Lo Scantinato dei Segreti <134>
MATTEO
"We, Mattè! E che è successo? Non sei mai venuto così presto!" mi dice don Peppino, ma stavolta sorride gentilmente, come se fosse contento di vedermi, e le sue parole, quelle che mi disse prima dell'incidente, mi ritornano prepotentemente in testa, arrivandomi dritte in faccia come uno schiaffo. ""Ricorda, Mattò: tu non sei cattivo: sei solo confuso"."
"Buongiorno" dico timidamente.
"E chesta è n'ata nuvità!" esclama lui, sempre sorridendo. "E da quando mi saluti, figlio mio bello? Ma non è che ti sta venendo la febbre?" E mi sposta una ciocca di capelli dal viso per sentirmi la fronte. "Poco ti ci manca. Dovresti tornare a casa."
"No... non importa" dico, perché ammetto che non mi sento molto bene, ma Igino a scuola ci veniva con la febbre per passarmi i compiti, Giulia stava delirando ed è venuta a scuola comunque, per difenderlo.
Ora tocca a me.
"Vieni, entra."
"Don Peppino... io..." balbetto.
"Dimmi tutto, Mattè" mi dice.
"Io volevo farvi una domanda. Mi sa che alla mia coscienza sta tornando la voce e fa un male che non avete idea! Faccio continuamente incubi e ho sempre paura." dico, stentando ancora a parlare decentemente in italiano.
"Mattè, ti devo dire un segreto" mi dice lui dolcemente.
Io esito a seguirlo, poi lo vedo dirigersi verso la mia classe. "Che c'è? Non la conosci più, la tua classe, Mattè? Vieni!"
Rimango immobile qualche istante, mentre lui sposta il mio banco vicino a quello che occupava Igino.
Ogni volta che guardo quel banco è come se nel mio petto si aprisse un pozzo senza fondo, e fa un male del cavolo.
Alla fine, dopo aver preso un lungo respiro, mi decido a raggiungere don Peppino, che si è seduto al banco che occupavo io e mi sta facendo segno di sedermi accanto a lui, al banco che è stato di Igino.
Entro in classe con il cuore in gola. Non so perché, ma oggi sono decisamente agitato. Vorrei solo che finisse tutto, che il mondo cambiasse... vorrci riavvolgere la pellicola della mia vita, tornare indietro e non rovinare la vita a quell'angelo di mia sorella e al povero Igino. Mia sorella ha perso per sempre la vista a causa mia, ma me ne ha fatto una colpa solo quando la trattavo male. Ora che sto soffrendo, lei dice che è stato un incidente, che io non potevo sapere cosa sarebbe successo, che tra noi va tutto bene, che, anche se forse non sarà mai tutto come quando eravamo bambini, lei è disposta a darmi un'opportunità.
Mi lascio cadere pesantemente sulla sedia di Igino e i miei occhi diventano ancora una volta lucidi. Mi volto dalla parte opposta. Lui non faceva così, perché mia sorella non lo vedeva e purché non lo sentisse singhiozzare, (cosa improbabile dato che Igino ha sempre avuto il pianto silenzioso), o irrigidirsi, (questo era più probabile per lo sforzo che lui faceva per trattenere le lacrime, anche se con scarsi risultati), non si sarebbe resa conto che gli avevo fatto versare delle lacrime per l'ennesima volta, ma voltandosi di lato avrebbe dato a noi la possibilità di vederlo piangere e io avrei continuato a farlo star male.
Lui, allora, abbassava la testa sul banco, fissando le pagine del libro o del quaderno di turno, senza dire una parola.
"Mattè, ne sono passati un po' di ragazzi, da quando ho cominciato a lavorare qui, ma nessuno di loro sa questa cosa. Quando ero piccolo io stavo in una classe... abbastanza numerosa. Uno diceva cattiverie ad alcuni per questo o quel motivo, gli altri stavano a guardare o ridevano giusto per non essere messi nel mirino del bullo... e tra questi c'ero io. Una volta, però, è successa una cosa che mi ha fatto scegliere di stare dalla parte giusta. Mi sono innamorato di una ragazza: una che non portava gli occhiali ed era anche carina per gli standard, però studiava un sacco, proprio come Igino... e quante gliene hanno combinate! Lei li lasciava fare e non si fidava di nessuno... ma a un certo punto non ce l'ha fatta più. Anche se già di suo era magra ha smesso di mangiare e voleva lasciarsi andare... non voleva avere a che fare con nessuno della classe, come Igino... e non aveva nemmeno tutti i torti, poverina! Allora, visto che stavo un po' come te anche se in teoria non avevo né risposto al bullo, né riso di quello che faceva, ho deciso che non ce la facevo più. Ho scritto una lettera anonima ai genitori della ragazza e ho detto che per capire quello che le era successo dovevano leggere il suo diario."
