La giustizia del karma <130>
GIULIA
E, con il: "Ti voglio bene" di Matias in testa, andai avanti. Iniziai a seguire un corso di autodifesa, su consiglio di Matias. L'istruttrice era una donna gentile, a modo, affettuosa... e ne aveva passate tante a livello di bullismo, proprio come me.
Purtroppo, però, mi davano ancora della secchiona, io passavo dei compiti e suggerivo. Prima che frequentassi il corso di autodifesa, purtroppo, c'era stata anche la foto più umiliante della mia vita: quella in cui ero praticamente a torso nudo. All'epoca non ero convinta, ma dopo la storia del libro mi ero proprio decisa.
Divenni "Robin Hood con gli occhiali scuri" il giorno prima delle vacanze di Natale. I miei bulli non fecero in tempo a fare nulla, perché per fortuna la prof d'italiano entrò appena in tempo per impedirglielo.
Durante l'intervallo Thomas mi venne vicino e disse: "Ah! Ecco la mia Nerd preferita! Passami i compiti che hai stampato ieri, avanti!"
"No!" gli risposi secca e feci l'atto di proseguire per la mia strada, ma lui mi fermò.
"Fallo, e anche in fretta! A me non interessa che non ci vedi più: ti stendo a suon di botte!"
"Davvero? Beh, allora... prof, venga qui!" gridai, e mentre la prof si avvicinava io feci l'atto di tirargli uno schiaffo, ma poi riabbassai la mano. "In presenza di un adulto tu avresti fatto esattamente così, vigliacco! Ah, a proposito: vuoi i compiti? Beh, tieni!" dissi. Presi il foglio e lo stracciai.
"Maledetta! Ma io ti..."
"Tu... cosa, eh?" gli chiesi minacciosa, riuscendo ad afferrarlo per un polso che poi strinsi tra le mani. "Rispondimi, Boss! Che fai? Mi scatti una ridicola foto che mi ritragga legata e con la maglietta alzata o magari mi strappi un altro libro, mi leghi ad una trave, mi spruzzi dello spray al peperoncino negli occhi e metti un bel po' di nastro adesivo sulla mia bocca in modo che non mi sia possibile chiedere aiuto?"
La prof che avevo chiamato era sconvolta ed io avevo iniziato ad urlare tutte le cattiverie che mi avevano fatto mio fratello ed i suoi amichetti. Fui subito circondata dagli insegnanti. Nonostante ce l'avessi anche con loro, che vedevano e non facevano niente, fui felice di vederli. Non potevano certo dare a vedere il loro disinteresse verso il fatto che un'alunna subiva atti di bullismo da parte dei compagni, quindi mi fecero un sacco di domande e Matteo ed i miei furono sospesi con obbligo di frequenza. Naturalmente ai miei dissi che quei ragazzi avevano litigato, perché onestamente mi vergognavo di metterli al corrente di quello che subivo.
Matteo, però, ce l'aveva ancora di più con me e onestamente io non ci provavo neanche più a chiarire le cose. Meno avevo a che fare con lui, meglio stavo.
La sera dell'ultimo dell'anno, per esempio, Matteo mi disse chiaramente che dovevo tornare a "fare il mio dovere di secchiona", cioè passargli i compiti, o me l'avrebbe fatta pagare... allora io presi una banconota da 5€ e gliela lanciai addosso.
"Volevi farmela pagare? Beh, ti ho già pagato, quindi va' al diavolo!"
Lui cercò di battermi al muro, ma ormai avevo imparato come liberarmi e gli dissi: "Te lo ripeto: va' al diavolo tu e i tuoi compiti!"
Mi diressi correndo verso la porta e mia madre mi chiese: "Piccola, dove vai?"
"A prendere una boccata d'aria, mamma. Spero che per te e per papà non sia un problema, ma non riesco ad avere a che fare con certi soggetti, a volte" dissi con rabbia, puntando il dito contro Matteo.
Sapevo che mi aveva seguita, per questo avevo indicato e speravo che stavolta capisse che gli avrei fatto prendere una sfilza di 3 piuttosto che passargli anche il risultato di due più due.
Andai a trovare Matias, che fu ben felice di ricevermi, anche se gli costò un mare di fazzoletti, almeno fino a quando non mi propose di registrare una Demo.
"Matias, ma io non posso pagarti! Non ho soldi con me e queste cose costano un botto" gli dissi.
