimo! Ora io distribuirò i bigliettini ai compagni che sono stati estratti." Me ne mette uno tra le mani, poi la sento spostarsi velocemente per la classe. Lo fa per confonderci, credo. "Estratti, avvicinatevi a Giulia e fatevi riconoscere." dice la professoressa. Sento dei passi incerti e qualcuno mi posa dolcemente una mano sulla spalla. Sposta la mano nella zona in cui la mia pelle è un po' scoperta e sorrido capendo chi è.
"Non posso crederci... Igino!" esclamo al settimo cielo. Ora, però, ho paura di chi sia l'altro compagno o l'altra compagna. Quando mi si avvicina, però, mi rilasso.
"Ciao Giulia!"
"Ciao Marta!"
"Ottimo! A questo punto l'altro gruppo è palese: Matteo, Piera, Michele e Lara. Adesso tocca a voi, ragazzi!"
Anche il mio amico è un po' più rilassato... anzi: sembra quasi che sia contento! A questo punto, ci mettiamo tutti e tre vicini per metterci d'accordo su dove vederci. Alla fine decidiamo di organizzare degli incontri all'aperto, perché nessuna delle nostre case è adatta: nella mia c'è l'Uomo Nero, il mio amico ha una sorella minore delicata di salute e Marta ha un carlino in casa... e con i cani io non ci vado affatto d'accordo. Lui, infatti, mi ha detto: "Che bello, almeno so che anche tu una paura ce l'hai!"
"Più di una." rispondo.
Il resto della giornata è pieno di materie sfiancanti, ma privo di frecciatine, almeno per il momento.
Quando usciamo io resto fuori con i ragazzi per organizzare il primo incontro. Per scrivere una canzone, dovremo pur conoscerci!
Dopo aver stabilito il primo incontro per domani pomeriggio, subito dopo scuola, decidiamo di creare un gruppo su WhatsApp per avere la possibilità di organizzarci nel caso in cui non ci sia possibile farlo da vicino.
"Ragazzi, io... io devo andare" dico. Non so perché, ma ho un brutto presentimento.
"Stai bene?" mi chiede il mio amico.
"Certo, tranquillo... il problema è... è che devo andare a verificare che mio fratello non combini qualche guaio rientrando. Ci vediamo domani!"
Inizio a correre e i miei timori vengono confermati quando mi ritrovo ad assistere ad una scena orribile: ci sono dei ragazzi intorno alla sedia di mio fratello e lo minacciano.
"Povero piccolo Matt... ti sei rotto la gamba, vero?" lo deride uno dei ragazzi.
Mio fratello non risponde. È la prima volta che assisto a quello che so da quando l'ho visto pieno di lividi sulle braccia.
"Ma tu non hai detto niente, vero?" chiede un altro.
Lui non dice nulla, ma dal: "Bravo" pronunciato da quello che dev'essere il capobranco capisco che ha scosso la testa.
"Beh, ora vai a casa... chissà che non ti capiti un altro piccolo incidente se resti qui per strada" conclude il quarto.
"Ehi! Avete finito di fare i buffoni?" intervengo non potendone più. Inizialmente ero indecisa, non sapevo se lasciarlo al suo destino come hanno fatto i miei compagni di classe con un'altra persona o intervenire, ma in fondo nessuno merita questo trattamento.
"E tu chi sei?"
Il capobranco mi si para di fronte in modo minaccioso.
"E a te cosa importa?" chiedo usando lo stesso tono.
"Fai attenzione, ragazzina! Se non la smetti di fare la stupida ce ne sarà anche per te!"
"Voi bulli siete tutti uguali... così noiosi... usate sempre le stesse frasi. Temo che non sia solo un problema di qualcuno che conosco... non è vero, Matteo?"
Lui non risponde.
"E comunque, dovreste smetterla di muovervi sempre in branco, altrimenti finirete per perdere di credibilità! Ora andate, che altrimenti la mamma si preoccupa!" dico prendendoli in giro. Il Boss cerca di allungarmi una mano, ma io gli do uno spintone.
"Ho seguito un corso di autodifesa. Se non vuoi trovarti un braccio piegato dietro la schiena, vedi di sparire insieme ai tuoi guardaspalle, e possibilmente in fretta!" gli dico.
Lui si allontana insieme agli altri tre, e sussurra: "Ci rivedremo, ragazzina!"
"Voi sicuramente, io non vi ho mai visti!" replico.
I quattro se ne vanno.
"Grazie." sussurra mio fratello, e preferirei che mi ricoprisse d'insulti, in questo momento.
"Vai... vai a casa, Matteo... devi rimetterti in sesto, non andare in giro!"
Mi si spezza la voce mentre lo dico, ma faccio un profondo respiro, cercando di evitare di piangere.
Lui prova a trascinarsi, ma credo faccia fatica, adesso.
"Ti aiuto io... tu dimmi se devo girare a destra o a sinistra." dico.
Mi posiziono dietro la sedia e lui mi guida. Rientriamo in casa e lui è molto silenzioso... forse troppo.
In fondo io e lui siamo sulla stessa barca, due fragili che si esprimono in maniera diversa.
"Siamo il Bianco e siamo il Nero, siamo Dio che appare davvero..."
"Siamo fragili, se tutti ci toccano... siamo fatti di sogni che non ci fanno dormire... cose che non si possono dire. Insieme siamo l'Inizio e la fine."

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