"Giù la maschera, Matteo!" <135>
(Nota Autrice: ho scelto il brano: "Solitudine" tratto dallo spettacolo musicale: "La bulla di sapone" perché basta volgerlo al maschile per capire quanto sia combattuto Matteo. Ad esempio, la ragazza sostiene di essere sola perché è lei a volerlo, cosa che avrebbe fatto Matteo tempo addietro.)
MATTEO
Sento la porta aprirsi. Mi asciugo velocemente le lacrime, infilo con cura la foto nella tasca della giacca e mi volto: dietro di me c'è Lara che sistema le sue cose. Si volta a guardarmi e io abbasso lo sguardo! Quante gliene ho fatte passare, specialmente nell'ultimo periodo! Accidenti a me!
"Matteo, ma che ci fai seduto a quel banco?" mi chiede lei. "E poi è la prima volta che ti vedo entrare in classe così presto. Ma non ti senti bene?"
"No" dico lasciandomi andare ad un sospiro. "Stanotte ho fatto un incubo. Un brutto sogno."
"E che ci fa il tuo banco lì? E poi... perché il tuo banco è accanto al suo?"
"È che..." sto per dire, ma Piera fa il suo ingresso e chiede: "Matteo già sta in classe? Strano!"
"Sì! Stanotte ha fatto un incubo" dice Lara.
"Un incubo?" ripete Piera. "Ma perché è seduto al banco di..." Non fa in tempo a dirlo, perché anche Marta e Michele entrano in classe e ci salutano.
"Ci siete proprio tutti, stamattina" dice Marta con fare provocatorio. "Stranamente tutti in orario." Vedo i suoi occhi fissarsi su di me. Sembrano due cubetti di ghiaccio per il freddo che mi trasmette quello sguardo.
"Sì, anche Matteo, Manca solo Igino." dice Piera.
"Chissà come sta? Ormai è un mese che non viene a scuola e l'abbiamo visto solo una volta, in ospedale, quando era ancora in coma."
Lara si rattrista a quelle parole e per la prima volta sento che mi si spezza il cuore nel sentirla parlare così di Igino.
"Ma qualcuno l'ha chiamato?" chiedo a mezza voce.
"Sì. Io" risponde Marta.
"E com'è andata?" chiedo.
"Male. Gli ho scritto un messaggio, ho provato su Facebook, ma non mi risponde" spiega lei, abbassando la testa sul banco.
"Anch'io ho provato a scrivere un messaggio... ma non sapevo cosa dire" dice Piera con tristezza.
"Ma adesso, a parte l'incidente... tutte quelle volte in classe, a prenderlo in giro..." dice Lara, anche lei tristemente, e mi rendo conto che la classe si è sfasciata per colpa mia.
"Poveraccio, però" dice Michele e, dopo Igino, lui è quello con cui mi sento più in colpa di tutti. È il mio migliore amico e l'ho costretto a diventare una marionetta per restarmi vicino.
"Io... io lo so come si sentiva Igino dentro di sé" mi lascio sfuggire, e mi tornano in mente le parole di mia sorella e di Mamma Giulia: "Svuota il tuo scantinato dei segreti, Matteo. Svuotalo."
"Tu? E come lo sai?" mi chiede Marta, in tono glaciale.
"L'anno scorso m'iscrissi a scuola calcio" inizio.
"E allora? Tu dici sempre che non puoi mancare un giorno, che se non vai i tuoi amici stanno troppo male senza te" dice lei, ma io la fermo.
"E non m'interrompere!"
"Allora taglia, perché mi hai proprio stufata, hai capito?" mi dice con rabbia Marta. "È colpa tua se..."
"Tesoro, calmati" le dice Piera, afferrandole una mano e stringendola tra le sue, nel tentativo di tranquillizzarla.
"Non è vero! Non è vero niente! Mi hanno preso di mira perché ero nuovo e perché avevo sbagliato. Nella vecchia scuola... lo sapete, frequentavo ragazzi poco raccomandabili."
Prendo un respiro profondo e nella mia testa risuonano due voci: quella di Giulia e quella di Igino. "Coraggio Matteo, dillo!"
"Non c'è niente di cui vergognarsi."
