L'arrivo nella nuova scuola <1>
GIULIA
Fortuna che viviamo in un paesino! Non mi è stato difficile imparare la strada fino alla scuola. Inizialmente frequentavo una scuola in città, ma adesso, dato che è diventato praticamente impossibile raggiungere quella scuola "per cause di forza maggiore", come hanno detto i miei, (anche se so benissimo che bisognava pagare la scuola di calcio per mio fratello e ultimamente la nostra famiglia non è al massimo delle sue possibilità, cosa che i miei hanno detto soltanto a me perché sono quella che cede più facilmente in caso di necessità), mi sono dovuta trasferire qui. Spero solo che nella nuova classe ci siano degli amici... non mi è dispiaciuto più di tanto lasciare quella scuola, perché non ho avuto nulla. I ragazzi sembravano più ciechi di quanto fossi io stessa dato che per loro ero del tutto indifferente, e c'è da dirlo: la nostra classe era tutto fuorché unita.
"Giulia, comincia ad avviarti! E non dire a nessuno che sei mia sorella, altrimenti..."
"Mi scatti foto compromettenti a tradimento e le carichi su Facebook con l'hashtag: "La Cieca di Sorrento"! Quanto sei noioso, dovresti aggiornare un po' il repertorio!" gli dico, prendendolo volontariamente in giro. Il fatto che lui abbia iniziato a trattarmi in questo modo è quanto dire, quindi scherno per scherno, beccati questo, fratellino! "Io vado... e vedi di non raggiungermi troppo tardi, genio del male!"
Esco di casa con lo zaino in spalla e una borsa con cellulare, chiavi di casa, cuffie e macchinetta da scrivere digitale appesa al braccio sinistro. Nella mano destra reggo il mio migliore amico: il bastone bianco. Per fortuna ricordo che la mia scuola è dopo tre alberi, piuttosto distanti tra loro, ma nel mezzo ci sono tre aiuole, e dopo gli alberi devo svoltare a destra e costeggiare un muretto che gira continuamente, tipo labirinto. Devo evitare solo l'ultimo tratto, girare a sinistra in modo da trovarmi il muretto perfettamente alle spalle e andare di fronte. Cammino spedita, forse fin troppo, perché vado a sbattere contro il portone socchiuso. Un po' dolorante per il colpo, lo spingo ed entro. Okay, Giulia... stai calma, niente panico, non farti sopraffare dalla timidezza.
Tre. Due. Uno... ora! Entro e inizio a costeggiare i muri. Dovrei andare in segreteria, dire che sono arrivata, ma non riesco a capire dove sto andando. Entro in una stanza e inizio a muovermi in maniera casuale, ma, ovviamente, per cominciare bene la giornata, vado a sbattere contro un banco con la zona sinistra del bassoventre.
"Ahi! Cominciamo bene!" dico tra i denti. "Scusate... c'è qualcuno? Io... io sono Giulia, la ragazza nuova... dovrei andare in segreteria, ma mi sono persa..."
"La... la segreteria è dalla parte opposta" sento dire da qualcuno che, ad occhio e croce,, anzi, ad orecchio e croce, è in fondo all'aula.
Mi avvicino a quella direzione e saluto il ragazzo che, dal modo in cui mi si è rivolto, dev'essere piuttosto timido, come me, a meno che non mi tocchi avere a che fare con quel troglodita di mio fratello.
"Scusami... non volevo disturbarti..." dico avvicinandomi e sfiorando il banco. Mi ritrovo ad urtare un libro.
"No, per niente..."
"Questo è un libro di scuola o un romanzo?" chiedo curiosa.
"Un romanzo." risponde lui. "A volte quando sono qui da solo ripasso, altre, invece, preferisco leggere una storia."
"E questo, nello specifico, come si chiama?"
"Oliver Twist" risponde lui, sempre in tono esitante. È un tono che io conosco a meraviglia: quello che si usa quando si vive nel terrore di una pugnalata alle spalle.
"Conosci Dickens?" chiedo sorpresa, dato che mio fratello, quando l'ho letto io dal telefono, pensava stessi leggendo la biografia di un calciatore che non aveva voluto esporsi con il nome (Charles Dickens), e l'aveva cambiato in Oliver Twist.
"Sì... lo so che può sembrare atipico, ma mi piace molto leggere. Soprattutto, mi piacciono alcuni scrittori del passato..."
"E che t'importa se sembra atipico?"
Tendo la mano, esitante, e afferro la sua. Trema.
"Ehi! Non credevo di far tanta paura!" dico conciliante, anche se, dopo questo contatto, sento il cuore battere a precipizio.
"No... non ho paura di te..." balbetta incerto.
Io traccio dei cerchietti sul dorso della sua mano, nel tentativo di rassicurarlo il più possibile.
"Capisco... non hai paura di me nello specifico. Hai paura che io possa ferirti dopo aver cercato di farti abbassare la guardia... è una paura legittima dato tutto quello che stai passando qui dentro."
"Come fai a sapere tutte queste cose?" mi chiede agitato.
"Il tono della voce può far intendere molte cose. E poi, tu sei qua dietro, ma le tue cose, escluso questo libro, sono al banco contro il quale sono andata a sbattere. Scommetto che sei molto intelligente e si mettono tutti dietro di te per copiare i compiti in classe o per avere la buca del suggeritore a portata di mano durante le interrogazioni!"
"Più che "intelligente" loro mi chiamano "secchione". È la stessa cosa?" chiede. Un brivido mi percorre la schiena, non solo perché odio quella parola con tutte le mie forze, ma anche perché dalla sua voce capisco che si sta sforzando di non piangere e questo, anche se l'ho appena incontrato, mi spezza il cuore.
Lo sento irrigidirsi. Tendo la mano verso il suo viso e sento che è molto contratto. Conosco questa sensazione: le lacrime spingono contro le palpebre per venir fuori. È la sensazione che provo sempre con mio fratello, da quando ha iniziato a maltrattarmi, ma dopo un po', stanca di subire, ho iniziato a rispondergli per le rime e ad evitarlo il più possibile. Non è solo lui a vergognarsi di me. Anch'io mi vergogno di lui.
È brutto da dire, ma non ho mai detto una cosa più vera in vita mia.
"No... no, perdonami, io... non volevo che..." dico con voce tremante.
Lui si sbilancia in avanti, stacca la mano dalla mia presa e mi abbraccia per poi scoppiare in un pianto senza controllo.
"Fa bene tirar fuori il dolore. Fa bene farlo con qualcuno, credimi! Dopo starai meglio." dico stringendo la presa sul suo corpo.
"Questa storia è cominciata un anno fa... e da quando hanno iniziato a prendermi di mira soffro di attacchi di panico. Mi sveglio di notte e mi ritrovo sul pavimento... è un disastro!"
Non gli dico niente. Lo abbraccio, anche se praticamente non lo conosco.
Non so se andrà bene... non so se riuscirò ad aiutarti, perché ti conosco solo da qualche minuto... ma ti prometto che farò tutto quello che mi è possibile. È questo che vorrei dirgli, ma non ci riesco, quindi lo stringo a me.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro