Giulia e Mamma Giulia <119>
GIULIA
Ho trascorso una notte agitata. Ho avuto l'ennesimo incubo in cui un falso Igino mi esortava a venire con lui, che sta a significare una sola cosa: suicidio, poiché lui di risvegliarsi non voleva saperne.
Il mio amico vuole svegliarsi, ma non riesce a trovare la strada... ma forse questo sogno sta ad indicare che è il momento di fare qualcosa a nome suo, visto che lui non può.
Mi alzo dal mio letto, afferro il bastone bianco e cerco di riconoscere i cosiddetti "vestiti della domenica". In genere non me ne importerebbe un fico secco, ma devo andare alla stazione di polizia, quella in cui è stato Igino. Gli procurerò tutte le prove possibili del rapporto che ho con Igino fin da quando ci siamo conosciuti.
Esco velocemente di casa, con il pensiero di mio fratello che prende le mani di Igino e gli chiede scusa per tutto. Quando siamo tornati a casa, era così scosso che, senza riuscire a dire una parola a causa del pianto che gli spezzava il respiro, si è chiuso in camera sua e non l'ho più visto. Mio padre è andato a vedere se fosse tutto a posto e per fortuna lui gli ha detto che stava bene. Dopo la storia del suicidio sfiorato, papà è teso al massimo e si sente colpevole. Ma non è così. Non è colpa sua, non è colpa di nessuno... a volte le cose succedono perché qualcuno o qualcosa lo vuole... poi sta a noi riuscire a reagire, a rialzarci, a tornare sul campo di battaglia anche se siamo feriti.
Stamattina c'è il Sole e io ho più paura che mai... il medico che si è preso cura di Igino è preoccupato, non capisce cosa gli stia accadendo e per questo non può darci né risposte che ci distruggano, né diagnosi rassicuranti. Dice che è come se lui facesse avanti e indietro... a volte sembra sul punto di varcare la porta che lo porterà a risvegliarsi e altre volte sembra che voglia varcare la porta opposta: quella che separa i tuoi cari da te.
Arrivo alla stazione e, mentre prendo il biglietto del treno, contro il parere del capostazione a causa della mia cecità, mi succede qualcosa di strano. Sul mio cellulare parte automaticamente: "My Immortal" degli Evanescence... una canzone che ascoltavo sempre dopo aver perso una persona a cui tenevo tantissimo... a cui TENGO tantissimo anche adesso. Mia madre è cresciuta in una casafamiglia... beh, in realtà funzionava più come sede di sfruttamento dei bambini. Lì si mettevano in testa ai bambini delle cose che non si sentivano neanche nell'Ottocento.
Questo è il motivo per cui mia madre ce l'ha con la Chiesa: perché le mettevano in testa un mucchio di sciocchezze.
Poi è arrivata una donna che è stata come una madre per mia mamma... si chiama Giulia, come me. Anzi: in realtà sono io che mi chiamo come lei... quella donna non era una suora: faceva semplicemente volontariato, e ha fatto chiudere quel posto maledetto.
Lei e suo marito hanno adottato la mia mamma e l'hanno cresciuta come una loro figlia.
Lui se n'è andato prima che io nascessi, a causa di un incidente... lei, invece, è andata via dopo che ho perso la vista. Un mostro che le si era formato nel cranio ha voluto portarsela via, ma almeno ha avuto la decenza di non farla soffrire troppo.
"Che cosa vuoi dirmi?" chiedo alzando la testa. Lei ha sempre voluto che la chiamassi per nome, semplicemente...
"Ti prego, Giulia! Dimmi cosa vuoi farmi sapere!" ripeto.
"Tutto bene, piccola?" chiede il capostazione.
"Sì, signore... mi scusi... ora vado... grazie" balbetto correndo verso la solita panchina.
"Attenta, tesoro! Così ti sentiranno tutti... solo tu puoi sentirmi!"
"Cosa devo fare?" chiedo, questa volta mentalmente.
"Quello che stai facendo, piccola. Ho conosciuto il tuo amico, e per lui non è ancora tempo di venire qui... ma ha bisogno che tu faccia esattamente quello che stai facendo, e che non ti perda mai d'animo... Nient'altro..."
E, così come è venuto, quel calore che mi ha invasa, scivola via lentamente.
Prima che sparisca del tutto, però, io tendo le braccia e provo a stringerla. Per qualche istante ci riesco, ma poi... mi ritrovo ad abbracciare il vento. In quel preciso istante il treno inizia ad avvicinarsi e io mi sposto di lato, fuori dalla portata della linea gialla, o meglio: dei pallini che indicano "pericolo"! Quando finalmente il treno si ferma e le porte si aprono,io salgo a bordo e una signora mi vede, mi prende gentilmente la mano e mi fa sedere. Quella stretta mi fa pensare a quella ella donna che mia madre chiamava "Mamma Giulia", ed è per questo che lascio che la signora mi aiuti ad accomodarmi.
Quando arrivo a destinazione la signora mi aiuta anche a scendere dal treno. Non ci siamo dette niente, ma c'è stata subito alchimia tra di noi. Chiedo informazioni per sapere dov'è la stazione di polizia e il caso vuole che sia precisamente l'agente che ha chiamato la piccola Ginevra ad accompagnarmi.
"Ecco, cara! Cosa stai cercando?" chiede gentilmente, dopo avermi fatta accomodare nel suo ufficio.
"Ecco... qualche tempo fa è venuto qui un ragazzo a sporgere denuncia contro la preside e i docenti della scuola in cui va sua sorella..."
"Sì... perché?"
"Sono la sua migliore amica e quei ragazzi sono anche la mia famiglia. Ecco, guardi!" dico mostrandogli il mio cellulare. "Ci siamo sempre raccontati tutto... la bambina è molto scossa, ma posso dirle che... che lei... ora sta frequentando la scuola della mamma di un suo amico... la sua intera classe è stata ospitata lì e gli insegnanti di quella scuola si sono offerti di prendere il posto di quelli che avevano alla vecchia scuola. Lo fanno per continuare a studiare... e poi, se avessero smesso, gli assistenti sociali avrebbero potuto portare via i ragazzi. Qui c'è il nome della scuola e oltre a quello c'è il numero di riferimento, con tanto di lista dei... dei nomi dei ragazzi!"
"Tranquilla, cara. Saresti portata per questo, lo sai?"
"No, io... lo faccio per loro, signore." gli dico a bassa voce. "La prego, si metta in contatto con me quando saprà qualcosa, io..."
L'agente mi vede stringere gli occhi, evidentemente, perché si avvicina a me e mi posa una mano sulla spalla.
"Ehi! Ce la faremo, usciremo a risolvere tutto, va bene?"
"Grazie" gli dico cercando di trattenere le lacrime. "Mi scusi... il fatto è che sono così stanca..."
"Lo capisco, cara. Senti... ho saputo dell'incidente."
"Sì... beh, non si capisce come sta, però... io spero sempre che si riprenda" dico sottovoce.
"Certo, tesoro. Senti... quando vai in ospedale, va' a dargli un abbraccio."
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