"Lei ci scriveva quello che le accadeva?" chiedo.
"No, Mattè. Si poteva permettere a stento il diario di scuola, però il bullo ci ha scritto sopra un sacco di cattiverie, proprio perché, oltre a studiare giorno e notte, prima solo per piacere e poi per passare i compiti a noi, lei era povera."
"Oh mio Dio!" dico. Chiudo gli occhi per qualche istante.
Mi sembra di vedere lui da ragazzo, con una penna in mano, che butta giù due righe per i genitori di questa povera ragazza di cui si è innamorato.
Vedo lei, minuta e pallida come il povero Igino, seduta dove adesso sono seduto io, con la testa abbassata su un libro di matematiia, mentre qualcuno scarabocchia qualcosa sul suo diario. Mi allungo per leggere la scritta, ma poi qualcosa mi risveglia dal mio incubo ad occhi aperti e mi decido a chiedere a don Peppino: "E come andò a finire?"
"La lettera anonima si rivelò molto utile... e pensa che dopo questa io e lei ci siamo sposati e dopo ho iniziato a lavorare qua. Sai... i tuoi genitori amano da sempre questo paese. Quando tua madre è venuta qui, dopo che la signora Giulia l'aveva adottata, io ero contento, perché avrebbe fatto mettere la testa a posto a quel piccolo scapestrato di tuo padre. Ti ha già detto che lui, all'epoca, era un bullo?"
"Me l'ha raccontato mia sorella."
"Ecco! Devi sapere che, prima che t'iscrivessi a questa scuola, lui venne a parlare con me e mi chiese di fare tutto il possibile perché non commettessi gli errori che aveva commesso lui da ragazzo!"
"E io... io ho rovinato tutto!"
"Non dire così, Mattè! Avresti rovinato te stesso se dopo l'incidente non te ne fosse importato niente di Igino... e secondo me i tuoi rimorsi non sono dovuti solo a come ti comportavi prima che lui prendesse quella botta in testa, ma comunque non è questo che importa, adesso. Quando tua sorella si è iscritta qui l'anno scorso è venuta anche tua mamma. Era preoccupata e mi ha detto che se lei avesse avuto qualche problema con dei bulli, avrei dovuto avvisarla... mi ha raccontato che a scuola lei aveva dei grossi problemi, prima... non ha fatto il tuo nome, ma mi ha spiegato che, nonostante lei avesse imparato a difendersi da sola, voleva che la proteggessi. Non ho potuto fare molto, perché alla fine lei per un po' è partita, ma spero di riuscire a fare qualcosa per te, adesso che stai così male per tutto questo..."
"Avete ragione, don Peppino... io... io non sto male solo per come trattavo Igino prima dell'incidente."
Lui si alza e chiude la porta.
Quando torna indietro stringo forte gli occhi per non piangere davanti a lui, ma inutilmente. Abbasso la testa sul banco, come ho visto fare prima a mia sorella e poi ad Igino. "Sono stato io" dico, iniziando a singhiozzare.
Lui non mi dice nulla. Mi posa una mano sulla testa, delicatamente, e mi scompiglia i capelli in un modo che mi fa quasi rilassare.
"Mi dispiace così tanto! Io non volevo! Non volevo, giuro!"
"Lo so, lo so!"
Mi alza il viso con delicatezza e mi guarda negli occhi: "Non ti preoccupare, Mattè. Sarà il nostro segreto, parola d'onore. Adesso so che ti sei pentito."
Si alza con esitazione. "Senti... mi dispiace un sacco, ma io ora devo andare, sennò mi cacciano a calci."
"Non c'è problema. Grazie di tutto!" dico e, prima che lui se ne vada, lo saluto con un abbraccio sincero. Lui esce e si chiude la porta alle spalle. Io resto seduto lì.
Apro lo zaino e ne estraggo il quaderno di storia. Mentre lo apro, però, vedo una foto che sporge da sotto la copertina. La tiro fuori e riconosco la persona in foto: Mamma Giulia!
È così che la chiamavamo, io e Giulia, perché a lei piaceva la dicitura spagnola del film: "Coco", ma chiamarla Mamà sembrava ridicolo, quindi abbiamo optato per "mamma" con il nome, perché ovviamente abbiamo una mamma ed è una donna meravigliosa.
Guardo quella foto. Il volto di Mamma Giulia sembra rivolgermi un sorriso e mi vengono in mente le cose che lei diceva sempre. Una di quelle che mi vengono in mente non c'entra nulla con me, ma mi fa riflettere sul fatto che, come mia sorella, lei sfruttasse al massimo la suaautoironia. Una volta, per scherzo, disse: "Per quando non ci sarò più, non vi azzardate a fare niente!"