"Me la sono presa con un ragazzo... molto simile ad Igino. Lui è finito in ospedale e... e poi... non l'ho più visto, perché ha cambiato scuola. Poi mi sono iscritto alla scuola di calcio e lì l'ho ritrovato. Cambiato, ma l'ho ritrovato."
"Sai che ti dico, Matteo? Te lo sei meritato alla grande, hai capito?" mi dice Marta e io non le rispondo... ma Michele mi sorprende, interrompendola.
"Anche a me è successa una cosa simile nell'altra scuola. Per questo mio padre mi ha fatto trasferire qui."
"E voi" dice Marta sbattendo un pugno sul banco, "dopo tutto quello che avete passato e sofferto, ve la siete presa con Igino? Ma sul serio? Come si può essere così scemi, bambini, così... idioti? Sì, idioti! Siete degli idioti, tutti e due!" È a dir poco furiosa, ma riesco anche a vedere un luccichio nei suoi occhi, come se stesse per piangere.
"Aspettate, per favore! Fatemi parlare!" provo a dire, ma lei, ancora in lacrime, dice: "No! Adesso tu stai zitto, perché tocca a noi parlare! E sai che ti dico? Tu credi che il mondo giri solo come vuoi tu, che la luna abbia solo la faccia che vedi tu, ma un vecchio proverbio dice: "Chi la fa l'aspetti!" E se Igino non ti denuncia giuro che lo farò io!"
E sta per alzarsi, quando la professoressa di storia entra in classe. In questo momento io vorrei solo sparire, ma rimango immobile, in attesa degli eventi. Se Marta volesse denunciarmi, ora come ora glielo lascerei fare, perché, anche se mi costa ancora ammetterlo, ha perfettamente ragione. È colpa mia se Igino è stato confinato in ospedale per un mese intero... è solo colpa mia.
"Buongiorno" dice la prof, stavolta senza essere interrotta da nessuno di noi. Non riusciamo neanche a rispondere al saluto, però. "Buongiorno, ragazzi. A posto, forza!" E gli altri, che sono ancora in piedi, prendono posto. Io decido di rimanere lì, al posto di Igino.
"Se vuoi, resta pure seduto lì, Matteo." mi dice la professoressa, come se avesse capito perché mi sono messo qui.
"Bene. Sono contenta di vedervi tutti qui. Ho bisogno di parlarvi di una cosa importante. Ascoltatemi attentamente: ciò che ho da dirvi riguarda tutti, perché chi resta a guardare è responsabile esattamente come colui che compie la cattiva azione."
Non oso alzare lo sguardo, ma sento che i respiri di tutti sembrano essersi spezzati al suono di quelle parole dette con molta tranquillità, ma ugualmente tanto taglienti.
"Detto questo, ad un mese circa dal terribile incidente accaduto al vostro compagno, Igino... non è stato ancora trovato il responsabile. Igino continua a di essere caduto da solo, che si è trattato solo di un incidente... ma noi sappiamo bene che sta coprendo qualcuno, e quel qualcuno... dovrebbe solo vergognarsi..." E a quelle parole, sento le guance imporporarsi, ma sento che non riuscirò a sopportare a lungo questo segreto. Faccio uno scatto verso l'alto con la mano destra.
"Dimmi, Matteo" mi dice con dolcezza la professoressa. Sto per rivelarle tutto, ma poi qualcosa mi frena e finisco per cercare di rivelarle il mio altro segreto. "Prof, io... io vi volevo dire una cosa. Anche io..." balbetto.
"Ma anche io?" chiede Piera, sottovoce. "Sì, sì... anche io!"
"Aspettate un momento! Ho una bella sorpresa per voi! Vieni, entra!" dice la prof. La porta viene aperta e fa il suo ingresso un ragazzo biondo, mingherlino e con degli spessi occhiali che però non nascondono del tutto gli occhioni azzurri e sofferenti che lo caratterizzano. Il ragazzo è malfermo sulle gambe, cammina a testa bassa e si ferma a pochi centimetri dalla soglia. È in quel momento che il mio cuore fa un balzo. È lui! È tornato, finalmente, e vedo che sta bene! Sta bene!
"IGINO!" esclamano all'unisono i miei compagni, e tutti ci precipitiamo verso di lui per accoglierlo, per la prima volta da quando lo conosco.
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