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La nascita di Robin <22>

GIULIA
"Igino! Che è successo?" sussurra la donna, come se avesse appena visto un fantasma, e lui in questo momento lo sembra persino a me che non posso guardarlo.
"Niente, mamma" risponde lui a mezza voce.
"Diglielo, Igino" gli dico sottovoce. "Lo sai che non si può andare avanti così."
Lui non risponde.
"Io... io devo chiederle perdono..." dico alla donna che mi sta di fronte. "Io non dovevo lasciarlo con mio fratello. È stata colpa mia se è successo quello che è successo, io..."
"Certo, ma cos'è successo?"
"Niente, davvero." risponde lui.
"Tesoro, hai la febbre... e anche tu, Giulia! Ditemi cosa vi è successo, ragazzi!" dice la donna. Deve aver sentito la fronte del riccio prima della mia.
"Non ti preoccupare. I miei compagni scherzavano, non sanno che mi ammalo facilmente... ci stavamo facendo i gavettoni..."
Più lui parla, più a me viene da piangere. La madre non si arrende e credo abbia notato la maglia distrutta nella mia mano.
"Chi gli ha tagliato la maglia, cara? Tu lo sai? Lui non vuole saperne di dirmelo."
Ha capito tutto, ovviamente.
Io piango più forte.
"È... è stato... lui..."
"Sono stati i ragazzi della nostra classe. L'idea l'ha avuta Matteo e Michele è stato l'artefice." mi viene in aiuto la ragazza che è vicino a me e tiene lui per l'altro braccio.
"Perché non me l'hai mai detto, tesoro? Avrei potuto aiutarti" dice la donna.
"No... non voglio cambiare scuola. Le cose non si risolvono così."
"No, ma neanche continuando a perdonare, non per vigliaccheria, ma per troppa gentilezza o per scarsa autostima." gli dico con voce spezzata. "Però sta a te scegliere... io non sono mio fratello, di certo non posso importi niente."
"Basta che tu rimanga qui... e grazie a tutt'e due, ragazze... siete state molto gentili... ma per cosa? Per un..."
"Non dirlo, per favore! Mi fai male quando ti definisci in quel modo..."
"Tesoro, vieni. Torniamo subito, eh? Giusto il tempo di prendere un po' d'aria e torniamo. Anche lei sta male." interviene la mia compagna di classe. "Comunque dovresti asciugarti a dovere e mettere qualcosa di più caldo, Igino."
"Grazie, davvero... ma non preoccupatevi: va molto meglio" cerca di rassicurarci il riccio.
Usciamo entrambe ed io crollo tra le braccia della ragazza e piango disperatamente.
"Anche tu tieni molto a lui, vero?" chiede.
"Non... non immagini quanto. Era da così tanto tempo  non avevo la  cssibilità di contare su un amico come lui!"
"Non si tratta soltanto di questo... tu lo notasti all'istante con me, ricordi? So che anche tu lo ami, piccola... e ferendo lui, forse, Matteo ferisce te di riflesso. Vi state ammalando entrambi... oddio, se sapessi come far finire questa storia ci avrei già pensato io!"
"Un modo c'è... bisogna mettere quel... quel... insomma, bisogna metterlo con le spalle al muro, come fa sempre lui con quel poveretto!"
Stringo i pugni talmente forte che lei è costretta a lasciarmi e aprirmi le mani.
"Non ti ho mai vista così. C'è qualcosa nei tuoi occhi che non ho mai visto, Giulia."
Inizio a tremare dalla testa ai piedi. Sento le corde che mi legavano al mio letto, all'epoca, che mi si stringono intorno ai polsi come se vivessero di vita propria. Mi stacco subito dalla mia compagna, mi giro di spalle e scuoto con forza le dita, per ricollegarmi alla realtà. Gli scatti di quelle cose, la pallina di gomma in bocca, (questo in classe), e le mani legate al letto erano tutte cose che lui mi faceva sistematicamente... eppure, alle elementari, eravamo uguali: entrambi studiosi, tranquilli, assennati... cosa è cambiato?
"Infatti... c'è qualcosa, nei miei occhi, che non dovrebbe esserci." esclamo lasciandomi cadere per terra e ripenso a quello che è successo quando è nata Robin... la Robin Hood con indosso gli occhiali scuri.
Quel giorno entrai in classe con un altro spirito, una voglia di riscatto che non poteva più attendere. Entrai in maniera quasi... spavalda? O almeno così la definì Matteo.
"Che bello! La mia sorellina è desiderosa di giocare, oggi!" esclamò Matteo.
"Neanche per sogno!" risposi.
"Vuoi un'altra foto?" mi chiese Matteo. Io mi buttai a terra, di proposito, e tesi le braccia per fargli capire che ero arrendevole. O meglio: per farglielo credere! Lui si avvicinò ed io chiusi la bocca.
Sentii qualcosa di morbido premere contro le mie labbra e le serrai ancora di più. Lui mi prese una ciocca di capelli tra le mani e la tirò, nel tentativo di farmi aprire la bocca, ma io resistevo. Approfittai della sua distrazione e allungai una mano. Gli mollai un ceffone e lui mi lasciò di colpo.
"Sai che c'è? Mi hai proprio stufata... tu e i tuoi amichetti!" dissi afferrando la pallina di gomma dalle sue mani. "Ecco! Questa sta meglio fuori dalla finestra!"
"Ti sei svegliata con la luna storta, ragazzina?" mi domandò Matteo.
"No, mi sono svegliata con la consapevolezza che tutto quello che mi state facendo passare io non me lo merito!" risposi. "E voi? Che avete? Vi fa paura l'idea di beccarvi un ceffone? Thomas, Riccardo, Samuele... cosa state aspettando? Perché non mi legate al banco, eh? Ah, giusto... non avete abbastanza fegato per farlo! Tutti e quattro, in fila, siete solo dei vigliacchi! Io sono stanca di sopportarvi, quindi questa storia finirà oggi, è chiaro?"
E da allora, da quando mollai quello schiaffo a mio fratello, nessuno di quei quattro osò deridermi. Ero diventata la paladina della giustizia della scuola, e poiché loro di vittime ne avevano un bel po' e io sentivo tutto come un pipistrello, ben presto tutti e quattro ebbero la nomina che meritavano. Dei ragazzi più grandi iniziarono a bullizzarli, tanto che, almeno mio fratello, fu costretto a cambiare scuola.
Io divenni per tutti "la Robin Hood con gli occhiali scuri", perché, soffrendo molto a causa del calore solare, ero costretta a portarli sempre.
Ero diventata la protettrice dei più piccoli.
Seguii un corso di autodifesa e lo divenni a tutti gli effetti. Sia chiaro, non andavo in giro a malmenare gente a caso, ma dicevo ad ognuno il fatto suo... e ricordando tutto questo, ora giuro a me stessa che Robin tornerà e proteggerà sempre il suo amico Igino, a qualunque costo.

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