Io le chiesi cosa intendesse e la sua risposta mi stupì: "Niente funerali, niente pagelline, nientemesse in suffragio! Niente di niente! Voglio solo che facciate quello che volete e che stiate bene! Se non mi volete tenere con voi, buttatemi in mare! Se volete mi fa piacere!"
Poi guardò mia sorella: "Anzi! Giulia, fammi un piacere: prendi un po' di carta e penna."
Mia sorella lo fece e Mamma Giulia scrisse tutto. Quando accadde l'inevitabile, casa nostra era piena di gente. Io non mi ero fatto vedere. Ero in camera, da solo... feci capolino solo quando riuscii a smettere di piangere, perché Mamma Giulia era un pezzo del mio cuore e uno stupido tumore me l'aveva strappata senza pietà. Quando mi affacciai, sentii le persone in cucina discutere su dove doveva stare Mamma Giulia. Tutti, tranne mia madre che odiava chiese e cimiteri perché da piccola aveva solo sofferto in quel contesto, sostenevano che era lì che dovesse andare. Mia sorella aprì un cassetto della sua scrivania. I suoi cassetti erano dotati di chiavi e lei, dopo la faccenda del libro, poiché aveva già iniziato a rispondermi per le rime e prendere le distanze da prima che Mamma Giulia se ne andasse, diffidando di me, aveva chiuso a chiave un certo cassetto e non so dove tenesse la chiave. Da quel cassetto estrasse un foglio. Lo guardai da lontano e riconobbi la calligrafia marcata di Mamma Giulia. Mia sorella entrò in cucina, esasperata, gettò il foglio sul tavolo e se ne andò, senza dire una parola.
Detestava il modo in cui si parlava di Mamma Giulia. Odiava che la trattassero come un soprammobile mentre il suo corpo giaceva sul letto di mia sorella. Mia madre avrebbe voluto portarla in camera sua, perché a mia sorella non dispiacesse dormire in quel letto, ma lei non voleva che la toccassero. Tranne che per le ultime due sere, dormiva accanto a lei, su una poltrona, e non voleva che la strappassero da quel letto. Dopo aver messo il foglio sul tavolo, in modo che lo vedessero tutti i presenti, mia sorella tornò in camera sua. Io mi avvicinai di soppiatto a lei e mi fermai sulla soglia della sua stanza. La vidi inginocchiarsi, afferrare la mano di Mamma Giulia e dire: "Vorrei tenerti con me, sai? Vorrei davvero tenerti con me!"
Mi avvicinai a lei. Questa volta volevo abbracciarla per davvero. Lei s'irrigidì. Non voleva che la toccassi, ma per non "disturbare" Mamma Giulia si limitò a rivolgermi un'espressione contrariata e scuotere di poco le spalle dopo qualche secondo.
Nostra madre, che aveva sentito tutto, entrò in camera.
"Lo vuoi davvero, piccola?" chiese con dolcezza.
Prima di scoppiare in singhiozzi, lei rispose di sì, e quel foglio che a mia sorella era tanto caro, spinse mia madre a decidere di assecondare la sua mamma e la sua bambina. Ora l'urna è in una vetrinetta.
Giulia la prese apposta e vi fece all'interno un trono con dei cuscini che non usavamo più.
Mi riscuoto dai miei pensieri e, accarezzando il volto raffigurato in quella foto, la giro e leggo una frase scritta con la calligrafia incerta di mia sorella: "Ho pensato che questa foto potesse servire più a te che a me. Io comunque non è che potessi guardarla. Sono certa che lei potrà aiutarti."
E altre lacrime scendono lente.
"Non ce la faccio più! Che cosa devo fare? È un dolore continuo e non lo sopporto più! Dimmi che cosa devo fare! Dimmelo tu, Mamma Giulia!"
Non so se sia una mia allucinazione, ma mi sembra di vedere il volto raffigurato nella foto compiere dei movimenti... poi mi volto e dietro di me c'è proprio lei, Mamma Giulia, ma da ragazza. Quando eravamo bambini lei ci mostrò delle foto di se stessa da giovane, per questo me la ricordo.
"Matteo, è giunto il momento di svuotare lo scantinato da tuttti i segreti che ti porti dentro" mi dice.
Scantinato? Che scantinato?
"Ti aiuterò io, non ti preoccupare. Andrà tutto bene, promesso!"
Mi bacia dolcemente sulla guancia e, nei pochi istanti in cui lei è accanto a me, ho la sensazione che il dolore sia passato del tutto.
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