"Non ti preoccupare, che quando sarai famosa potrai pagare tutti i brani che vorrai in sale mejores que esta... ehm, migliori di questa!" disse.
Naturalmente io scoppiai a ridere e promisi che gli avrei offerto il caffè per tutto l'anno. Non avevo altro modo per pagargli il brano e onestamente non ero neanche sicura che fosse sufficiente.
Con il ricordo della mia prima Demo, quella che ho regalato al mio Igino, riuscii ad andare avanti fino a quando Matteo non fu costretto a trasferirsi. Ora gli atti di bullismo si erano concentrati su di lui e sui suoi compari, i quali, nell'inutile tentativo di non essere presi di mira, l'avevano abbandonato a se stesso. Nessuno doveva ricordare che loro erano stati amici del ragazzo che aveva ricevuto un ceffone dalla sorella Nerd e, cosa ancora più grave, come dicono loro, "handicappata". Io prima ci restavo male quando mi chiamavano così, poi ho scoperto che l'handicap è un fardello che portano i cavalli nell'ippica e mi convinsi che nessuno di quelli che usavano quel nome sarebbero stati in grado di portarlo. Non che io sia speciale, sia chiaro... ma chi ti deride su un aspetto di solito lo fa perché sa che non riuscirebbe a viverlo con serenità, se gli capitasse di viverlo in prima persona.
MATTEO
"Campione, abbiamo una sorpresa per te" disse mio padre rientrando dal lavoro. "Visto che sei bravo a giocare a calcio ti abbiamo iscritto ad una scuola."
Ero al settimo cielo a quella notizia. Mia sorella finse di essere contenta per me... o forse contenta lo era davvero, in fondo, ma quando le chiesi perché sorridesse, lontano dalla portata visiva e uditiva dei nostri genitori, lei rispose: "Almeno non ti avrò intorno per un po', nel pomeriggio. Stai diventando noioso con le tue "foto imbarazzanti", e sto pensando di procurare un martello al ragazzo al quale stai rompendo le scatole adesso, così ti spacca quel dannato cellulare e la finisci!"
"Spiritosa!" le dissi.
"Tranquillo che non te lo rubo, il primato." mi rispose secca.
Mio padre mi accompagnò fuori dalla scuola di calcio, mi batté una mano sulla spalla e mi disse: "Vai, campione, vai!"
Entrai nel cortile della scuola di calcio ed attesi il Mister per presentarmi, ma mi trovai di fronte un gruppo di ragazzi. Da quando avevano iniziato a prendermi in giro alla vecchia scuola ero diventato molto insicuro. Nella nuova scuola, però, ero un vero capo e nessuno osava contraddirmi... nessuno, tranne il piccolo Igino, che però avevo già messo al suo posto diverse volte.
"Ma guarda un po' chi si vede! Matteo!" disse uno di loro e mi congelai letteralmente.
"Ma tu... tu... Claudio!" dissi a mezza voce.
"Eh sì! Proprio io, mio caro!" mi disse lui. "E ti devo proprio ringraziare, lo sai?"
"R-ringraziare p-per che cosa?"
"Vedi... tu e la tua allegra banda mi avete insegnato un bel po' di cosette. Avevate ragione: io prima ero un disastro... ora guardami! Non ti sembro un figo?" mi chiede con un sorriso.
Lo guardo e rimango stupito: dal ragazzo debole e un po' in carne che era, è diventato un Marcantonio con gli addominali ben delineati. Alto lo era già, ma non era in grado di fare a botte e questo me lo ricordo bene, perché per noi è stato un gioco da ragazzi metterlo ko. La sua andatura non è più esitante come prima, ma sicura come quella di un capo. Nei suoi occhi c'è una luce diversa, che non dipende dal fatto che abbia messo le lenti a contatto, ma è qualcosa che fa veramente paura.
Il suo sguardo, insomma, ha una luce sinistra.
Si avvicina a me con passo pesante, mi strappa di dosso lo zaino, lo apre e rovescia a terra l'intero contenuto. Prende la mia bottiglia d'acqua, la stappa ed inizia a riempirla di terriccio. Con quella roba bagna i miei vestiti di ricambio, poi mi getta in faccia il resto dell'acqua sporca.
"Allora, caro Matteo? Che ne dici? Chi è lo scemo, adesso?"
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